N. 454 SENTENZA 19-27 LUGLIO 1989 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI; ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 155, quarto comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 30 dicembre 1988 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Salvadori Manlio e Catini Angela, iscritta al n. 158 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1989; Udito nella camera di consiglio del 5 luglio 1989 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola; Ritenuto in fatto Con ordinanza emessa il 30 dicembre 1988, nel corso del procedimento civile promosso da Manlio Salvadori per il rilascio dell'appartamento occupato da Angela Catini, sull'assunto della carenza del titolo giustificativo del godimento - mentre la convenuta, da parte sua, deduceva di essere la moglie del dante causa e di occupare l'immobile in virtù di sentenza del Tribunale di Roma che, pronunciando la separazione, le aveva assegnato la casa coniugale - il Pretore di Roma ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 155, comma quarto, del codice civile, nella parte in cui non consente al coniuge assegnatario della casa coniugale di opporre ai terzi il titolo attribuente l'assegnazione e quindi di trascrivere lo stesso per gli effetti di cui all'art. 1599 del codice civile. Premesso che la giurisprudenza prevalente - anche anteriore alla novella del 1975 - ha qualificato il diritto del coniuge assegnatario come un diritto di natura personale che non può essere opposto all'acquirente dell'immobile, ritiene il giudice a quo di dover riconsiderare tale soluzione alla luce della nuova disciplina dello scioglimento del matrimonio che, attribuendo anche al coniuge divorziato il diritto di continuare ad abitare nella casa coniugale, ha espressamente previsto all'art. 11, sesto comma, della legge n. 74 del 1987 (che ha modificato l'art. 6 della legge n. 898 del 1970) che "l'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 del codice civile". Con questa norma il diritto all'abitazione è stato trasformato - secondo il giudice rimettente - da una mera modalità di attuazione del credito di mantenimento, in un vero e proprio diritto personale di godimento, strettamente inerente alla res e perciò, di regola, opponibile ai terzi anche oltre il novennio, nulla rilevando nei confronti dell'acquirente la mancanza di corrispettivo per il godimento dell'alloggio. D'altronde, tale disciplina, non essendo estensibile alla materia della separazione - per l'espressa limitazione, sostanziale e processuale, dell'art. 23, commi primo e secondo, della stessa legge n. 74 del 1987 - non può essere utilizzata dall'interprete né per regolare direttamente fattispecie di separazione personale, né per interpretare innovativamente l'art. 155 del codice civile, facendone derivare un diritto di godimento analogo a quello divorzile. Di conseguenza si determina una disparità di trattamento - non giustificabile con le pure esistenti diversità delle fattispecie tra coniuge separato (cui spetterà un diritto di credito, non opponibile ai terzi, al mantenimento, la cui attuazione potrà anche avvenire attraverso il permanere del fatto dell'abitazione nella casa coniugale) e coniuge divorziato, cui spetterà un diritto personale di godimento (del tutto avulso dal pregresso rapporto familiare) opponibile comunque ai terzi nei limiti del novennio e, ove trascritto, anche oltre. Senza dire che solo in caso di divorzio spetterà ai figli, maggiori o minori, una qualche tutela diretta. Anzi solo in parte - ad avviso del giudice a quo - si rimedierebbe (con l'estensione al coniuge separato della tutela spettante al coniuge divorziato) alla irrazionalità ed illogicità di tale disciplina, in quanto l'esistenza di un rapporto coniugale tra i separati giustificherebbe una tutela maggiore, e non minore, della situazione abitativa del coniuge assegnatario separato rispetto a quella del divorziato. Detta disparità di trattamento, oltre a violare l'art. 3 della Costituzione (per la situazione deteriore in cui viene a trovarsi il coniuge separato rispetto a quello divorziato; senza dire che il passaggio dallo stato di separato a quello di divorziato può essere di fatto impedito dall'altro coniuge attraverso il permanere della lite in ordine alla separazione) viola anche gli artt. 29 e 31 della Costituzione, in quanto viene tutelato meno uno stato - quale quello dei separati - in cui esiste ancora l'istituto familiare, rispetto a quello in cui la famiglia è del tutto cessata. Nel giudizio davanti a questa Corte non si sono costituite le parti private né è intervenuta l'Avvocatura dello Stato. Considerato in diritto 1. - Il Pretore di Roma, con ordinanza del 30 dicembre 1988 (R.O. n. 158 del 1989), chiede verifica di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, dell'art. 155, quarto comma, del codice civile, "nella parte in cui non consente al coniuge assegnatario della casa coniugale di opporre ai terzi il titolo attribuente l'assegnazione". 2. - La questione è fondata. La norma impugnata dispone: "L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli". Trattasi di norma dettata in tema di separazione tra coniugi pronunciata dal giudice in un contesto dedicato ai "provvedimenti riguardo ai figli". La ratio seguita dal legislatore è dichiarata nel comma primo dell'art. 155: "Il giudice che pronunzia la separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa". È dunque "l'esclusivo interesse morale e materiale della prole" a determinare la spettanza dell'abitazione al coniuge cui la prole è affidata. Il termine "abitazione" è qui assunto come voce sostantiva del transitivo verbale "abitare" con oggetto la "casa familiare", vale a dire quel complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare la esistenza domestica della comunità familiare. Come dunque la "casa familiare" non è esauribile nell'immobile, spoglio della normale dotazione di mobili e suppellettili per l'uso quotidiano della famiglia; così l'"abitazione" non è identificata dal legislatore in una figura giuridica formale, quale potrebbe essere un diritto reale o personale di godimento, ma nella concreta res facti che prescinde da qualsivoglia titolo giuridico sull'immobile, di proprietà, di comunione, di locazione. Il giudice della separazione, assegnando l'abitazione nella casa familiare al genitore affidatario della prole, secondo la ratio legis, non crea tanto un titolo di legittimazione ad abitare per uno dei coniugi quanto conserva la destinazione dell'immobile con il suo arredo nella funzione di residenza familiare. Il titolo ad abitare per il coniuge è infatti strumentale alla conservazione della comunità domestica e giustificato esclusivamente dall'interesse morale e materiale della prole affidatagli. Tale assegnazione, mentre è immediatamente rilevante rispetto al coniuge non affidatario della prole proprio perché escluso dall'abitazione nella casa familiare ancorché ne sia proprietario o titolare di altro diritto di godimento o conduttore, non lo è rispetto ai terzi. La novella del 1975, non prevedendo l'opponibilità al terzo della assegnazione giudiziale dell'abitazione, vanifica il vincolo di destinazione della "casa familiare". 3. - Il legislatore che ha provveduto, con legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), a regolare la fattispecie dell'"abitazione nella casa familiare", spettante "di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età", ha invece statuito all'art. 11 che modifica l'art. 6, sesto comma: ""L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'articolo 1599 del codice civile". Essendo le norme di cui all'art. 155, quarto comma, del codice civile, e all'art. 6, sesto comma, della legge n. 74 del 1987 ispirate alla eadem ratio dell'"esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale" della prole (cfr. il già richiamato art. 155, primo comma, del codice civile e l'art. 6, secondo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987) la diversità di disciplina tra l'assegnazione dell'abitazione nella casa familiare al genitore affidatario della prole opponibile, previa trascrizione, al terzo acquirente nella ipotesi di scioglimento del matrimonio e l'assegnazione dell'abitazione, non opponibile nell'ipotesi di separazione personale dei coniugi, è del tutto priva di ragionevole giustificazione sotto il profilo che qui appresso si chiarisce. La violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione si concreta non nel deteriore trattamento del coniuge separato rispetto al divorziato, essendo l'uno e l'altro portatori di status personali differenziati, ma nella diversità di trattamento di una situazione assolutamente identica, quale è quella della prole affidata ad un genitore separato o ad un genitore non più legato dal vincolo matrimoniale. I valori, di cui agli altri due parametri invocati, artt. 29 e 31 della Costituzione, sono palesemente non perseguiti stante la lacuna di previsione nell'attuale tenore dell'art. 155, quarto comma, del codice civile, che va pertanto caducato nella parte in cui non prevede l'opponibilità al terzo acquirente del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole mediante trascrizione. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 155, quarto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai terzi. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 luglio 1989. Il Presidente: SAJA Il redattore: CASAVOLA Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 27 luglio 1989. Il cancelliere: DI PAOLA