N. 2 SENTENZA 17 GENNAIO 1980 Deposito in cancelleria: 23 gennaio 1980. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 29 del 30 gennaio 1980. Pres. AMADEI - Rel. MACCARONE LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILO ANDRIOLI, Giudici, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 58 e 69 della legge 10 agosto 1950, n. 648 e dell'art. 44 della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riversibilità delle pensioni di guerra), promosso con ordinanza emessa il 3 marzo 1975 dalla Corte dei conti - Sezione III giurisdizionale, sul ricorso proposto da Greco Giovanna ved. Bonomo, iscritta al n. 571 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 267 del 6 ottobre 1976. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 10 ottobre 1979 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone; udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto: Il 12 agosto 1956 fu celebrato il matrimonio fra Michele Bonomo, di anni 78, pensionato di prima categoria per "psicosi epilettica" contratta nella guerra 1915-18, e la signora Giovanna Greco, di anni 61. Il Bonomo morì l'8 febbraio 1957, per tumore al fegato e il Ministero del tesoro, in applicazione degli artt. 58 e 69 della legge 10 agosto 1950, n. 648, e 44 della legge 18 marzo 1968, n. 313, negò alla vedova il trattamento pensionistico di riversibilità, rilevando che esso non le competeva in quanto il matrimonio, senza prole, era durato meno di un anno. Il detto provvedimento negativo fu impugnato dalla Greco avanti alla Corte dei conti che, con ordinanza 3 marzo 1975, ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle norme sopra indicate. Secondo la Corte dei conti, invero, le citate norme, escludendo il diritto della vedova del pensionato di guerra di prima categoria alla pensione indiretta quando il matrimonio sia durato meno di un anno e non sia nata prole, si porrebbero in contrasto con gli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione. A sostegno delle censure il giudice a quo prospetta anzitutto la violazione del principio di eguaglianza perché la lamentata limitazione creerebbe una immotivata distinzione tra vedove il cui matrimonio sia durato meno di un anno e vedove il cui matrimonio sia durato più di un anno e tra vedove dal cui matrimonio sia nata prole e vedove senza prole. Inoltre la moglie, durante il primo anno di matrimonio, avrebbe tutti gli obblighi di legge, mentre si troverebbe in posizione discriminatoria sia rispetto all'altro coniuge, sia nei confronti delle altre donne coniugate, sia nei confronti delle persone non unite da matrimonio. Gli effetti giuridici del matrimonio, poi, risulterebbero ridotti, per la durata del suddetto termine di un anno, ai fini dell'ordinamento pensionistico di guerra, equiparandosi il matrimonio all'unione di fatto, in violazione delle garanzie dell'istituto matrimoniale sancite dall'art. 29 Cost. La negazione del trattamento pensionistico, secondo la Corte dei conti, lederebbe altresì il principio fondamentale in favore della formazione della famiglia, consacrato nell'art. 31 Cost. La fondatezza delle riferite censure non sarebbe pregiudicata da quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 3 del 1975, con cui fu dichiarata infondata la questione di legittimità degli artt. 11, secondo comma, e 19 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, e successive modificazioni, sollevata in quanto, escludendo il diritto a pensione di riversibilità delle vedove dei pensionati statali con durata minima di due anni del matrimonio contratto in data posteriore a quella della cessazione dal servizio del dante causa, le suddette norme si sarebbero poste in contrasto con gli stessi principi costituzionali invocati in questa sede. Invero, il motivo prevalente della detta pronunzia, che sarebbe da identificare nella tutela del pubblico erario contro maliziose e fraudolente iniziative, non potrebbe ritenersi operante nella specie, sia per la natura peculiare della pensione di guerra, il diritto alla quale "sarebbe già acquisito nel patrimonio del dante causa", sia per "l'irrazionalità" del termine di un anno, sia per l'esclusione della possibilità di prova contraria alla presunzione di non genuinità del matrimonio contratto. L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 6 ottobre 1976. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in questa sede con atto depositato il 5 ottobre 1976 ed ha chiesto dichiararsi infondata la questione. L'Avvocatura pone anzitutto in evidenza che, in via generale, il diritto agli assegni pensionistici nei confronti della vedova del pensionato di guerra, verrebbe riconosciuto indipendentemente dalla durata del matrimonio e dall'avvenuta nascita di figli, giacché la disciplina impugnata riguarderebbe soltanto matrimoni avvenuti posteriormente alla data in cui furono riportate le ferite e le malattie da cui è derivata la morte del marito. Il che chiarirebbe la fondamentale finalità delle norme volta ad evitare il formarsi di unioni matrimoniali motivate da interesse puramente economico, e confermerebbe quindi la validità, anche nella specie, delle argomentazioni contenute nella citata sent. n. 3 del 1975 della Corte costituzionale. Né la speciale natura della pensione di guerra, alla quale si richiama l'ordinanza di rinvio, sarebbe idonea a giustificare le conseguenze che se ne vorrebbero trarre giacché, proprio in considerazione di tale natura, la disciplina delle pensioni stesse sarebbe, nel complesso, ispirata a criteri più larghi rispetto alle analoghe discipline contenute negli altri settori della materia pensionistica. Tanto meno avrebbero poi rilievo riferimenti contenuti nella ordinanza di rinvio riguardo alla limitazione della prova della genuinità del matrimonio, dato che, nelle altre normative in materia analoga, tale prova sarebbe parimenti esclusa. E ciò senza dire che l'accoglimento della questione finirebbe col provocare ripercussioni negative per altre categorie di congiunti, per quali la concessione del trattamento pensionistico di guerra è subordinata all'inesistenza del diritto a pensione da parte della vedova. Parimenti infondate sarebbero, infine, anche le questioni relative agli artt. 29 e 31 Cost. Infatti la disciplina in discorso non potrebbe avere nessun rilievo per quanto riguarda diritti della famiglia garantiti dall'art. 29 Cost., mentre altrettanto irrilevante sarebbe l'esclusione del diritto a pensione, nei limiti in esame, ai fini dell'osservanza delle garanzie in favore della formazione della famiglia consacrata dall'art. 31 Cost., giacché si tratterebbe di matrimoni posti in essere per fini di lucro, e, come tali, giustamente ostacolati dal legislatore. Considerato in diritto: L'art. 58 della legge 10 agosto 1950, n.648, nel disciplinare il diritto alla pensione della vedova del pensionato di guerra poneva, come condizione per il riconoscimento del diritto stesso, il fatto che il matrimonio celebrato posteriormente alle ferite o malattie da cui derivò la morte del titolare della pensione non fosse durato meno di un anno, ovvero che fosse nata prole, ancorché postuma. Per il caso in cui, poi, il titolare venisse a morire per cause diverse da quelle che avevano determinato l'invalidità, l'art. 69 della stessa legge prevedeva, a favore della vedova non legalmente separata, il diritto alla riversibilità di una parte della pensione o dell'assegno rinnovabile, di cui godeva od a cui aveva diritto il coniuge, nella misura stabilita dalle leggi sulle pensioni normali, sempre a condizione che il matrimonio non fosse durato meno di un anno, ovvero fosse nata prole, ancorché postuma. Detta disciplina, per quanto riguarda la durata minima del matrimonio e la nascita di prole, risulta confermata dall'art. 44 della legge 18 marzo 1968, n. 313. Le medesime condizioni sono mantenute anche dall'art.40 del d.P.R.23 dicembre 1978, n. 915. La Corte dei conti, con l'ordinanza che ha dato origine al presente giudizio, ha ritenuto che il Ministero del tesoro, fondandosi sulle citate disposizioni del 1950 e del 1968, aveva esattamente negato alla vedova del pensionato di guerra Michele Bonomo, deceduto senza prole dopo meno di un anno dal matrimonio per cause diverse da quelle che avevano determinato l'invalidità. Peraltro lo stesso giudice ha ritenuto di dover censurare la normativa sopra ricordata per quanto riguarda menzionati requisiti per ottenere la pensione di riversibilità, prospettandone il possibile contrasto, in primo luogo, con il principio di eguaglianza, e ponendo in particolare evidenza la discriminazione irrazionale che requisiti medesimi indurrebbero a carico delle vedove di pensionati di guerra in funzione della durata del matrimonio e della sopravvenienza di figli. La censura non è fondata. Questa Corte, invero, ha già avuto occasione di affermare (sent. n. 3 del 1975), in analoga fattispecie concernente l'esclusione del diritto a pensione di riversibilità delle vedove di pensionati statali con durata minima (due anni) del matrimonio contratto in data posteriore a quella di cessazione dal servizio del dante causa, che criteri limitativi per le pensioni di riversibilità derivanti da matrimoni conclusi da già pensionati risultano dettati, in via generale, dal legislatore, come remora alla ipotesi non infrequente di matrimoni contratti non per naturale affetto e quindi, in tal senso, sospettabili, sicché le condizioni restrittive volte a garantire, in qualche modo, la genuinità e la serietà del tardivo coniugio si risolvono anche nella tutela del pubblico erario contro maliziose e fraudolente iniziative. Con ciò, affermava allora questa Corte, doveva riconoscersi la ragionevole giustificazione della restrizione e doveva, quindi, escludersi la violazione dell'art. 3 Cost. Anche nel caso attuale valgono le considerazioni ora richiamate, giacché, per quanto riguarda il limite minimo di durata del matrimonio, è di tutta evidenza che trattasi di cautela volta a tutelare gli stessi interessi perseguiti nell'ipotesi sopra ricordata. Ed anzi, deve rilevarsi che il legislatore, prevedendo il termine minimo di un solo anno, ha sostanzialmente mostrato di essere sensibile ad una esigenza di particolare favore per le pensioni di guerra. Per quanto riguarda poi il particolare aspetto di pretesa discriminazione fra vedove con prole e senza prole, è evidente che la ratio della norma, ispirata ad una tutela più penetrante dei diritti delle prime, risponde a criteri di indiscutibile razionalità, uniformandosi ai principi fondamentali di garanzia della famiglia in genere e di protezione dei figli in particolare. Tanto meno può ritenersi valida, poi, l'argomentazione, pur prospettata dal giudice a quo secondo cui la situazione giuridica della moglie durante il primo anno di matrimonio dovrebbe considerarsi ingiustamente vessatoria, comportando tutti gli obblighi di legge, ed essendo, invece, escluso nello stesso periodo il suo diritto alla pensione. Invero, la già affermata razionalità della differenziazione esclude l'operatività, nella specie, dell'invocato principio di eguaglianza. Né vale a contrastare le conclusioni ora esposte la considerazione che, come pure sostiene il giudice a quo, il motivo della tutela del pubblico erario contro maliziose e fraudolente iniziative, posto a base della citata giurisprudenza di questa Corte, non sarebbe automaticamente applicabile nella specie, per la natura particolare della pensione di guerra, per l'irrazionalità del termine di un anno e per la esclusione della prova contraria alla presunzione di non genuinità del matrimonio contratto. La peculiarità della pensione di guerra, invero, che si identifica nella sua funzione risarcitoria e non meramente assistenziale, non è certamente tale da escludere la operatività, anche in quel campo, delle esigenze di tutela del pubblico erario avvertite a proposito delle pensioni civili, giacché le esigenze stesse riguardano in entrambe le ipotesi, la finanza pubblica e sono indipendenti dalla natura dell'istituto giuridico cui si riferiscono. A dimostrazione della ragionevolezza del termine di un anno, vale, poi, quanto già sopra si è osservato in proposito mentre è chiaro che la lamentata assolutezza della cautela adottata dal legislatore ha in sé una forza logica sufficiente a giustificarne l'operatività e tale, quindi, da escludere la violazione dell'art. 3 Cost. Si assume anche che la censurata restrizione inciderebbe sui diritti della famiglia, in quanto, per la durata di un anno, ne limiterebbe la pienezza degli effetti giuridici, in violazione dell'art. 29 Cost. Ma è agevole osservare che - come questa Corte ha pure, nel caso analogo sopra richiamato, avuto modo di affermare - la normativa in esame esula dal campo dei diritti e doveri reciproci tra membri del nucleo familiare, cui invece si riferisce la norma costituzionale invocata. Quest'ultima, invero, salvaguarda essenzialmente contenuti e gli scopi etico- sociali della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, quali non vengono in considerazione in tema di diritto a conseguire una pensione di riversibilità, che inerisce ad un momento strettamente economico e, come tale, non direttamente influente ai fini suddetti. Analoghe considerazioni possono svolgersi, infine, per quanto riguarda il preteso ostacolo alla formazione della famiglia ravvisato nella normativa impugnata, con conseguente assunta violazione dell'art. 31, primo comma, Cost. Anche a tale proposito, invero, non può non farsi riferimento ai contenuti ed agli scopi dell'istituto della famiglia costituzionalmente tutelati quali trascendono, ovviamente, la materia oggetto di questo giudizio, onde non è lecito considerare la limitazione in discorso idonea ad assumere la portata restrittiva prospettata dal giudice a quo. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 58 e 69 della legge 10 agosto 1950, n. 648, e 44 della legge 18 marzo 1968, n. 313, in materia di pensioni di guerra, sollevata dalla Corte dei conti con ordinanza del 3 marzo 1975 in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1980. F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI GIOVANNI VITALE - Cancelliere