N. 107 SENTENZA 19 GIUGNO 1969 Deposito in cancelleria: 26 giugno 1969. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 165 del 2 luglio 1969. Pres. BRANCA - Rel. CAPALOZZA LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Prof. GIUSEPPE BRANCA, Presidente - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI, Giudici, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 207, lett. b, del decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1967 dal tribunale di Ancona nel procedimento civile vertente tra Pastorini Anna Maria e l'Esattoria consorziale di Iesi, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 6 luglio 1968. Visto l'atto di costituzione di Pastorini Anna Maria; udita nell'udienza pubblica del 3 giugno 1969 la relazione del Giudice Enzo Capalozza. Ritenuto in fatto: In sede di una procedura esecutiva promossa dall'Esattoria consorziale di Iesi, gestita dalla locale Cassa di Risparmio, nei confronti di Bevilacqua Giovanni, per un credito di ricchezza mobile dell'anno 1957, e nel corso della quale erano stati pignorati dei beni mobili costituiti in dote, con atto del 2 agosto 1965, di spettanza della moglie dell'esecutato, Pastorini Anna Maria, quest'ultima proponeva opposizione, ai sensi degli artt. 619 e seguenti del codice di procedura civile, innanzi al pretore di Iesi, e successivamente riassumeva la causa innanzi al tribunale di Ancona. Nel relativo giudizio, su istanza dell'attrice, il tribunale, con ordinanza 5 luglio 1967, riteneva rilevante e non manifestamente infondato il dubbio sulla legittimità costituzionale dell'art. 207, lett. b, del decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione. Si afferma nell'ordinanza di rimessione che la sentenza n. 42 del 16 giugno 1964 di questa Corte, nel dichiarare non fondata la stessa questione in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, non ha avuto motivo od occasione di estendere il suo esame all'ultima parte della norma denunziata, che, nel fissare i limiti oggettivi del divieto di opposizione di terzo all'esecuzione esattoriale, ammette tale opposizione solo quando si tratti di beni costituiti in dote con atto anteriore - e non anche, come nel caso di specie, con atto posteriore - alla presentazione della dichiarazione annuale o alla notifica dell'avviso di accertamento dell'imposta. Ad avviso del tribunale, questa stessa disposizione dimostrerebbe chiaramente che il legislatore, pur sommamente sollecito dell'interesse collettivo dell'adempimento degli obblighi tributari, non sarebbe giunto a considerare tale interesse come prevalente su ogni altro; e che la cautela adottata al solo fine di evitare, in costanza di matrimonio, fraudolente collusioni dei coniugi in danno dell'erario, si risolverebbe, invece, per i matrimoni conclusi in epoca successiva al sorgere del debito di imposta, in una abolizione definitiva della tutela giurisdizionale nei riguardi dei beni dotali. Ciò premesso, il tribunale, a sostegno dell'asserita violazione delle suindicate norme costituzionali, prospetta la disparità di tutela giurisdizionale tra situazioni giuridiche identiche, tranne che per un elemento temporale del tutto estraneo, se non addirittura ignoto, a chi ebbe a celebrare il matrimonio ed a costituire in dote beni dopo l'accertamento del debito di imposta; e denunzia, infine, il pregiudizio arrecato al dirittodovele dei coniugi di provvedere al mantenimento e alla educazione della prole per il venir meno del vincolo costituito sui beni dotali e per la condizione in cui viene posto il coniuge del debitore d'imposta di non poter apportare nella casa alcun bene mobile, senza assoggettarlo alla incombente esecuzione esattoriale. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 6 luglio 1968. Nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituita la signora Pastorini Anna Maria, con deduzioni depositate il 14 maggio 1968, nelle quali chiede che la questione sia dichiarata fondata, oltre che in riferimento alle norme costituzionali indicate nell'ordinanza di rimessione, altresì per violazione dell'art. 23 della Costituzione, in relazione all'art. 63 della legge 5 gennaio 1956, n. 1, sotto il profilo che la norma denunziata estenderebbe arbitrariamente il divieto di proporre l'opposizione anche ai familiari dei coobbligati. Considerato in diritto: 1. - L'art. 207, lett. b, del decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette) sottrae alla esecuzione fiscale contro il marito i beni (mobili) della moglie solo quando siano costituiti in dote con atto anteriore alla presentazione della dichiarazione annuale o alla notifica dell'avviso di accertamento di imposta. Nel caso di specie, il matrimonio era stato successivo e successiva la costituzione della dote. Il tribunale di Ancona ha, pertanto, prospettato la illegittimità costituzionale della norma, per ciò che attiene a questo aspetto particolare, cioè limitatamente alla parte in cui non consente l'opposizione all'esecuzione esattoriale sui beni (mobili) dotali esistenti nella casa di abitazione del debitore di imposta, ravvisandovi il contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 42, secondo norma, della Costituzione. 2. - La questione non è fondata. a) Quanto all'art. 3, primo comma. La legge ha voluto evitare che, costituendosi beni (mobili) in dote, dopo la dichiarazione dei redditi o l'accertamento di imposta, possano essere sottratti ad esecuzione esattoriale beni del marito: è facile, invero, pur quando il matrimonio sia posteriore al sorgere del debito fiscale, che si facciano figurare di proprietà della moglie, nell'atto dotale, beni (mobili) del marito o costiuire in dote beni (mobili) acquistati con denaro del marito. Un espediente che non può essere posto in essere, se la dote sia stata costituita (od aumentata) in tempo non sospetto. La ragionevolezza della norma poggia sulla sostanziale differenza delle situazioni che scaturiscono, rispettivamente, dalla costituzione della dote anteriormente o posteriormente al matrimonio, mentre è indifferente la data di questo: sostanziale differenza, cui fa legittimo riscontro la disparità di trattamento che, per ciò stesso, non è in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione. D'altro canto, accogliendo una diversa soluzione, si verrebbe a determinare una irrazionale diversità tra la situazione della moglie e quella dei parenti ed affini entro il terzo grado, conviventi con il debitore, per i quali soltanto resterebbe fermo il divieto dell'opposizione esattoriale posto dalla norma denunziata. b) Quanto all'art. 24, primo comma. La sentenza n. 42 del 1964 di questa Corte ha discriminato le norme di diritto materiale da quelle di diritto processuale, per affermare che non può ravvisarsi una violazione delle garanzie di difesa la quale resti nell'ambito della configurazione e dei confini che le derivano dal diritto sostanziale: in particolare, nell'ambito del coordinamento con altri diritti ed interessi protetti dall'ordinamento giuridico, come quelli attinenti alla riscossione delle imposte e alla difesa contro le simulazioni e le frodi. c) Quanto all'art. 29, primo comma. L'unità familiare non si consolida con la dote e ciò anche a tacere che il codice civile (art. 202) disciplina l'istituto della separazione della dote, cui la moglie può ricorrere - tra le altre ipotesi - quando sia in pericolo di perderla ovvero quando il disordine degli affari del marito lasci temere che i frutti della dote siano distratti dalla loro destinazione. d) Quanto all'art. 30, primo comma. Non è invocabile il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, attenendo quelli ad una sfera ben diversa e più alta, il cui rispetto non può essere collegato all'intangibilità dei mobili dotali. e) Quanto all'art. 42, secondo comma. La norma costituzionale, nel riconoscere e garantire la proprietà privata, attribuisce alla legge ordinaria la determinazione dei modi (di acquisto e) di godimento di essa e dei suoi limiti: ed il codice civile, più volte, ai fini della tutela dei diritti di credito, conferisce rilevanza alla localizzazione della cosa mobile, anche in pregiudizio dei diritti dei terzi su di essa (artt. 2756, 2760, 2761, 2764 del Codice civile). Già con sentenza n. 4 del 1960, questa Corte ha negato che l'assoggettabilità di beni (mobili) ad esecuzione forzata annulli la tutela del diritto di proprietà, non escludendo l'articolo 42, secondo comma, "che tale difesa, in certe situazioni, sia subordinata a condizioni o a presupposti o ad un particolare comportamento dello stesso proprietario". per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione proposta con l'ordinanza 5 luglio 1967 del tribunale di Ancona sulla legittimità costituzionale dell'art. 207, lett. b, del decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1969. GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - ANGE LO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI.