N. 644 SENTENZA 8-10 GIUGNO 1988 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, avv. Mauro FERRI, prof. Enzo CHELI; ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina dell'invalidità pensionabile) promosso con ordinanza emessa il 9 luglio 1987 dal Pretore di Pisa nel procedimento civile vertente tra Bernacchi Bandecchi Loriana e l'I.N.P.S., iscritta al n. 560 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1987; Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Renato Dell'Andro; Uditi l'avv. Luigi Maresca per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza emessa il 9 luglio 1987 il Pretore di Pisa ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 12 giugno 1984, n. 222, nella parte in cui dispone che, per la valutazione delle condizioni economiche richieste per il diritto all'integrazione, nel limite massimo del trattamento minimo, dell'assegno d'invalidità, debbano considerarsi anche i redditi del coniuge dell'invalido. Il giudice a quo osserva che la normativa impugnata determina una disparità di trattamento tra invalidi coniugati e non coniugati a favore di questi ultimi; ed osserva anche che non vale a giustificare tale discriminazione il fatto che l'appartenenza ad un nucleo familiare consenta, almeno di regola, all'invalido, grazie alla riduzione di spese nonché all'assistenza e collaborazione del coniuge, d'avere i mezzi necessari per vivere senza che occorra un intervento assistenziale dello Stato (imposto, altrimenti, dall'art. 38 Cost.): infatti, come è stato notato nella sentenza n. 179 del 1976 della Corte costituzionale, data l'estrema varietà delle situazioni concrete, non può essere escluso che gli oneri connessi alla formazione della famiglia compensino il risparmio dovuto alla convivenza. Inoltre, in tal modo, secondo l'assunto sostenuto nell'ordinanza di rimessione, verrebbe ad essere penalizzata la famiglia legittima a vantaggio di quella di fatto, in evidente contrasto con gli artt. 29 e 31 Cost. Peraltro, tutto ciò potrebbe costituire incentivo per i coniugi alla separazione o, comunque, a separazioni fittizie aventi il solo scopo d'eludere la conseguenza, sul piano assistenziale, del cumulo dei redditi familiari. Il giudice a quo ritiene, infine, che escludere o limitare l'intervento assistenziale dello Stato a favore dell'invalido in relazione alla consistenza reddituale del coniuge equivalga ad impedire all'invalido stesso di contribuire in misura rilevante all'educazione, istruzione e mantenimento dei figli, ponendolo, all'interno della famiglia, in uno stato d'inferiorità, mentre, in base agli artt. 3 e 31, secondo comma, Cost., il matrimonio deve essere fondato sull'eguaglianza non soltanto giuridica ma anche morale dei coniugi. 2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione. In primo luogo, l'Avvocatura afferma che, nella propria discrezionale competenza d'intervento assistenziale, il legislatore è libero d'esercitare le sue scelte, purché nei limiti della ragionevolezza. La disparità di trattamento tra coniugati e non coniugati, posta in essere dalla normativa impugnata, trova, a parere dell'Avvocatura, la sua giustificazione in una situazione di fatto, difforme e non equiparabile, che sottende, normalmente, una ripartizione di spese, nell'ambito della famiglia, sulla base dell'esistenza fra coniugi dell'obbligo d'assistenza reciproca garantito giuridicamente. La normativa impugnata, sempre a parere dell'Avvocatura generale dello Stato, non contrasta neppure con l'obbligo d'assistenza dello Stato a favore degli invalidi ex art. 38 Cost., che continua ad esprimersi ed a sussistere pur nella caratterizzazione della norma censurata. Le situazioni di fatto alle quali allude l'ordinanza di rimessione costituiscono aspetti della vita che esulano dal campo d'indagine del legislatore, il quale opera su presupposti e situazioni tipiche e ricorrenti nella quasi totalità dei casi. 3. - Si è costituito in giudizio l'I.N.P.S. concludendo, in via principale, per l'irrilevanza e la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 222 del 1984 e, in via subordinata, per l'infondatezza della questione relativa alla legittimità costituzionale della norma che regola la fattispecie concreta venuta all'esame della Corte costituzionale, da individuare nell'art. 1, quarto comma, della legge n. 222 del 1984. In primo luogo, l'I.N.P.S. ritiene la questione non rilevante e manifestamente infondata per l'errata indicazione della disposizione della quale si contesta la legittimità costituzionale, l'art. 4 della legge n. 222 del 1984, che riguarda i "requisiti di assicurazione e contribuzione per il riconoscimento del diritto all'assegno di invalidità ed alla pensione di inabilità". La norma di cui si lamenta l'incostituzionalità è contenuta, invece, nel quarto comma dell'art. 1 della legge medesima. Nell'esame del merito delle censure prospettate dal giudice a quo, l'I.N.P.S. sostiene che non è violato l'art. 3 Cost., in quanto, trattandosi, nella specie, d'intervento a carattere incontestabilmente assistenziale, che non trova corrispondenza in una provvista contributiva, è evidente che risponde ad una scelta politico-economica e sociale quanto dal legislatore previsto per individuare la ricorrenza o meno d'una situazione reddituale tale da giustificare l'intervento statale. L'integrazione in questione, peraltro, non è incondizionata neppure per i non coniugati: essa, infatti, non spetta a coloro che posseggono redditi propri assoggettabili all'IRPEF per un importo superiore a due volte l'ammontare annuo della pensione sociale. E tale limite non resta invariato per i soggetti coniugati per i quali è previsto il cumulo dei redditi del coniuge: esso, infatti, è elevato a tre volte l'ammontare annuo della stessa pensione sociale. Appare evidente, pertanto, l'intenzione del legislatore d'attribuire carattere sussidiario all'intervento solidaristico pubblico rispetto all'aiuto che la famiglia, attraverso il coniuge, è in grado d'offrire. L'I.N.P.S., infine, considera irrilevanti le argomentazioni addotte a sostegno del preteso contrasto della norma impugnata con gli artt. 29, 30 e 31 Cost. In particolare, non ritiene valido motivo per sostenere l'illegittimità della norma un ipotizzato ed indimostrato comportamento abnorme al quale gli interessati sarebbero indotti al fine di non subire gli effetti determinati dalle norme impugnate. Considerato in diritto 1. - Va anzitutto rigettata la richiesta di dichiarazione d'inammissibilità della proposta questione di legittimità costituzionale. Se è vero che nell'ordinanza di rimessione s'impugna, nel dispositivo, l'art. 4 della legge 12 giugno 1984, n. 222, è anche vero che si tratta, ed in maniera evidente, d'un errore materiale. Sempre, infatti, ci si riferisce, nell'ordinanza in discussione, al contenuto del quarto comma dell'art. 1 della citata legge e mai a quello dell'art. 4 della stessa legge. È certamente da escludere, in ogni caso, che sorgano incertezze, nell'interpretazione dell'ordinanza di rimessione, evidentissima palesandosi, in essa, la volontà del giudice a quo di sollevare questione di legittimità costituzionale in ordine alla disposizione di cui all'art. 1, quarto comma, e non a quella di cui all'art. 4, della legge n. 222 del 1984. 2. - La premessa sulla quale va fondata la valutazione della proposta questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, quarto comma, della legge 12 giugno 1984, n. 222, è costituita dall'indagine sulla natura dell'assegno d'invalidità di cui alla citata legge. Si può, invero, anche prescindere dallo stabilire se sia corretto o meno etichettare l'integrazione dell'assegno ordinario d'invalidità, di cui in narrativa, come "integrabilità al minimo": è ben vero, infatti, che nel terzo comma dell'art. 1 della legge in esame è prevista (insieme al rinvio, ai fini della determinazione dell'ammontare dell'assegno ordinario, alle norme relative all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ovvero alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi) un'integrazione, a carico del fondo sociale, dell'assegno d'invalidità fino alla concorrenza d'un importo, al massimo, pari a quello della pensione sociale; ma è del pari vero che non sono in discussione, nel giudizio a quo, né il fatto che tale integrazione non avvenga secondo la disciplina generale sui minimi di pensione né il fatto che il trattamento pensionistico legale minimo delle singole gestioni costituisca il limite massimo dell'ammontare dell'integrazione in esame; e, d'altra parte, la discrezionalità del legislatore nella determinazione della situazione economico-finanziaria dell'invalido, quale condizione per la sua esclusione dal diritto all'integrazione, discende dalla natura, almeno anche assistenziale e sussidiaria, dell'assegno d'invalidità. In conseguenza, risulta superata ogni utilità interpretativa dell'"etichetta" da assegnare all'integrazione in esame. Va rilevato che può anche discutersi sulle proposte di mutamenti relativi alla natura giuridica dell'assegno d'invalidità e sulle "tendenze" che, in proposito, vanno manifestandosi: ma oggi, nell'interpretare la legge n. 222 del 1984, va sottolineata la natura assistenziale, od almeno mista, dell'assegno in esame. Il quarto comma dell'art. 1 della citata legge, prima ancora dell'esclusione del soggetto coniugato dal diritto all'integrazione dell'assegno (qualora il reddito del medesimo, cumulato con quello del coniuge, sia superiore a tre volte l'importo della pensione sociale) esclude dalla stessa integrazione coloro che posseggono redditi propri assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a due volte (e non a tre, come per i coniugati) l'ammontare annuo della pensione sociale. Non v'è dubbio, pertanto, che il legislatore del 1984 è partito dalla concezione "sussidiaria" dell'assegno d'invalidità, discendente appunto dalla natura almeno parzialmente assistenziale dell'assegno stesso. Quest'ultimo, fra l'altro, non trova corrispondenza in alcuna provvista contributiva; sicché, è certamente da allontanare l'idea d'una prevalente natura previdenziale dell'assegno di cui qui si discute. Deriva che spetta al legislatore scegliere, in base alla generale politica economico-sociale perseguita, le condizioni economico-finanziarie alle quali subordinare l'intervento solidaristico pubblico. Né ci si può esimere dal sottolineare che l'onere finanziario relativo all'integrazione dell'assegno grava sul fondo sociale di cui alla legge 21 luglio 1965, n.903 e, cioè, in sostanza, sull'intera collettività nazionale e non su particolari comunità di lavoratori. Non può, dunque, indiscriminatamente, senza riferimento alcuno al reddito in effettiva disposizione dell'invalido, consentirsi l'integrazione in discussione: ciò equivarrebbe ad irrazionalmente estendere il principio solidaristico pubblico oltre i limiti entro i quali lo stesso principio ha fondamento. 3. - Per quanto attiene, specificamente, alla seconda parte del quarto comma dell'art. 1 della legge in esame, va sottolineato che la norma impugnata, in tanto fa riferimento all'invalido coniugato, in quanto, attraverso l'ammontare del cumulo dei redditi tra l'invalido ed il coniuge, la stessa norma ritiene esclusa l'effettiva situazione di relativa non abbienza dell'invalido, alla quale la legge condiziona l'integrazione qui in esame: non si tratta, pertanto, di discriminazione o di diverso trattamento tra invalidi coniugati e non coniugati ma di determinazione d'un criterio, quello dell'ammontare del cumulo dei redditi dei coniugi, attraverso il quale escludere la (relativa) non abbienza dell'invalido. E tal criterio non può ritenersi irrazionale: poiché, come si è osservato, l'istituto dell'integrazione dell'assegno d'invalidità trova la sua giustificazione (almeno anche) in un effettivo stato di bisogno della categoria protetta, non sono rilevanti, al fine di determinare le condizioni del sorgere del diritto all'integrazione, né la qualità né la provenienza delle diverse voci che compongono il reddito mentre determinante è il livello, derivante dal cumulo, del reddito stesso, tenuto conto soprattutto dell'obbligo d'assistenza reciproca fra coniugi. Non soltanto è presumibile che, dato un determinato livello del reddito, cumulato, dei coniugi, anche l'invalido venga a godere, oltre che d'una normale riduzione delle spese, anche dell'apporto e della collaborazione del consorte, ma quel che più conta è l'obbligo d'assistenza che incombe su quest'ultimo; rispetto a tale obbligo, quello d'assistenza dello Stato, della collettività tutta, è sussidiario. Come potrebbe, diversamente, ritenersi razionale un intervento dello Stato nei confronti d'un invalido che, benché privo di redditi propri superiori ai limiti di legge, versi effettivamente in floridissima situazione economico-finanziaria a causa della convivenza con un coniuge assai abbiente? Sono certamente ipotizzabili, data la variabilità ed irripetibilità del concreto, situazioni anomale in cui gli oneri connessi all'andamento della famiglia compensino (e superino, forse) il risparmio dovuto alla convivenza: ma al legislatore non è dato seguire la non raggiungibile varietà del concreto, dovendosi lo stesso legislatore limitare a prevedere situazioni tipiche e ricorrenti nella quasi totalità dei casi. Poiché l'opposta disciplina dell'integrazione dell'assegno in discussione e cioè il tener conto, ai fini dell'integrazione, del solo reddito dell'invalido, e non anche di quelli del coniuge di quest'ultimo, produrrebbe anche gli effetti perversi ai quali si è innanzi accennato, mentre la scelta effettuata con la norma di cui alla seconda parte del quarto comma dell'art. 1 della legge in discussione tien conto della quasi totalità dei casi di convivenza familiare, si deve escludere ogni censura d'irrazionalità della scelta legislativa operata con la disposizione impugnata. Le sentenze di questa Corte citate nell'ordinanza di rimessione non valgono a sostenere l'assunto del giudice a quo, riguardando esse situazioni del tutto diverse da quelle qui in esame: non v'è chi non veda che la materia che si va trattando in questa sede, attenendo alla natura ed ai limiti dell'intervento solidaristico-assistenziale dello Stato, non consente analogia con materie diversissime, quali, ad es., quella del cumulo dei redditi tra coniugi ai fini della tassazione dei redditi stessi. Esistendo, dunque, particolare diversità tra la situazione dell'invalido non coniugato il cui reddito è inferiore al minimo della pensione sociale e la situazione dell'invalido il cui reddito, cumulato con quello del coniuge, è superiore a tre volte la stessa pensione sociale, la diversità di disciplina tra le predette situazioni non soltanto non è ingiustificata ma, per le ragioni sopra specificate, si manifesta razionale. 4. - Come non risulta violato, dalla norma impugnata, l'art. 3 Cost. così, e per le stesse ragioni innanzi indicate, non risultano disattesi i principi di cui all'art. 38 Cost.: la limitazione contenuta nella seconda parte del quarto comma dell'art. 1 della legge 12 giugno 1984, n. 222 non vanifica ma determina in concreto, per la materia ivi prevista, talune condizioni del sorgere dell'obbligo statale al mantenimento ed all'assistenza di cui al primo comma dell'art. 38 Cost.: quest'ultimo, infatti, prevede che il cittadino, oltre ad essere inabile al lavoro, ha diritto al mantenimento ed all'assistenza sociale allorché manchi dei "mezzi necessari per vivere"; ed è compito del legislatore precisare, nelle diverse realtà, le situazioni nelle quali è razionalmente ravvisabile la predetta mancanza. 5. - La norma impugnata non viola neppure gli artt. 29 e 31 Cost. A parere del giudice a quo la seconda parte del quarto comma dell'art. 1 della legge n. 222 del 1984 penalizzerebbe la famiglia legittima a vantaggio di quella di fatto (non fondata sul matrimonio) in contrasto con gli artt. 29 e 31 Cost. e potrebbe costituire incentivo alla separazione legale dei coniugi o, comunque, a separazioni fittizie idonee ad eludere gli effetti del cumulo dei redditi di cui al comma in esame. Di contro va osservato che, fino al momento in cui la famiglia naturale, non fondata sul matrimonio, non avrà un "qualche" riconoscimento giuridico, non è dato equipararla, e neppure giuridicamente "confrontarla", ai fini di verificare eventuali violazioni degli artt. 3, 29 e 31 Cost., con la famiglia legittima. E, d'altra parte, come s'è già osservato, il legislatore opera su presupposti e situazioni tipiche e non su anomale situazioni concrete. In ordine alle indicate "frodi" alla legge, va ricordato che non è in funzione delle stesse ipotetiche "frodi" che va giudicata la legittimità costituzionale d'una norma: non potrebbe, peraltro, ritenersi razionale una disciplina legislativa che, allo scopo d'ovviare alle predette eventuali "frodi", scegliesse di non tener conto, nella materia qui esaminata, del cumulo dei redditi tra coniugi e, pertanto, consentisse, certamente contro la Costituzione, l'intervento assistenziale dello Stato anche nelle ipotesi-limite in cui non solo non risulti la "non abbienza" dell'invalido ma sia provata una notevole sua agiatezza a causa dell'alto reddito del consorte. 6. - In relazione all'ultima eccezione sollevata dal giudice a quo, secondo la quale la limitazione dell'intervento assistenziale dello Stato a favore dell'invalido, in relazione alla consistenza reddituale del coniuge, impedirebbe all'invalido stesso di contribuire in misura rilevante all'educazione, istruzione, mantenimento dei figli (tale contribuzione costituisce, ex art. 30, primo comma, Cost., oltre che dovere, anche diritto) ponendolo in una situazione d'inferiorità nell'ambito della famiglia, va ancora ribadito che l'intervento assistenziale dello Stato trova, nelle ipotesi d'invalidità, la sua ragione nella "non abbienza" dell'invalido e non certo nella necessità d'ovviare a diversi stati d'inferiorità in cui lo stesso invalido possa eventualmente trovarsi nell'ambito della famiglia. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, quarto comma, della legge 12 giugno 1984, n. 222, questione sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 e 38 Cost., con ordinanza emessa il 9 luglio 1987 dal Pretore di Pisa. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 1988. Il Presidente: SAJA Il relatore: DELL'ANDRO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 10 giugno 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI