N. 183 SENTENZA 9-16 MAGGIO 1994 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO; ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della Convenzione Europea in materia di adozione dei minori del 24 aprile 1967 e ratificata con legge 22 maggio 1974, n. 357, promosso con ordinanza emessa il 9 luglio 1993 dalla Corte d'appello di Roma - sezione minorenni sul ricorso proposto da Di Lazzaro Dalila, iscritta al n. 732 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visti l'atto di costituzione di Di Lazzaro Dalila nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni; Uditi gli avvocati Donella Resta e Maretta Scoca per Di Lazzaro Dalila e l'Avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio di reclamo promosso contro un decreto del Tribunale dei minorenni di Roma che ha dichiarato inammissibile la domanda di adozione di un minore presentata da una persona singola in base all'art. 6 della convenzione europea in materia di adozioni di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357, la Corte d'appello di Roma (sezione minorenni), con ordinanza del 9 luglio 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., questione di legittimità costituzionale della citata norma internazionale pattizia, "nella parte in cui permette senza limiti l'adozione di un minore di età da parte di un solo adottante". Ad avviso del giudice remittente: a) l'art. 6, comma 1, della convenzione vincola le legislazioni degli Stati aderenti ad ammettere in generale l'adozione di minori anche da parte di persone singole; b) il contenuto della norma pattizia è tale che, in virtù dell'ordine di esecuzione, essa ha acquistato forza autoapplicativa nell'ordinamento interno nell'ambito del sistema di adozione dei minori in stato di abbandono regolato dalla legge italiana; c) l'ordine di esecuzione "conferisce natura speciale alle norme pattizie e le rende immodificabili da leggi successive", onde l'art. 6, comma 1, della convenzione di Strasburgo non può ritenersi abrogato in parte qua dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, che, salvo casi particolari, non consente l'adozione di minori se non a due persone unite in matrimonio. Ciò premesso, l'ordinanza ritiene la norma in discorso contrastante: con la nozione di famiglia, quale società naturale fondata sul matrimonio, consacrata nell'art. 29 Cost.; con l'art. 30 Cost., che tutela l'interesse del minore ad essere allevato ed educato da entrambi i genitori; conseguentemente anche col principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto contraddice la finalità dell'adozione dei minori di procurare all'adottato l'inserimento in un ambiente familiare idoneo. 2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita la parte privata concludendo per la manifesta infondatezza della questione. L'istante condivide l'opinione che l'art. 6, comma 1, della convenzione non conceda spazi di discrezionalità alle legislazioni nazionali e perciò sia immediatamente applicabile nell'ordinamento interno: l'adozione di minori deve essere ammessa sia da parte di coppie sposate, sia da parte di persone singole, restando esclusa soltanto la legittimazione di coppie non unite in matrimonio. Contesta, però, la pretesa contrarietà della norma a principi della nostra Costituzione. Il criterio dell'imitatio naturae, che informa l'istituto dell'adozione legittimante, non ha un valore assoluto né in relazione all'art. 29 Cost., come si argomenta dall'art. 25, quarto e quinto comma, della legge n. 184 del 1983, che prevede la possibilità di disporre l'adozione anche se durante l'affidamento preadottivo uno dei coniugi muore o diventa incapace oppure interviene separazione, né in relazione all'art. 30, il quale tutela l'interesse del minore ad essere allevato ed educato in seno alla propria famiglia, ma, ove ciò non sia possibile, non esige incondizionatamente l'affidamento a un'altra famiglia come strumento di assolvimento dei compiti dei genitori. Non è escluso che, secondo le circostanze del caso, l'interesse a uno sviluppo armonioso della personalità del minore possa essere soddisfatto anche affidandolo a una persona singola. Per le medesime ragioni cadrebbe anche la censura di violazione del principio di razionalità. In un'ampia memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione la parte privata ha svolto ulteriori considerazioni sui punti del vincolo degli Stati aderenti ad adottare tutte le soluzioni consentite dall'art. 6 della convenzione e del carattere autoapplicativo della norma pattizia. Si osserva in particolare che l'Italia al momento del deposito della ratifica non ha formulato nessuna riserva per quanto concerne l'art. 6. 3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile. Secondo l'interveniente la norma impugnata non è autoapplicativa: essa delimita l'ambito delle scelte legislative in ordine alla legittimazione attiva all'adozione di minori senza vincolare gli Stati aderenti alla convenzione ad ammettere tutte le soluzioni consentite. Perciò l'art. 6 della legge n. 184 del 1983, che ha adattato la convenzione di Strasburgo al nostro ordinamento, non ha violato l'art. 6 nell'ammettere soltanto la prima delle due alternative ivi consentite, salve le eccezioni degli artt. 25 e 44. Considerato in diritto 1. - La Corte d'appello di Roma - sezione minorenni ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della convenzione europea in materia di adozioni di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357, "nella parte in cui permette senza limiti l'adozione di un minore da un solo adottante". Più esattamente, deve intendersi impugnata in parte qua la disposizione della citata legge di ratifica che ha conferito efficacia nell'ordinamento interno all'art. 6 della Convenzione (cfr. sentenze nn. 20 del 1966, 132 del 1985, 128 del 1987). Ad avviso del giudice rimettente "la menzionata disposizione dell'art. 6 della convenzione di Strasburgo non può ritenersi abrogata dalla successiva legge 4 maggio 1983, n. 184", che limita a casi particolari la possibilità di adozione del minore da parte di una singola persona, "né possono essere consentiti dubbi sulla sua applicazione immediata, atteso che il legislatore italiano ha completamente regolato il complesso sistema di adozione dei minori in stato di abbandono". Ciò premesso, la norma denunciata, in quanto "esclude ogni limite a che l'adozione avvenga anche da parte di un singolo adottante", è ritenuta contrastante con gli artt. 3, 29 e 30 Cost., a stregua dei quali l'adozione legittimante, giusta il criterio dell'imitatio naturae, deve essere "ispirata all'intento di dare una famiglia al minore che ne è privo, garantendogli tranquillità, benessere e sana educazione". Questo criterio esige che, di regola, "ad adottare sia una coppia di coniugi avente una comunanza continuativa di vita e adeguate capacità educative". 2. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilità della questione per irrilevanza, "non essendo la disposizione pattizia, alla quale è riferita, di immediata applicazione e non impegnando comunque il legislatore nazionale a scelte in contrasto con le richiamate norme costituzionali, ma offrendo la possibilità di scegliere, tra quelle consentite, la soluzione ad esse più rispondente". L'eccezione non può essere accolta. Ai fini dell'ammissibilità della questione l'ordinanza di rimessione ha adeguatamente motivato sul punto della rilevanza muovendo da premesse ermeneutiche non manifestamente implausibili (cfr., da ultimo, sentenze nn. 134 e 173 del 1994; 103, 238, 323, 345 del 1993; 436 del 1992). 3. - Nel merito la questione non è fondata. È certo che l'art. 6 della convenzione non è stato abrogato, né in tutto né in parte, dalla legge n. 184 del 1983, ma è altrettanto certo che la norma pattizia non conferisce immediatamente ai giudici italiani competenti il potere di concedere l'adozione di minori a persone singole fuori dai limiti entro cui tale potere è attribuito dalla legge nazionale, e nemmeno può essere interpretata nel senso di vincolare il legislatore italiano ad ammettere senza limiti l'adozione del singolo. Destinatari immediati della norma contenuta nell'art. 6 sono i legislatori nazionali: "la legislazione non può permettere l'adozione di un minore che da parte di due persone unite in matrimonio, sia simultaneamente sia successivamente, o da parte di un solo adottante". Agli Stati firmatari è impartito il divieto di permettere l'adozione di minori da parte di coppie non sposate e insieme attribuita la facoltà di permettere l'adozione di minori, oltre che da coppie sposate, anche da persone singole, coniugate o no. L'interpretazione letterale, che ravvisa nell'art. 6 un solo principio vincolante per gli Stati aderenti, cioè l'interdizione dell'adozione da parte di coppie non sposate, risponde al criterio ermeneutico desumibile dal rapport explicatif del Consiglio d'Europa (promotore della Convenzione), il quale chiarisce che non si tratta di una convenzione di diritto uniforme, bensì di "una convenzione contenente un minimo di principi essenziali cui ciascuna Parte contraente darà effetto" (punto 4), e trova esplicita conferma nel commento all'art. 6, dove si precisa che il paragrafo 1 non rende obbligatoria l'introduzione dell'adozione da parte di una persona sola (punto 23). 4. - In quanto attribuisce al legislatore nazionale una semplice facoltà, la norma in esame non è, per definizione, autoapplicativa, ossia direttamente applicabile nei rapporti intersoggettivi privati, occorrendo a tale effetto l'interposizione di una legge interna che determini i presupposti di ammissione e gli effetti dell'adozione da parte di una persona singola. La tesi sostenuta nell'ordinanza di rimessione, secondo cui l'art. 6 della convenzione potrebbe trovare in parte qua applicazione immediata attraverso gli organi e le procedure previsti dalla legge n. 184 del 1983, è legata alla premessa, sopra confutata, che interpreta l'art. 6 come norma che sul punto in discorso impone agli Stati un obbligo anziché una mera facoltà. Di tale facoltà la legge n. 184 del 1983 si è avvalsa entro limiti ristretti, ammettendo l'adozione soltanto in speciali circostanze (art. 25, quarto e quinto comma) o "in casi particolari" (art. 44), e in questi ultimi senza gli effetti dell'adozione piena. La norma convenzionale rimane in vigore come norma che autorizza il legislatore, se lo riterrà opportuno, ad ampliare l'ambito di ammissibilità dell'adozione di un minore da parte di un solo adottante, qualificandola in ogni caso con gli effetti dell'adozione legittimante. In questo senso è orientato il progetto di riforma redatto nel 1992 dalla Commissione ministeriale per la modifica ed integrazione della legge 4 maggio 1983, n. 184, istituita dal Ministro di grazia e giustizia. 5. - I principi costituzionali richiamati nell'ordinanza di rimessione non vincolano l'adozione dei minori al criterio dell'imitatio naturae in guisa da non consentire l'adozione da parte di un singolo se non nei casi eccezionali in cui è oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983. Essi esprimono una indicazione di preferenza per l'adozione da parte di una coppia di coniugi, essendo prioritaria "l'esigenza, da un lato, di inserire il minore in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilità, e dall'altro di assicurargli la presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di entrambe le figure dei genitori" (sent. n. 198 del 1986). A questa indicazione è conforme la convenzione di Strasburgo: l'art. 6, spiega la citata relazione esplicativa (punto 23), "prevede, nell'ordine delle preferenze generalmente ammesse, prima l'adozione da parte di una coppia, poi l'adozione da parte di una persona singola", e il successivo art. 8, par. 2, dispone che l'autorità competente degli Stati "annetterà una particolare importanza a ciò, che l'adozione procuri al minore un foyer stable et harmonieux" (cfr. sentenza n. 11 del 1981). Fermo questo criterio di preferenza (ribadito nel preambolo della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176), gli artt. 3, 29 e 30 Cost. non si oppongono a un'innovazione legislativa che riconosca in misura più ampia la possibilità che, nel concorso di speciali circostanze, tipizzate dalla legge stessa o rimesse volta per volta al prudente apprezzamento del giudice, l'adozione da parte di una persona singola sia giudicata la soluzione in concreto più conveniente all'interesse del minore. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 22 maggio 1974, n. 357, nella parte in cui dà esecuzione all'art. 6 della Convenzione europea in materia di adozione di minori (firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967), sollevata dalla Corte d'appello di Roma - sezione minorenni con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 1994. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: MENGONI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 16 maggio 1994. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA