N. 957 SENTENZA 26 SETTEMBRE-6 OTTOBRE 1988 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI; ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 573 del codice penale, promosso con ordinanza emessa l'8 giugno 1987 dal Pretore di Civitanova Marche nel procedimento penale a carico di Leombruni Ezio, iscritta al n. 573 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale dell'anno 1987; Visto l'atto di costituzione di Leombruni Ezio nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo. Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza 8 giugno 1987 il Pretore di Civitanova Marche sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 573 cod. pen. con riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione. Riferiva il Pretore nell'ordinanza che due coniugi avevano querelato un giovane psicologo per il reato di sottrazione consensuale della loro figlia diciassettenne per avere con questa coltivato una relazione che, secondo i loro sospetti, si sarebbe estrinsecata in comportamenti che rappresentavano sottrazione della minore alla loro sfera di vigilanza: e ciò, pur tenendo conto della notevole libertà di spostamenti e di movimenti in realtà consentiti alla diciassettenne loro figlia. Aggiungeva il Pretore che - come, del resto, risulta dagli atti la ragazza, raggiunta col diciottesimo anno la maggiore età, aveva liberamente e felicemente contratto matrimonio col giovane laureato, col quale aveva così formato una nuova famiglia. Ciononostante, i genitori non intendevano desistere dalla querela, per cui, dietro sollecitazione della difesa, il Pretore aveva ritenuto rilevante, e non manifestamente infondata, la sollevata questione di legittimità costituzionale. Secondo l'ordinanza, infatti, è da escludere che, nell'attuale evoluzione del diritto di famiglia, il bene giuridico tutelato dalla fattispecie impugnata sia sempre quello stesso che la legislazione degli anni '30 intendeva rigidamente garentire. Deve tenersi conto innanzitutto della mutata formulazione dell'art.147 cod. civ. che, contrariamente a quanto era disposto in precedenza, ha dato rilievo alle capacità, alle inclinazioni naturali ed alle aspirazioni del figlio. In guisa che - secondo il Pretore - oggi la fattispecie in esame non tutelerebbe più semplicemente l'autorità parentale come rigoroso ed astratto diritto dei genitori, ma bensì in funzione delle inclinazioni e delle aspirazioni del figlio. Per tal modo, l'interesse del figlio sarebbe entrato nel cuore dell'oggetto della tutela. Il che si adeguerebbe a tutto quel complesso di norme che, dopo il 1975, avrebbero introdotto all'interno della famiglia sempre maggiori spazi di pariteticità nei confronti dei vari membri, anche se minorenni, purché almeno abbiano raggiunto un'età ormai vicina alla completa maturazione (ultraquattordicenni, ultrasedicenni): e ciò tanto più in considerazione del livello di sviluppo della società e dei processi biologici di reale accelerazione della maturazione psichica umana. In tali condizioni, cui il diritto di famiglia attuale ha anche prestato idonee garenzie d'intervento della magistratura, il minore ultraquattordicenne cesserebbe d'essere un mero oggetto della potestà parentale. Ciò dovrebbe comportare che, almeno dopo avere raggiunta la maggiore età, egli debba essere posto in condizioni di far valere l'interesse suo proprio cui quella potestà è funzionale, consentendogli di far cessare gli effetti di una contraria volontà dei genitori, che le vicende successive (contratto matrimonio e costituzione di una nuova famiglia) hanno dimostrato fin dall'origine pregiudizievole a quelle naturali inclinazioni e a quelle legittime aspirazioni cui quella potestà è oggi funzionale. L'attuale situazione, pertanto, sarebbe innanzitutto incompatibile con il principio di uguaglianza perché, a differenza di altri casi, in cui il minore vede tutelata la sua volontà mediante l'intervento del giudice (interruzione della gravidanza), e comunque, liberata da ogni ulteriore condizionamento l'assetto della sua vita al raggiungimento della maggiore età, diverso è il trattamento dato dal legislatore a questo caso. Da una parte, infatti, il suo consenso è irrilevante a fronte della querela dei genitori (nonostante che quel potere oggi implichi anche un pregnante interesse del minore), e per di più, dall'altra, quella querela continua ad influire sulla sua vita di maggiorenne pregiudicando l'assetto della nuova sua famiglia, senza che la sua volontà possa in alcun modo rimuovere quei perniciosi effetti. Peraltro, l'incompatibilità della norma impugnata si manifesterebbe anche nei confronti dell'art. 2 per l'offesa che così viene a ricevere il diritto inviolabile del minore allo sviluppo della sua personalità sia nella famiglia d'origine che in quella legittima che è andato a costituire: e, per il collegamento all'art. 3, anche nei riguardi degli artt. 29 e 30, perché non verrebbero rispettati dalla fattispecie denunziata i diritti fondamentali della famiglia. 2. - Si è costituita davanti alla Corte la parte privata, rappresentata e difesa dall'avv.Roberto Gaetani, il quale ha innanzitutto contestato che sussista la materialità stessa del fatto di reato addebitato al dott. Leonbruni. Si afferma, infatti, nella memoria di costituzione, che i querelanti si limitano ad adombrare soltanto il sospetto che la figlia diciassettenne, anziché aver trascorso qualche giorno in casa di un'amica - come aveva asserito - sia stata invece con il Leonbruni. D'altra parte, il capo d'imputazione non fa alcun cenno ai fatti, limitandosi a riportare la fattispecie legale. Ciò premesso, la difesa sostiene pienamente le argomentazioni dell'ordinanza di rimessione e fa presente che, dopo la presentazione della querela, i genitori si sono anche rivolti al giudice tutelare per chiederne l'intervento. Il giudice, però, sentita la minore ed assunte informazioni, ha dichiarato non luogo ad intervenire, ed ha anzi verbalizzato che i genitori dichiarano che non intendono proibire la relazione della figlia diciassettenne. La difesa rilevava altresì che la sentenza 25 giugno 1975 n.163 di questa Corte era stata pronunziata prima che fosse nota l'importante riforma del diritto di famiglia, e prima, quindi, che si maturasse l'evoluzione sociale e giuridica dell'ultimo decennio. 3. - Interveniva altresì nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato. Questa riconosce nell'atto d'intervento che effettivamente, per le mutazioni intervenute nel diritto di famiglia e nel costume sociale, "parrebbe più razionale ed ossequiente ai principi costituzionali, richiamati nell'ordinanza di rimessione, una disciplina che assicurasse autonoma rilevanza al concreto interesse del minore: magari prevedendo che, divenuto maggiorenne, questi possa rimettere la querela proposta dal genitore e così estinguere il reato". Poiché, però, una simile operazione postula un intervento "additivo" della Corte, eccedente i limiti dei suoi poteri, ritiene l'Avvocatura che la sollevata questione sia inammissibile. Considerato in diritto 1. - Deve riconoscersi che quanto il Pretore argomenta circa l'evoluzione del diritto di famiglia, a seguito della riforma del 1975, ed in particolare per quanto si riferisce al cosidetto "aspetto interno" della potestà dei genitori, a seguito della mutata formulazione dell'art.147 cod.civ., è esatto. Ciò, del resto, corrisponde anche ai suggerimenti della dottrina civilistica, particolarmente dell'ultimo decennio, e all'indirizzo della stessa giurisprudenza. In altri termini, dal più antico concetto di "patria potestà", intesa come espressione di un diritto soggettivo del paterfamilias, la nozione si è andata sempre più spostando verso quella di "potere" in senso stretto: vale a dire di potestà preposta alla tutela di un interesse alieno, che è poi quello del minore. Ciò comporta che, da una parte, si sieno accresciuti i limiti al potere discrezionale dei genitori e, dall'altra, che questo si vada progressivamente riducendo in rapporto al progressivo accrescersi dell'autonomia e del peso della volontà minorile. Tutto questo, però, può soltanto legittimare il giudice di merito ad adottare, caso per caso, sul piano strettamente interpetrativo, soluzioni diverse, a seconda che la potestà parentale, esercitata ormai al limite del raggiungimento della maggiore età, si dimostri incompatibile con "le capacità, l'inclinazione naturale e le aspirazioni dei figli", specie in relazione a quanto a posteriori fosse rimasto dimostrato dagli accadimenti successivi al raggiungimento della maggiore età. Segnatamente, una volta che - come lo stesso Pretore rappresenta nell'ordinanza - il contenuto del bene giuridico è diventato pregnante, a seguito della riforma, dell'interesse minorile, il giudice di merito ben potrà valutare, volta per volta, se, in relazione alla capacità che il minore aveva acquisito e alle aspirazioni nutrite (specie se i fatti successivi ne hanno dimostrato il buon fondamento), il fatto commesso fosse o non "offensivo" del bene giuridico tutelato, nell'area del principio di cui all'art. 49, secondo comma, cod. pen. 2. - Ma sul piano della legittimità costituzionale non è dato di capire quale dovrebbe essere, secondo il rimettente, la soluzione costituzionalmente obbligata che egli chiede a questa Corte, in quanto non indica quale potrebbe essere, a suo avviso, l'invocato "contemperamento fra interessi contrastanti ed ugualmente meritevoli di tutela". Non evidentemente la pura e semplice declaratoria d'illegittimità costituzionale della norma che lo stesso giudice a quo sembra escludere, e che, comunque, non potrebbe essere cancellata dall'ordinamento senza lasciare impuniti gravissimi fatti, sicuramente lesivi anche dell'interesse del minore. Si allude a tutte quelle ipotesi in cui la sottrazione, sia pure consensuale, si verifica però nei confronti di minore che non è assolutamente in grado di valutare l'importanza e le conseguenze del fatto. Occorrerebbe, perciò, operare delle distinzioni, in ordine alle quali si prospetta la possibilità o di fissare aprioristicamente delle ipotesi (ad esempio: un limite d'età oltre il quale la volontà del minore assume senz'altro rilevanza), oppure di affidare l'indagine al prudente apprezzamento del giudice, caso per caso, quando un limite minimo di età sia stato superato (ad esempio: per gli ultrasedicenni). Ma nell'una come nell'altra ipotesi (e già nella scelta resterebbe violato il potere discrezionale del legislatore), è evidente che la norma dovrebbe subire tali modificazioni e riformulazioni, atte a conciliare l'intervento della volontà di un terzo (il minore) sull'efficacia di una querela di cui non è comunque titolare (né potrebbe esserlo essendo egli consenziente al fatto), anche se sporta nel prevalente suo interesse, da doversi escludere che tutto questo possa rientrare nei poteri di questa Corte: tanto più, poi, che non potrebbero mancare i necessari coordinamenti con altre disposizioni concernenti i minori e, in definitiva, con l'istituto stesso della querela. La proposta questione è, pertanto, inammissibile. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 573 cod. pen., sollevata dal Pretore di Civitanova Marche con ordinanza 8 giugno 1987, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 della Cost. Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 26 settembre 1988. Il presidente: SAJA Il redattore: GALLO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 6 ottobre 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI