N. 181 SENTENZA 14 LUGLIO 1976 Deposito in cancelleria: 22 luglio 1976. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 198 del 28 luglio 1976. Pres. ROSSI - Rel. OGGIONI LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Prof. PAOLO ROSSI, Presidente - Dott. LUIGI OGGIONI - Avv. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Avv. LEONETTO AMADEI - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO, Giudici, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 2, lett. b, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1974 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Di Tommaso Myriam e Macchi Egisto, iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 dell'8 maggio 1974. Visti gli atti di costituzione di Di Tommaso Myriam e di Macchi Egisto, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1976 il Giudice relatore Luigi Oggioni; uditi l'avv. Franco Ligi, per la Di Tommaso, l'avv. Mauro Mellini, per Macchi, ed il vice avvocato generale dello Stato Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto: Nel procedimento in grado di appello concernente la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio di Macchi Egisto e Di Tommaso Myriam, separati di fatto, non consensualmente, dal 1964, pronunziata a norma degli artt. 2 e 3, n. 2, lett. b, legge 1 dicembre 1970, n. 898, con sentenza del tribunale di Roma in data 7 luglio 1972, impugnata dalla Di Tommaso, la difesa dell'appellante sollevava questione di legittimità costituzionale dell'intera suddetta legge n. 898 del 1970 e, comunque, del citato art. 3, n. 2, lett. b, per pretesa violazione degli artt. 29 e 31 della Costituzione. La difesa osservava al riguardo che la legge nel suo complesso, attraverso la casistica di ipotesi di scioglimento del matrimonio ivi previste in collegamento con un pregresso periodo di separazione (due anni prima dell'entrata in vigore della legge) ed in particolare attraverso il collegamento con un periodo di almeno cinque anni di separazione di fatto come previsto dall'art. 3, n. 2, lett. b, contrasterebbe con il principio della stabilità della famiglia garantito dalle invocate norme costituzionali, in quanto condizionerebbe la permanenza del matrimonio unicamente alla volontà anche di uno solo dei coniugi, con il conseguente possibile moltiplicarsi di matrimoni irresponsabili, facilitati dalla prospettiva di ottenere il divorzio alla scadenza dei termini di legge. Con ciò, affermava sempre la difesa della Di Tommaso, si favorirebbe la disgregazione dell'istituto familiare, a tutto danno delle parti più deboli, cioè della moglie e dei figli, che nulla potrebbero opporre alla pronunzia di scioglimento in presenza dei requisiti della separazione protratta per il tempo richiesto, il quale tempo, in ogni caso, non sarebbe in pratica sufficiente per fare ragionevolmente ritenere preclusa ogni possibilità di riconciliazione coniugale. Inoltre, l'art. 3, n. 2, lett. b, citato, col richiedere il requisito della separazione di fatto protrattasi per almeno cinque anni, purché però a far tempo da non meno di due anni prima dell'entrata in vigore della legge in esame porrebbe una discriminazione irrazionale, a carico dei coniugi separati di fatto prima del detto termine, ai quali soltanto, senza plausibile motivo, si applicherebbe la disciplina del divorzio automatico sopra censurata. La Corte di appello di Roma, con ordinanza 29 gennaio 1974, faceva riferimento alle eccezioni come sopra formulate e ritenutele rilevanti perché concernenti la possibilità di dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio nel caso di specie, osservava, quanto alla non manifesta infondatezza che, in effetti, la subordinazione della pronunzia dello scioglimento alla sola separazione di fatto prevista dalla norma specificamente denunziata, collegherebbe automaticamente la possibilità dello scioglimento del matrimonio ad una decisione unilaterale di uno dei coniugi. Il che apparirebbe in contrasto non solo con le norme invocate dalla difesa della Di Tommaso (artt. 29 e 31 Cost.), ma anche con l'art. 2 Cost. che garantisce la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo e l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale. Inoltre, la disciplina delle separazioni di fatto verificatesi almeno due anni prima dell'entrata in vigore della legge in esame concreterebbe anche la denunziata violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) poiché solo in relazione ad esse si applicherebbe la disciplina dello scioglimento o della cessazione automatica degli effetti civili del matrimonio, mentre, solo per ragioni temporali, sfuggirebbero a tale conseguenza le identiche situazioni verificatesi dopo il termine di legge. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 119 del 1974. Avanti alla Corte costituzionale si è costituita la Di Tommaso, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Ligi, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni. La difesa sviluppa le considerazioni svolte a suo tempo e quelle contenute nell'ordinanza di rinvio, ed in particolare pone in rilievo, quanto alla pretesa violazione dell'art. 2 Cost., il grave danno morale e materiale che per effetto della norma impugnata subirebbe, senza adeguata giustificazione, il coniuge dissenziente, il quale, senza sua colpa e senza potersi opporre, si trovi a perdere lo stato di coniugato, con tutte le relative conseguenze di ordine giuridico e sociale, incidenti sulla dignità della sua persona. Insiste poi nel prospettare la pretesa violazione dei principi della unità familiare e della tutela della funzione familiare che deriverebbero dalla disciplina impugnata, affermando, in sostanza, che la legge avrebbe trasformato il matrimonio da istituto giuridico stabile e permanente in un rapporto precario, anche senza il consenso di entrambe le parti. Con riguardo al profilo di illegittimità sollevato in relazione all'art. 3 Cost. la difesa della Di Tommaso insiste nel prospettarne la violazione per motivi sostanzialmente corrispondenti a quelli enunciati nell'ordinanza di rinvio. Si è altresì costituito il Macchi, rappresentato e difeso dall'avv. Biagio Sorrentino, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni. La difesa del Macchi contesta la fondatezza delle questioni sollevate affermando che la separazione di fatto, prolungatasi per anni, farebbe ragionevolmente presumere la impossibilità morale e materiale di una ripresa della vita in comune, sicché giustamente in questi casi il vincolo sarebbe da considerarsi non più esistente e dovrebbe ritenersi legittima la facoltà di recedere dal rapporto matrimoniale anche di uno solo dei contraenti, tanto più che la legge impugnata prevede l'obbligo alimentare a carico del coniuge che chiede lo scioglimento del matrimonio. Si è infine anche costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni difensive. L'Avvocatura osserva, anzitutto, che nell'ordinanza non si darebbe alcuna ragione in ordine alla rilevanza della questione di legittimità dell'intera legge n. 898 del 1970, rilevanza che, comunque, non sussisterebbe se non in riferimento alla specifica questione sollevata nei confronti dell'art. 3, n. 2, lett. b, della legge stessa. Nel merito l'Avvocatura osserva che la separazione di fatto sarebbe stata assunta come causa possibile di divorzio in una disposizione di carattere transitorio, in vista del notevole numero di separazioni di tal natura in atto al momento della entrata in vigore della legge istitutiva del divorzio, e della opportunità quindi di una norma diretta a sanare tale temporanea situazione. Non sarebbe, in dette circostanze, ravvisabile un contrasto della norma col principio della solidarietà sociale sancito dall'art. 2 Cost., tenuto anche conto che tale dovere viene ampiamente realizzato dopo lo scioglimento del matrimonio, attraverso la corresponsione al coniuge, avente diritto, dell'assegno previsto dagli artt. 5 e 6 della legge n. 898 del 1970. Neppure fondato sarebbe il profilo di illegittimità delineato in relazione all'art. 29 della Costituzione. Invero, mentre il riconoscimento dei diritti della famiglia, sancito dal primo comma di tale articolo, avrebbe solo il significato di un impegno per lo Stato di garantire il funzionamento dell'istituto familiare, finché ne sussistano le condizioni di coesione interna indispensabili, i principi dell'eguaglianza fra i coniugi e dell'unità della famiglia, sanciti dal secondo comma, varrebbero solo nel caso di effettiva funzionalità dell'istituto, trovando invece la sua crisi adeguata regolamentazione nelle norme concernenti la separazione legale e lo scioglimento del vincolo. Anche insussistente sarebbe poi il lamentato contrasto della disposizione impugnata con l'art. 31 Cost., il quale avrebbe egualmente ad oggetto l'istituto familiare a condizione che persistano i legami affettivi che hanno dato luogo al matrimonio, mentre, in caso contrario, dovrebbero soccorrere altri strumenti giuridici, quali appunto, lo scioglimento disciplinato dalla legge n. 898 del 1970. Infine, secondo l'Avvocatura, la norma impugnata non contrasterebbe neppure con l'art. 3 Cost., poiché la scelta del termine di almeno due anni dall'inizio della separazione di fatto anteriormente all'entrata in vigore della legge, apparirebbe pienamente giustificata, riflettendo l'esigenza, non irrazionale né arbitraria, di regolare in via transitoria quelle situazioni che, per l'effettiva cessazione della convivenza, e la presumibile serietà del proposito di spezzare i legami matrimoniali, richiedessero il riconoscimento della loro rilevanza giuridica ai fini perseguiti dalla legge istitutiva del divorzio. La difesa della Di Tommaso ha depositato nei termini una memoria illustrativa con cui, dopo avere riconosciuto fondata la puntualizzazione della questione sostenuta dall'Avvocatura e dopo avere quindi ammesso che la questione stessa andrebbe circoscritta alla pretesa illegittimità della sola norma di cui all'art. 3, n. 2, lett. b, della legge n. 898 del 1970, e non investire quindi l'intero testo legislativo, riafferma le tesi già svolte circa l'automatismo dello scioglimento del matrimonio in caso di separazione di fatto ed insiste nell'evidenziare nella disciplina impugnata le carenze di tutela che pregiudicherebbero le parti più deboli. In particolare, poi, rileva che la persistenza dei legami affettivi e spirituali, cui, secondo l'Avvocatura, dovrebbe essere subordinata la tutela della famiglia apprestata dagli artt. 29 e 31 Cost., sarebbe sostanzialmente rimessa alla volontà di una sola delle parti del rapporto matrimoniale, mentre, in occasione della pronunzia di scioglimento del matrimonio, dovrebbero essere considerati tutti i portatori di interessi nel rapporto familiare con l'attribuzione di maggiori poteri di intervento del pubblico ministero e del giudice. Per quanto riguarda il profilo di illegittimità prospettato in ordine alla pretesa violazione dell'art. 3 Cost., la difesa della Di Tommaso insiste sulle precedenti argomentazioni ed afferma che la posizione dei separati di fatto durante il biennio precedente all'entrata in vigore della legge n. 898 del 1970 sarebbe stata regolata in modo anomalo e discriminante sia rispetto alla legislazione precedente in materia matrimoniale, sia rispetto alla nuova disciplina dello scioglimento, senza che tale anomalia possa trovare legittimazione nella temporaneità della norma. D'altra parte, il lungo iter della legge sul divorzio avrebbe dato concretamente il modo di ottenere la separazione legale a chi intendesse valersene ai fini del divorzio, per cui l'adozione della disciplina transitoria in esame apparirebbe comunque ingiustificata. Anche la difesa del Macchi ha depositato nei termini una memoria illustrativa con cui insiste nelle tesi precedentemente svolte per respingere le censure di illegittimità e svolge in particolare argomentazioni analoghe a quelle a suo tempo già svolte dall'Avvocatura generale dello Stato, anche per quanto specificamente riguarda la pretesa violazione dell'art. 3 della Costituzione. L'Avvocatura generale ha, infine, anche depositato tempestivamente una memoria illustrativa, con cui ripropone, svolgendoli ampiamente, gli argomenti già addotti per contestare la ammissibilità e fondatezza delle questioni di legittimità sollevate con l'ordinanza in esame. Considerato in diritto: 1. - Con la suindicata ordinanza di rimessione, la Corte d'appello di Roma solleva questione di legittimità dell'intera legge 1 dicembre 1970, n. 898, sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio e, in particolare, dell'art. 3, n. 2, lett. b), della legge stessa nella parte in cui è previsto che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio possano essere domandati da uno dei coniugi quando sia intervenuta, a far tempo da almeno due anni prima dell'entrata in vigore della legge stessa, una separazione di fatto tra i coniugi protrattasi ininterrottamente per almeno cinque anni a decorrere dalla cessazione effettiva della convivenza: ovvero sei anni quando vi sia opposizione da parte del coniuge convenuto. Si assume che la disposizione in esame, potendo dar luogo, una volta accertato il decorso dei termini di durata della separazione di fatto, ad uno scioglimento automatico del matrimonio, anche nel caso di separazione di fatto avvenuta col dissenso dell'uno dei coniugi, costituirebbe violazione dei seguenti articoli della Costituzione: art. 2 (pel venir meno della garanzia di protezione di diritti inviolabili): art. 3 (pel venir meno della garanzia di parità di trattamento, in quanto le conseguenze giuridiche della separazione vengono limitate a quelle verificatesi entro il periodo di tempo come sopra circoscritto): art. 29 (violazione dei diritti della famiglia e dell'uguaglianza tra i coniugi): art. 31 (violazione dei principi sulla formazione della famiglia e sull'adempimento dei relativi compiti). 2. - La Corte osserva, anzitutto, che la questione sollevata in ordine all'"intero testo legislativo" n. 898 del 1970 va dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. È giurisprudenza costante che la questione di legittimità costituzionale di un intero testo legislativo è configurabile solo se le relative censure siano tali da investire tutte le disposizioni denunziate, o se, comunque, le disposizioni stesse siano così intimamente collegate, da dover essere valutate necessariamente nel loro insieme, ai fini del giudizio di legittimità, in relazione al sistema da esse delineato ed attuato (sentt. nn. 19 del 1956; 38 del 1960; 53 del 1962; 46 del 1963; 61 del 1970). La legge qui impugnata consta di disposizioni, le quali, pur essendo fra loro collegate dal comune presupposto della sussistenza di circostanze obbiettive dalle quali sia desumibile che la comunione spirituale e materiale fra i coniugi non possa essere mantenuta o ricostituita (art. 1), sono, tuttavia, articolate in funzione di una casistica obbiettivamente precisata dalla stessa legge (art. 3) che investe una serie di situazioni diverse fra loro. D'altra parte, la motivazione svolta nell'ordinanza di rinvio non investe direttamente il suddetto principio generale dello scioglimento del matrimonio per accertata impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione spirituale e materiale tra i coniugi, ma fa riferimento ad una asserita automaticità della dichiarazione di scioglimento del matrimonio, conseguente ad una separazione di fatto protratta per un determinato periodo, prevista specificamente dall'art. 3, n. 2, lett. b), come causa possibile di scioglimento del matrimonio. La legge impugnata, nel suo complesso, consta di disposizioni che, pur collegate nel senso sopra illustrato, conservano tuttavia una propria autonomia, tale da escludere che esse debbano essere valutate necessariamente nel loro insieme, ai fini del presente giudizio di legittimità, il quale concerne, nei termini in cui è stato sollevato, un ben preciso delimitato aspetto della complessa normativa dettata dalla legge a proposito delle possibili cause di scioglimento del matrimonio. Di conseguenza, la questione deve essere ricondotta al controllo della legittimità dell'art. 3, n. 2, lett. b), della legge in esame, e, solo così individuata, risulta ammissibile. 3. - Nonostante che la denuncia di illegittimità costituzionale sia articolata, e formalmente autonomi appaiano i vari motivi dell'asserita contrarietà dell'art. 3, n. 2, lett. b, in parte qua, nei confronti degli artt. 2, 3, 29 e 31 della Costituzione, su due punti si incentra il dubbio avanzato dalla Corte d'appello e su di essi, quindi, si deve rivolgere l'esame di questa Corte. Si assume, in sostanza, che ad integrare la separazione di fatto quale situazione necessaria e sufficiente per chiedere lo scioglimento del matrimonio, sia indifferente, secondo la normativa in esame, che la stessa abbia avuto luogo anche con il dissenso di uno dei coniugi, e che dal decorso degli anzidetti termini di durata della separazione di fatto consegua lo scioglimento automatico del matrimonio. Ma tale assunto non può essere condiviso. Con la legge n. 898 del 1970, e sempre ai fini della pronuncia di scioglimento del matrimonio, la separazione tra i coniugi è considerata rilevante. Ma si distingue tra separazione giudiziale pronunciata con sentenza passata in giudicato, separazione consensuale omologata e separazione di mero fatto. Ed è evidente che le tre ipotesi, oltre che distinte, sono diverse, perché, mentre nelle prime due vi è un momento in cui, sia pure nell'esercizio di funzioni differenti e con atti di corrispondente natura, interviene il giudice ad accertare o a prendere e dare atto che rispettivamente, in concreto, ricorrano cause di separazione personale o il solo consenso di entrambi i coniugi, nella terza ipotesi, quella della separazione di fatto, manca l'intervento del giudice. Ai fini che qui interessano, ad integrare codesta terza ipotesi, non basta il mero fatto della separazione tra i coniugi. Non si richiede, invero, che tale fatto si sia verificato e mantenuto per accordo o con il consenso dei coniugi ovvero ad iniziativa di uno solo di essi e senza l'adesione o con l'opposizione dell'altro, perché esso, nella logica della legge n. 898 del 1970, ha valore solo sul terreno probatorio come dato da cui possa desumersi, secondo l'id quod plerumque accidit, che tra i coniugi separati di fatto, sia venuta meno, in un dato momento e per un dato periodo, la comunione spirituale e materiale. Ed allora occorre che al mero fatto della separazione in concreto si accompagni ogni altro elemento che la cessazione (con la mancata ricostituzione) di detta comunione faccia apparire effettivamente avvenuta. Così intesa la fattispecie de qua, si ha, poi, che nelle tre ipotesi sopraddette, vengono ad essere riconosciuti come essenziali, elementi che ne rendono possibile una complessiva considerazione in termini di omogeneità e di razionale assimilabilità, in funzione dell'eguaglianza di trattamento. Ed a ciò non è di ostacolo il disposto dell'ultima parte del primo capoverso dell'art. 3, n. 2, lett. b, là ove si dice che per la proposizione della domanda di scioglimento del matrimonio, nella separazione di fatto iniziatasi anteriormente all'entrata in vigore della legge (e da almeno due anni) "i cinque anni decorrono dalla cessazione effettiva della convivenza". Tale norma, infatti, ha una sua particolare ragione di essere, giacché per la determinazione del momento finale del termine, da calcolarsi a ritroso, ai fini della proposizione della domanda, non si sarebbe potuto non fare riferimento ad un elemento concreto ed esterno e facilmente dimostrabile. Ed in tal senso esaurisce la sua portata. Separazione di fatto e cessazione effettiva della convivenza non possono assumersi come fatti equivalenti: altrimenti, oltre tutto, potrebbe apparire irrazionale (e invece non lo è) il fatto che nelle due altre ipotesi il legislatore non si riferisce, e sempre allo scopo della determinazione del dies ad quem, al momento di perfezionamento (o di passaggio in giudicato) della sentenza, sibbene a quello in cui è avvenuta la "comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale". 4. - Riguardate alla luce delle considerazioni che precedono, le dedotte censure non sono fondate. Escluso che il mero fatto della separazione integri ed esaurisca la fattispecie in ordine alla quale si ragiona, è, del pari, da escludere che dall'accertamento del fatto derivi automaticamente lo scioglimento del matrimonio. Il giudice, adito al fine dell'accoglimento di quest'ultima domanda, deve procedere agli accertamenti occorrenti perché possa formare il proprio convincimento. E, posto che, in concreto, ricorra la condizione di ammissibilità dell'azione, cioè che la cessazione effettiva della convivenza abbia avuto inizio nel tempo richiesto, il giudice ricerca gli elementi probatori necessari e sufficienti al detto fine, non limitandosi a constatare l'esistenza del mero fatto della separazione, ma valutando quegli elementi in funzione della ricerca e determinazione in concreto della cessazione della comunione materiale e spirituale, come fatto permanente ed anche attuale: ciò attraverso successive fasi istruttorie e decisorie (artt. 4 e 5 della legge). 5. - Gli artt. 2, 29 e 31 della Costituzione non sono violati dalla norma oggetto di denuncia. I diritti inviolabili dell'uomo che la Repubblica riconosce e garantisce (art. 2) sono qui oggetto di specifica e particolare considerazione nei successivi artt. 29 e 31, per cui la Repubblica da un canto riconosce i diritti della famiglia e garantisce l'unità familiare e dall'altro agevola la formazione della famiglia. L'art. 3, n. 2, lett. b, in parte qua, della citata legge, come sopra inteso, non si pone contro i diritti della famiglia né incide o compromette l'unità familiare. La famiglia come società naturale fondata sul matrimonio è una realtà sociale e giuridica che presuppone, richiede e comporta che tra i soggetti che ne costituiscono il nucleo essenziale, e cioè tra i coniugi, esista e permanga la più volte ricordata comunione spirituale e materiale. E, del pari, l'unità familiare viene a costituire il fine e il segno di tendenza di un comportamento che di quella comunione sia l'espressione. La norma denunziata, come sopra intesa, non può dirsi che sia un precetto che neghi o comprima alcuno di quei diritti ovvero impedisca o ostacoli il perseguimento od il conseguimento dell'unità familiare. Come nelle altre due ipotesi di separazione giudiziale e di separazione consensuale omologata, il legislatore vuole che il giudice accerti la cessazione e la non ricostituibilità della comunione spirituale e materiale, così, sul terreno di una ragionevole parità di trattamento, lo stesso giudice deve uniformarsi nella ipotesi di separazione di fatto. E da ciò consegue che la norma denunciata non solo non viola le richiamate disposizioni di raffronto, ma addirittura ne costituisce specifica e giustificata applicazione. Come non sussiste tale contrarietà ai precetti costituzionali ora richiamati, così nemmeno ricorre l'ulteriore motivo di denunzia, addotto dal giudice a quo. 6. - Rientra evidentemente nei limiti del ragionevole esercizio della discrezionalità spettante al legislatore che questi, in sede di determinazione del periodo di separazione di fatto e della connessa mancanza della comunione spirituale e materiale tra i coniugi, si riporti a quello specificamente indicato. Trattasi, infatti, di uno spazio di tempo sufficientemente ampio e convenientemente localizzato, perché da esso, in concorso con tutti gli altri elementi necessari ai fini dell'accertamento di cui si è detto, il giudice possa trarre il proprio convincimento. Che dalla norma così congegnata alcuni cittadini possano essere ammessi a fruirne ed altri no, in relazione allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, è inevitabile, ma ciò consegue, in fatto, ad ogni norma che colleghi elementi della previsione nel tempo e ciò faccia, siccome nella specie è avvenuto, in modo razionale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'intera legge 1 dicembre 1970, n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), sollevata con l'ordinanza in epigrafe dalla Corte d'appello di Roma, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 31 della Costituzione; dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 2, lett. b, della predetta legge, nella parte concernente la separazione di fatto iniziata anteriormente alla entrata in vigore della legge stessa: questione sollevata con l'ordinanza in epigrafe dalla Corte d'appello di Roma, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 31 della Costituzione. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1976. F.to: PAOLO ROSSI - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO. ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere