N. 523 SENTENZA 26 NOVEMBRE-17 DICEMBRE 1987 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO; ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 523, secondo comma, cod. pen (ratto a fine di libidine), 605 (sequestro di persona), 542, secondo (rectius: terzo) comma, n. 2 (procedibilità d'ufficio per reati contro la libertà sessuale), cod. pen.; promossi con ordinanze emesse il 16 giugno 1986 dalla Corte d'appello di Salerno nel procedimento penale a carico di Rinaldi Pasquale ed altri, iscritta al n. 671 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 56/prima serie speciale dell'anno 1986, e l'8 luglio 1986 al Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Polidori Ulisse ed altro, iscritta al n. 713 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 58, prima serie speciale dell'anno 1986; Udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1987 il Giudice relatore Francesco Saja; Udito l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio per reati contro la libertà sessuale la Corte d'appello di Salerno, con ordinanza emessa il 16 giugno 1986, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 523, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede un aumento di pena per il ratto a fine di libidine se il fatto è commesso a danno di donna coniugata: e ciò per ritenuto contrasto con gli artt. 2, 3, 27 e 29 della Costituzione. Secondo il giudice a quo l'aggravante in questione sottenderebbe come bene protetto la potestas maritalis, in quanto la norma proteggerebbe la donna coniugata in relazione ai doveri di fedeltà verso il marito. La norma stessa, inoltre, non terrebbe conto del maggiore disvalore che dal fatto può derivare alla donna non coniugata; risentirebbe di una concezione superata ed incostituzionale della famiglia, e del rapporto di coniugio in particolare; darebbe importanza ad una qualità anche quando ad essa non corrisponda alcun contenuto sostanziale; trascurerebbe i rapporti di fatto e consentirebbe, infine, che il dovere di fedeltà sia attentato oltre che dalla moglie anche dal terzo, senza dare rilievo alla consapevolezza da parte dell'agente dello stato di donna coniugata del soggetto passivo. 2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri nella causa n. 671/86 per chiedere che la Corte dichiari la questione non fondata, ovvero inammissibile perché argomentata su fatti estranei al caso di specie, o coinvolgenti scelte discrezionali di esclusiva competenza del legislatore. Nega, comunque, l'Avvocatura che la ratio dell'aggravamento sia quella indicata dall'ordinanza, essendo invece da ravvisare nell'intento del legislatore di dare rilievo al maggior danno inferto dal fatto ai diritti della famiglia, e particolarmente all'unità familiare tutelata dal secondo comma dell'art. 29 Cost. 3. - Con ordinanza emessa l'8 luglio 1986 il Tribunale di Milano sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 523, 605, 542, secondo (rectius terzo) comma, n. 2 del codice penale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sul rilievo che il complesso di tali articoli determinerebbe una disparità di trattamento fra il caso in cui la persona offesa dal delitto di violenza carnale, con apprezzabile ed autonoma restrizione della libertà personale, sia un uomo maggiorenne e il caso in cui la persona offesa dagli stessi fatti sia una donna o un minore. Secondo il Tribunale, la disparità sarebbe integrata dalla pena più tenue comminata per l'ipotesi di ratto a fine di libidine (art. 523 cod. pen.), dove soggetti passivi possono essere soltanto un minore o una donna maggiorenne, rispetto a quella prevista per il sequestro di persona, e dalla situazione di procedibilità, che nel primo caso è subordinata alla querela dell'offeso. Disparità che, in tale ipotesi, s'aggrava quando venga compiuto anche il reato che è nella finalità del ratto, il quale reato - fine pure resta non perseguibile se non è sporta querela: mentre, nell'ipotesi dell'uomo soggetto passivo, la perseguibilità ex officio del delitto di sequestro di persona e la sua stretta connessione con quello sessuale successivamente commesso, attiva la procedibilità per quest'ultimo anche se la querela non viene sporta (art. 542, terzo comma, n. 2 cod. pen.). La rilevanza è, secondo il collegio rimettente, nello stesso fatto oggetto del giudizio penale, dovendosi giudicare due agenti di polizia che avevano usato o tentato violenza carnale su di un maggiorenne. Nessuno si è costituito dinanzi alla Corte costituzionale. Considerato in diritto 1. - La questione sollevata dal Tribunale di Milano ha natura diversa da quella formulata dalla Corte di appello di Salerno; tuttavia, poiché le impugnazioni delle due magistrature hanno in comune la norma di cui all'art. 523 cod. pen., gli incidenti possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza. 2. - La questione sollevata dalla Corte d'appello di Salerno è infondata. Non è esatto, invero, che l'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 523 cod. pen. sottenderebbe come bene protetto, relativamente al ratto di donna coniugata, la potestas maritalis, in quanto proteggerebbe il dovere di fedeltà nei confronti del marito. Nei lavori preparatori non esiste alcun accenno a siffatto bene giuridico, né è possibile desumere la relativa tutela dal sistema legislativo, visto che la fattispecie è inserita nel capo concernente i delitti contro la libertà sessuale. Anche a fare riferimento ad una plurioffensività impropria, che spesso ricorre nel codice, è semmai all'istituto della famiglia nel suo complesso che può essere data considerazione, non certo a un "dovere di fedeltà nei confronti del marito". Il concetto di "infedeltà", infatti, nell'ambito matrimoniale, postula una volontaria violazione dei doveri assunti dai coniugi all'atto del matrimonio e non è certo riferibile ad ipotesi di costrizione della volontà. Peraltro, anche la turbatio sanguinis, che potrebbe venire in considerazione, va riferita all'istituto della filiazione legittima oltre che all'interesse del marito. In realtà, in una lettura attuale e adeguata ai principi costituzionali, l'aggravante in parola non viola l'art. 3 Cost. perché il trattamento diverso trova fondamento razionale nel particolare disvalore della violazione. D'altro canto, essa non è nemmeno in contrasto con gli artt. 2 e 29, ché, anzi, ritrova in questi la sua più pregnante giustificazione. Non può essere dubbio infatti che il ratto a fine di libidine di donna coniugata, nell'ambito di quella plurioffensività impropria di cui sopra si diceva, attenta anche, sotto altro profilo, alla famiglia e alla sua unità, oltre alla libertà sessuale della donna rapita. Tant'è vero che una particolare attenuante è dalla legge concessa per il colpevole che, prima della condanna, e senza aver commesso alcun atto di libidine in danno della persona rapita, la restituisce spontaneamente in libertà, "riconducendola alla casa donde la tolse o a quella della famiglia di lei, o collocandola in un altro luogo sicuro, a disposizione della famiglia stessa" (art. 525 cod.pen.). Dove è evidente come la norma concerna pure l'interesse proprio della famiglia. Quanto, poi, alla censura secondo cui non si darebbe alcun rilievo alla consapevolezza da parte dell'agente dello stato di donna coniugata del soggetto passivo, va rilevato che non si tratta di singolarità propria del secondo comma dell'art. 523 cod. pen. L'imputazione delle aggravanti a titolo di responsabilità obiettiva dipende dalla disposizione generale di cui all'art. 59, primo comma, cod. pen., peraltro in relazione al principio di cui al terzo comma dell'art. 42 cod. pen.: norme che non sono state impugnate. Né, d'altra parte, si deduce nell'ordinanza che, nella specie, l'agente ignorasse lo stato di donna coniugata della rapita. 3. - La questione sollevata dal Tribunale di Milano, con cui in effetti si contesta la vigente regolamentazione normativa del sequestro di persona e se ne pretenderebbe una modificazione, è inammissibile. La disciplina che il legislatore ha dato al sequestro di persona non ha nulla d'irrazionale, in quanto si tratta di una scelta di politica criminale che il medesimo ha effettuato avvalendosi di poteri discrezionali non censurabili in questa sede. D'altra parte va rilevato che, mentre non regge chiaramente, per l'evidente eterogeneità delle situazioni, la dedotta analogia col ratto di donna o di minore a fine di libidine, anche il petitum in sé considerato dimostra l'impossibilità di decidere la questione nel merito, pretendendosi dall'ordinanza di rimessione che la Corte dichiari punibile a querela dell'offeso anche il sequestro di persona e diminuisca le pene fissate dal codice: il che esula chiaramente dalle funzioni della Corte stessa, trattandosi di materia riservata al potere legislativo, sicché la questione, anche sotto tale angolo visuale, risulta inammissibile. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 523, secondo comma, cod. pen., sollevata dalla Corte d'appello di Salerno, con ordinanza 16 giugno 1986 (n. 671/86 reg.ord.), in riferimento agli artt. 2, 3, 27 e 29 Cost.; 2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 523, 605 e 542 cod. pen., sollevata dal Tribunale di Milano con ordinanza 8 luglio 1986 (n. 713/86 reg. ord.), in riferimento all'art. 3 Cost. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1987. Il Presidente: SAJA Il Redattore: SAJA Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1987. Il direttore della cancelleria: MINELLI