N. 258 SENTENZA 10-19 LUGLIO 1996 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: avv. Mauro FERRI; Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE; ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 25 luglio 1995 dal giudice istruttore del tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Randolo Nunzia e Nardi Luigi, iscritta al n. 812 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1995. Udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1996 il giudice relatore Fernando Santosuosso. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio di separazione personale tra coniugi, il giudice istruttore del Tribunale di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che tale giudice possa adottare, nel corso della causa di separazione, il provvedimento di sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato. Rileva il giudice a quo che la corretta interpretazione della norma impugnata, compiuta alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione, porta ad escludere che il giudice istruttore possa emettere in corso di causa il provvedimento di sequestro in oggetto, poiché l'art. 156 cod. civ. presuppone l'accertamento dell'avvenuto inadempimento degli obblighi già fissati con la sentenza di separazione. L'eccezionalità della misura in questione, d'altronde, non suscettibile di interpretazione analogica, porta ad escludere che al sequestro de quo possa applicarsi il nuovo rito previsto per i procedimenti cautelari, non rientrando tale ipotesi nel generico richiamo di cui all'art. 669-quaterdecies cod. proc. civ. Tanto premesso, il giudice a quo, richiamata la sentenza n. 278 del 1994 di questa Corte, nella quale si ravvisa un precedente del tutto simile al caso di specie, osserva che l'esclusione di tale potere per il giudice istruttore verrebbe a collidere con gli artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, poiché il coniuge in difficoltà si troverebbe nella concreta impossibilità di ottenere il sequestro durante la fase istruttoria, non potendosi neppure applicare la norma generale di cui all'art. 671 cod. proc. civ., dal momento che il sequestro conservativo si fonda su presupposti del tutto differenti. In ordine al requisito della rilevanza, il giudice a quo precisa che, nel caso di specie, egli era stato investito di una richiesta di sequestro molto probabilmente fondata, poiché il marito aveva ammesso in udienza di non corrispondere l'assegno di mantenimento alla moglie. Nessun dubbio può sorgere, infine, a parere del giudice rimettente, relativamente alla possibilità per il giudice istruttore di sollevare la questione, poiché l'oggetto del contendere è proprio il mancato riconoscimento di una sua competenza. 2. - Non si sono costituite le parti private, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato in diritto 1. - Il giudice istruttore del tribunale di Napoli solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che tale giudice possa adottare, nel corso della causa di separazione personale tra coniugi, il provvedimento di sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato. 2. - Va innanzitutto ricordato che questa Corte si è recentemente pronunciata sul problema della legittimazione del giudice istruttore a sollevare questioni di costituzionalità (sentenza n. 278 del 1994); in quella occasione la Corte, ribadendo un consolidato orientamento (v. sentenza n. 234 del 1992, ordinanza n. 341 del 1993 e, da ultimo, ordinanza n. 503 del 1995), ha chiarito che, se normalmente il giudice istruttore viene ritenuto legittimato a sollevare le questioni di legittimità costituzionale relative alle norme di cui egli può fare applicazione per l'emanazione di provvedimenti di sua competenza, non si può escludere la sua legittimazione qualora l'oggetto della questione sia proprio il riconoscimento delle competenze dello stesso giudice istruttore. In altri termini, se a quest'ultimo fosse già riconosciuto il presupposto della competenza ad emanare quel provvedimento, non sussisterebbe la questione di costituzionalità, mentre se fosse necessario estendere tale competenza, non ci sarebbe nessun giudice legittimato a sollevare la questione medesima. L'ordinanza di rimessione è anche sufficientemente motivata in ordine alla rilevanza della questione. 3. - Nel merito, la questione è fondata. Con la citata sentenza n. 278 del 1994 questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare nel corso della causa di separazione il provvedimento con il quale si ordina ai terzi debitori del coniuge obbligato al mantenimento di versare una parte delle somme direttamente agli aventi diritto. In tale pronuncia è stato rilevato che i provvedimenti presidenziali hanno forza esecutiva anche per gli obblighi economici con essi stabiliti, e che il loro inadempimento può determinare effetti gravemente pregiudizievoli per i componenti della famiglia, analogamente a quanto previsto per gli obblighi fissati con la sentenza di separazione personale e per i casi di cui agli artt. 146 e 148 cod. civ. in regime di convivenza. È stato anche considerato che la competenza ad emanare il predetto ordine di distrazione si configura normalmente come accessoria a quella relativa alla determinazione ed alla modifica della misura delle somme dovute per il mantenimento e, soprattutto, che tale ordine coercitivo risponde alla stessa ratio di dare effettiva soddisfazione ai provvedimenti giudiziali; si perviene così alla conclusione che, per evitare la disparità di trattamento degli aventi diritto al mantenimento prima e dopo la sentenza di separazione, ed apprestare un rimedio efficace all'inadempimento di obblighi costituzionalmente tutelati, va riconosciuta anche al giudice istruttore la competenza ad emettere la misura della distrazione. 4. - Ora, come si rileva correttamente nell'ordinanza di rimessione, le ragioni che hanno indotto la Corte a dichiarare l'illegittimità dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, nella parte relativa all'ordine di distrazione delle somme dovute, non possono non valere anche per la parte relativa allo speciale potere di sequestro dei beni del coniuge obbligato, previsto dal medesimo comma. Entrambe le misure coercitive rispondono infatti alla ratio di dare tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del coniuge bisognoso e, soprattutto, dei figli minori, esigenze penalmente tutelate che sussistono anche prima della sentenza di separazione in relazione agli obblighi di mantenimento stabiliti in sede presidenziale. L'omogeneità di dette situazioni postula un eguale trattamento, mancando un valido motivo che giustifichi una diversità di disciplina. 5. - Viene espressa in dottrina qualche perplessità in relazione al quesito se il giudice istruttore, durante il procedimento di separazione personale, non disponga già di poteri sostanzialmente equivalenti a quelli dei quali si chiede ora il riconoscimento, cioè di poteri che gli consentano di tutelare in maniera adeguata la posizione degli aventi diritto al mantenimento. Ci si domanda comunque, se il sistema normativo in questa materia esiga di estendere al giudice istruttore, con sentenza additiva, la ulteriore facoltà di disporre la misura di cui all'art. 156 cod. civ., superando il dubbio circa una possibile sovrapposizione o sovrabbondanza di strumenti di tutela per l'adempimento degli obblighi di mantenimento a favore dei componenti più bisognosi della famiglia. In realtà, prima della riforma del diritto di famiglia del 1975 si affermava che al presidente del tribunale, in sede di provvedimenti temporanei e urgenti (art. 708 del codice di procedura civile), ed al giudice istruttore, ove sopravvengano nuovi elementi, non si potesse certo negare la facoltà di disporre anche un sequestro conservativo; tale eventualità (relativamente cioè al normale sequestro conservativo) appare ammissibile anche dopo la novella in materia di procedimenti cautelari introdotta con la legge 26 novembre 1990, n. 353. Peraltro la dottrina dominante e la giurisprudenza, anche di legittimità, ritengono che il provvedimento previsto dall'art. 156 cod. civ. - ancorché denominato "sequestro" - abbia caratteri del tutto peculiari rispetto all'ordinario sequestro conservativo disciplinato dagli artt. 671 e seguenti del codice di procedura civile. Va riconosciuto, in effetti, che tra le due misure ora indicate esistono significative differenze. Mentre il sequestro conservativo presuppone, secondo una consolidata tradizione, la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, il provvedimento previsto dall'art. 156 cod. civ. presuppone un credito già dichiarato, sia pure in via provvisoria, e può essere disposto pur in mancanza del secondo di detti requisiti, sulla base della semplice inadempienza agli obblighi di mantenimento. Il sequestro conservativo, poi, può essere concesso anche prima dell'inizio della causa di merito, mentre l'applicabilità della misura in esame è stata subordinata dal legislatore alla conclusione del giudizio di separazione (e ora si intende riconoscerla anche nel corso del giudizio). Ciò comporta, tra l'altro, che, mentre il sequestro conservativo ha un'efficacia strettamente connessa all'esito del parallelo giudizio di merito (art. 669-novies cod. proc. civ.) e può colpire anche tutti i beni mobili ed immobili del debitore, avendo natura di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale finalizzato al pignoramento, la misura di cui all'art. 156 cod. civ. può invece riguardare soltanto "parte dei beni" del coniuge obbligato, non può convertirsi in pignoramento e non ha natura cautelare, essendo finalizzata, come ha riconosciuto la Corte di cassazione, ad una funzione di coazione, anche psicologica, all'adempimento degli obblighi di mantenimento posti a carico di uno dei coniugi. 6. - Per le differenze ora tratteggiate, detto provvedimento non si sovrappone al sequestro conservativo, né è possibile ricomprenderlo nel richiamo che l'art. 669-quaterdecies cod. proc. civ. fa alle cosiddette misure cautelari atipiche. Ne deriva che, come si rileva nell'ordinanza di rimessione, il diverso "sequestro" in esame è illegittimamente escluso dalla competenza del giudice istruttore. Tale esclusione è ancor più censurabile ove si pensi che il provvedimento previsto dall'art. 156, sesto comma, cod. civ. si configura con tali aspetti di specialità da doversi ritenere di applicazione prevalente, se non esclusiva, in sede di separazione personale tra coniugi, rispetto all'ordinario sequestro conservativo. La sua ammissibilità deve essere quindi riconosciuta per coerenza con la già riconosciuta ammissibilità dell'ordine di distrazione previsto dalla stessa norma e per rispetto dei principi costituzionali invocati. Resta ovviamente affidato alla saggia valutazione del giudice istruttore bilanciare in modo equilibrato l'uso dei vari strumenti offerti dalla legge per conseguire il risultato di soddisfare nel modo migliore le ragioni economiche dei componenti più bisognosi della famiglia. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare, nel corso della causa di separazione, il provvedimento di sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1996. Il Presidente: Ferri Il redattore: Santosuosso Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 19 luglio 1996. Il direttore della cancelleria: Di Paola