N. 149 SENTENZA 28 GIUGNO 1973 Deposito in cancelleria: 18 luglio 1973. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 191 del 25 luglio 1973. Pres. BONIFACIO - Rel. VOLTERRA LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Presidente - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI - Avv. LEONETTO AMADEI - Prof. GIULIO GIONFRIDA Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI, Giudici, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2141, 2142, 2150, primo comma, del codice civile e dell'art. 7 della legge 15 settembre 1964, n. 756 (Norme in materia di contratti agrari), promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1970 dal pretore di Pietrasanta nel procedimento civile vertente tra Benedetti Ivo ed altro e Galleni Piera, iscritta al n. 172 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 151 del 16 giugno 1971. Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1973 il Giudice relatore Edoardo Volterra; udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto: 1. - Nel procedimento di opposizione all'esecuzione di una ordinanza di rilascio per finita mezzadria promosso da Benedetti Ivo e Neri Ivana, il pretore di Pietrasanta con ordinanza 10 novembre 1970 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del disposto degli artt. 2141, 2142, 2150, primo comma, del codice civile e 7 della legge 15 settembre 1964, n. 756, che regolano la posizione della famiglia colonica nel rapporto di mezzadria, sotto il profilo di un preteso contrasto con i principi fissati dagli artt. 2, 3 e 4, secondo comma, 16, primo comma, 24, primo comma, e 29, secondo comma, della Costituzione. Si assume dal giudice a quo che, poiché il mezzadro obbliga nei confronti del concedente la propria famiglia mediante una rappresentanza ex lege e non in virtù di una libera scelta dei singoli membri, la posizione che questi ultimi vengono ad assumere nel rapporto si risolve in una forma di subordinazione gerarchica rispetto al capo, che limita gravemente ogni loro diritto in ordine alla libertà di lavoro ed alla tutela dei loro interessi eventualmente non coincidenti con quelli del capofamiglia. Si verrebbe così a configurare al fondo del rapporto di mezzadria una matrice autoritaria e un disprezzo, forse storicamente comprensibile ma non più giustificato, del principio democratico che, seppur non consacrato in una norma precisa, costituisce l'ossatura della nostra Carta costituzionale. 2. - L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, il quale ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata. Infatti, secondo l'Avvocatura, benché la natura della famiglia colonica sia stata sempre oggetto di contrasti, sarebbe rilevante che sia stato quasi concordemente riconosciuto che il rapporto ha base contrattuale. Dato ciò, e date le reali caratteristiche fondamentali dell'istituto, si rivelerebbe sicuramente provata la tesi per la quale la famiglia colonica realizza una particolare organizzazione a base contrattuale di tipo molto affine alla società regolata dal codice civile, ma retta da norme proprie stabilite dalle consuetudini locali. Da quanto premesso, apparirebbe chiara l'infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale. Nessun contrasto potrebbe infatti ravvisarsi tra la normativa impugnata ed i principi fissati dagli artt. 2, 3, 4 e 16 della Costituzione, essendo il componente della famiglia colonica adeguatamente tutelato in relazione sia al proprio rapporto di lavoro, sia ai poteri, peraltro limitati, che per la stessa struttura della famiglia necessariamente sono riconosciuti al capo di essa, sia infine alla libera scelta della propria attività di lavoro. Il fatto poi che l'art. 7 della legge 15 settembre 1964, n. 756, preveda ancora che la composizione della famiglia colonica non può essere modificata senza il consenso del concedente, quando ne risulti compromessa la normale conduzione del fondo, non inciderebbe direttamente sulla libertà dei membri della famiglia, che possono sempre recedere dal rapporto societario. Né alcun contrasto sussisterebbe con gli altri principi costituzionali invocati dal pretore di Pietrasanta. Per quanto attiene all'art. 24, primo comma, non sarebbe infatti precluso ai membri della famiglia il diritto di agire a tutela dei propri interessi in relazione a quelli che sono i rapporti interni, mentre per quelli che sono i rapporti esterni del consorzio familiare è logico che la rappresentanza di questo sia demandata a chi è ad esso preposto in virtù di un negozio consensuale e con l'espressa approvazione della maggioranza che le consuetudini richiedono allorché si tratta di decidere le questioni più importanti. Del tutto ultroneo sarebbe infine ogni riferimento all'articolo 29 della Costituzione, tanto più ora che il già citato art. 7 della legge n. 756 ha completamente parificato il lavoro della donna a quello dell'uomo ed attesa altresì la posizione di assoluto rilievo ed importante quasi quanto quella del capo famiglia che, secondo le consuetudini, assume la donna, la cosiddetta massaia. Considerato in diritto: 1. - La questione sollevata dall'ordinanza pretorile concerne la legittimità costituzionale degli artt. 2141, 2142, 2150, primo comma, del codice civile per quanto attiene alla rilevanza nei confronti dei componenti la famiglia colonica della rinuncia al rapporto di mezzadria e in genere degli atti di obbligazione compiuti con terzi dal mezzadro, e dell'art. 7 della legge 15 settembre 1964, n. 756, in relazione agli articoli 2, 3, 4, comma secondo, 16, comma primo, 24, comma primo, e 29, comma secondo, della Costituzione. Secondo il giudice a quo l'istituto della mezzadria presenterebbe le seguenti caratteristiche: 1) la facoltà di rappresentanza del mezzadro non nascerebbe da una libera scelta dei membri della famiglia, ma da una situazione di fatto "che può corrispondere ad un'intenzione profonda, ma può anche discostarsene". Infatti, osserva il giudice a quo, "si può rimanere implicati nel rapporto di mezzadria e obbligati per atto del mezzadro anche in base ad un rapporto di coniugio o di parentela con questo ultimo e di collaborazione nella gestione del fondo accompagnata dalla coabitazione nella casa comune". 2) Il rapporto così costituito non potrebbe essere facilmente modificato. 3) La rappresentanza del mezzadro, derivando direttamente dalla legge, non potrebbe essere revocata dagli interessati. 4) Ai contratti conclusi dal mezzadro non sarebbe applicabile l'art. 1394 del codice civile. Pertanto, il rapporto tra il mezzadro e la famiglia colonica terrebbe più del vecchio rapporto patriarcale basato sulla subordinazione gerarchica dei componenti la famiglia al capo di questa, che del rapporto di rappresentanza, il che sarebbe confermato dall'art. 2141 del codice civile che definisce il mezzadro come "capo di una famiglia colonica". Ciò, secondo il pretore, sarebbe in contrasto con l'art. 2 della Costituzione in quanto, nell'ambito della famiglia colonica, non sarebbero rispettati i diritti inviolabili dell'uomo, non essendo riconosciuto ai singoli membri di questa nessun diritto per ciò che riguarda il proprio rapporto di lavoro e creando in tal modo una diseguaglianza radicale fra il capo e i membri della famiglia stessa. Sarebbe ancora in contrasto con l'art. 4, comma secondo, in quanto porrebbe ostacoli alla libera scelta della propria attività di lavoro, con l'art. 16, primo comma, in quanto il componente rimane vincolato "contro sua volontà" alla terra da coltivare, con l'art. 24, comma primo, in quanto i singoli membri della famiglia colonica non potrebbero agire in giudizio per la tutela dei propri interessi relativi al rapporto di mezzadria, con l'art. 29 in quanto prevederebbe una diseguaglianza, nell'ambito della famiglia, tra chi è capo e chi non lo è, a conferma, aggiunge il giudice a quo, "della tradizionale superiorità dell'uomo sulla donna". 2. - La questione è infondata. Gli argomenti invocati dal pretore si risolvono in sostanza in una critica, sotto un profilo prevalentemente sociale, dell'istituto della mezzadria, ma non incidono sul piano giuridico sulla legittimità costituzionale delle norme impugnate. La posizione giuridica del capo della famiglia colonica e i rapporti intercedenti fra questo e gli altri membri della famiglia non può configurarsi, come afferma il giudice a quo, come attinente "molto più al vecchio rapporto patriarcale basato sulla subordinazione gerarchica dei componenti la famiglia al capo di questa, che al rapporto di rappresentanza" e tanto meno può condividersi la convinzione espressa dal medesimo giudice che "c'è nel rapporto di mezzadria una matrice autoritaria e un disprezzo, forse storicamente comprensibile, ma non più giustificato, del principio democratico, che, seppur non consacrato in una norma precisa, costituisce l'ossatura della nostra Carta costituzionale". Come è noto, invece, la dottrina, pur attraverso incertezze e discussioni, tende quasi concordemente a riconoscere la natura associativa della mezzadria e a considerarla basata su un rapporto contrattuale volontariamente concluso fra il concedente del fondo e la famiglia colonica rappresentata dal capo di essa, avente come oggetto la coltivazione di un fondo e l'esercizio delle attività connesse al fine di dividere fra le parti contraenti i prodotti e gli utili. Tale rapporto crea vincoli reciproci vari di obbligazione fra tutti i partecipanti all'impresa, ma non limita la sfera della loro libertà individuale né i diritti inerenti alla loro persona. L'appartenenza alla famiglia colonica del singolo individuo avente piena capacità giuridica non è coattiva, ma espressamente o tacitamente volontaria. La cessazione di appartenenza alla famiglia o comunque la modificazione della composizione di questa, che la legge espressamente prevede all'art. 2142 del codice civile ed all'art. 7 della legge 15 settembre 1964, n. 756, può incidere sul rapporto contrattuale con conseguenze puramente patrimoniali solo in quanto sia compromesso il raggiungimento del fine economico del rapporto mezzadrile e cioè la coltivazione del fondo, ma non ha alcun effetto sulla personalità dei singoli membri della famiglia colonica. I poteri di rappresentanza che la legge conferisce al capo della famiglia colonica, designato o riconosciuto come tale per atto di volontà espresso o tacito di coloro che si costituiscono in famiglia colonica o si riconoscono far parte di questa, attengono, per quanto riguarda i singoli membri, ai rapporti di mezzadria nei confronti del concedente e di terzi, e cioè ai rapporti di collaborazione nella coltivazione del fondo e in quelli relativi alla raccolta, alla divisione, al commercio dei prodotti. Si svolgono pertanto nella sfera di interessi patrimoniali e non implicano un illegittimo potere autoritativo sulle persone dei componenti la famiglia colonica. Anche la direzione dei lavori agricoli attiene alla coltivazione del fondo nell'interesse comune e trova la sua base nel rapporto societario costituito tra coloro che volontariamente compongono la famiglia colonica. La struttura di questa non importa una disuguaglianza giuridica tra i suoi membri, essendo riconosciuti e tutelati in ugual misura i diritti di ciascuno di essi, ma attua nel suo interno una distribuzione di funzioni, necessaria alla coltivazione del fondo e al soddisfacimento dell'interesse comune. L'obbligo del capo di perseguire, nella sua qualità di rappresentante legale, l'interesse comune della famiglia colonica, costituisce un principio di tutela dei diritti di questa. Ove agisca contro gli interessi del gruppo, i singoli potranno sempre chiedere, alle condizioni di cui all'art. 1394 del codice civile, l'annullamento del rapporto obbligatorio costituito nei confronti di terzi senza subirne le conseguenze dannose, così come potranno chiedere nei confronti del capo della famiglia, eventuali risarcimenti. 3. - L'esatta configurazione giuridica del rapporto di mezzadria consente di escludere che le norme denunziate violino i principi invocati della Costituzione. Non contrastano con gli artt. 2, 3, 4, secondo comma, della Costituzione, in quanto il far parte di una famiglia colonica non implica alcuna limitazione dei diritti inviolabili che la Costituzione garantisce, né costituisce alcuna disparità sociale e giuridica nei confronti degli altri cittadini, né limita la scelta dell'individuo a svolgere attività o funzioni che concorrano al progresso materiale o spirituale della società. Né è esatto che i principi costituzionali sarebbero violati, in quanto al membro della famiglia colonica non sarebbe riconosciuto nessun diritto per ciò che riguarda il proprio rapporto di lavoro. L'esercizio dei poteri di rappresentanza del capo, consentito nell'interesse e nell'utilità del gruppo, mostra come la tutela dei rapporti lavorativi dei singoli sia pienamente attuata. Del pari le norme denunziate non risultano violare il principio di cui all'art. 16, comma secondo, della Costituzione in quanto l'appartenenza alla famiglia colonica non esclude la libertà del singolo di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi. È evidente che la variazione della famiglia colonica ai sensi dei citati artt. 2142 cod. civ. e 7 della legge 15 settembre 1964, n. 756, non è affatto esclusa o vietata, ma, solo nel caso che risulti compromessa la normale conduzione del fondo, potrà avere conseguenze di natura meramente patrimoniale. Non risulta violato l'art. 24 della Costituzione in quanto le norme impugnate non escludono la tutela giudiziaria dei diritti del singolo membro della famiglia colonica anche nei confronti del capo di essa, e nemmeno l'art. 29 in quanto non solo nessuna delle norme impugnate afferma una soggezione della donna all'uomo, o fa a questa una posizione di inferiorità nella famiglia colonica o esclude che una donna possa assumere la posizione di capo della famiglia medesima, ma nell'art. 7 della citata legge 15 settembre 1964, n. 756, è espressamente dichiarato che il lavoro della donna è considerato "equivalente a quello dell'uomo". Nell'interno di determinate famiglie coloniche, anche in base ad antichissime consuetudini, si riconoscono alla donna particolari poteri di amministrazione e gestione ed anche di direzione di lavori domestici e inerenti alla coltivazione del fondo. 4. - Va pertanto dichiarata l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal giudice a quo, degli artt. 2141, 2142 e 2150 del codice civile e dell'art. 7 della legge 15 settembre 1964, n. 756, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, comma secondo, 16, comma primo, 24, comma primo, e 29, comma secondo, della Costituzione. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2141, 2142 e 2150 del codice civile e dell'art. 7 della legge 15 settembre 1964, n. 756 (norme in materia di contratti agrari), in riferimento agli artt. 2, 3, 4, comma secondo, 16, comma primo, 24, comma primo, e 29, comma secondo, della Costituzione sollevata dall'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - GIUSEPPE VERZÌ - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI - LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI. ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere