SENTENZA N. 30 ANNO 2005 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai Signori: Presidente: Carlo MEZZANOTTE; Giudici: Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 25 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2003), promossi con ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Veneto notificati il 1 marzo e il 25 febbraio 2003, depositati in cancelleria il 7 marzo successivo ed iscritti ai nn. 25 e 26 del registro ricorsi 2003. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 2004 il giudice relatore Alfio Finocchiaro; uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l'avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. Le Regioni Emilia-Romagna (con ricorso notificato il 1 marzo 2003, depositato il 7 marzo 2003 e iscritto al registro ricorsi n. 25 del 2003) e Veneto (con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 25 febbraio 2003, depositato il 7 marzo 2003 e iscritto al registro ricorsi n. 26 del 2003), hanno chiesto alla Corte Costituzionale dichiararsi, fra l'altro, l'illegittimità dell'art. 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2003) per indebita invasione nella propria sfera di competenza, con violazione dell'art. 117 Cost. La Regione Emilia-Romagna lamenta che lo Stato, disciplinando, con la norma impugnata, il pagamento e la riscossione delle somme di modesto ammontare, prevede che il Ministero dell'economia detti, ai sensi dell'art. 17, comma 2, legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), disposizioni applicabili anche alle regioni. Riguardo ai crediti delle regioni, l'art. 25 non sembra riconducibile a competenze statali, esclusive o concorrenti: in particolare, tenendo conto della finalità di razionalizzazione delle spese connesse al pagamento e alla riscossione di somme modeste, la norma non può essere considerata di coordinamento della finanza pubblica, posto che l'unico principio fondamentale teorizzabile in materia, sarebbe la riduzione o l'eliminazione di dette spese, rimanendo la disciplina attuativa demandata alle regioni. Viceversa, l'art. 25, ai commi 2, 3, 4, reca norme di dettaglio. Inoltre, la previsione di un regolamento di delegificazione al di fuori delle materie di competenza statale, lede la potestà regolamentare delle regioni. La regione Veneto lamenta che lo Stato, disciplinando, con la norma impugnata, il pagamento e la riscossione delle somme di modesto ammontare, rinvia per la regolamentazione ad una fonte secondaria statale individuandone contestualmente il contenuto in modo specifico e dettagliato, mentre la disciplina sulle procedure e i presupposti di pagamento e riscossione, che rientra nella materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, oggetto di potestà legislativa concorrente, consente allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali, laddove la norma impugnata esaurisce completamente la materia trattata, e affidando ad ulteriori fonti statali regolamentari l'ulteriore disciplina, non lascia margini d'intervento alla legge regionale. 2. Nel giudizio si è costituito, con distinti atti, il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ministero dell'Avvocatura generale dello Stato, assumendo l'infondatezza dei ricorsi. In replica al ricorso dell'Emilia-Romagna la difesa erariale osserva che, avendo la disposizione impugnata la finalità di razionalizzare ed economicizzare l'attività amministrativa e le spese correlate alla gestione di somme modeste, come tale riconducibile alla competenza legislativa concorrente dell'armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica; la prevista emanazione in termini generali, relativi per tutte le pubbliche amministrazioni di norme regolamentari, non preclude alla regione di emanare proprie norme, nel rispetto dei principi fondamentali legittimamente posti. In replica, invece, al ricorso della Regione Veneto, la stessa difesa assume che, essendo la disposizione impugnata è riconducibile, più che al coordinamento della finanza pubblica, all'armonizzazione dei bilanci pubblici, perché, intervenendo sulla struttura dei bilanci e sul sistema contabile, mira a rendere omogenei, e quindi coordinabili, i bilanci che interessano la c.d. finanza pubblica allargata. Si è voluto evitare che si affrontino spese amministrative sproporzionate per il recupero, spesso problematico, di somme di modesto ammontare, specie per quegli enti che hanno crediti di modesto ammontare in gran numero, con il rischio che i bilanci perdano di trasparenza per dover registrare spese notevoli nel tentativo di recuperare crediti modesti, che poi rimangono insoddisfatti. La censura regionale è dunque da disattendere sotto entrambi i profili denunciati: non si tratta di disciplina di dettaglio, in quanto la finalità di rendere omogenei i bilanci, comporta che l'ammontare dei crediti da considerare modesto, non possa che essere unico per tutti gli enti; il rinvio ad un provvedimento amministrativo si rende necessario per assicurare la necessaria duttilità per la verifica della struttura dei bilanci nelle loro componenti essenziali e per l'aggiornamento secondo l'andamento dell'inflazione, tanto che al quarto comma l'art. 25 fissa la misura di partenza in attesa dei successivi aggiornamenti in via amministrativa, a garanzia, del resto, del buon andamento dell'amministrazione. Nel caso in cui la normazione secondaria fissasse ammontari irragionevoli, ben potranno le regioni ricorrere al giudice amministrativo. 3. Nell'imminenza dell'udienza pubblica, sia le Regioni ricorrenti che il Presidente del Consiglio dei ministri hanno presentato memorie, con le quali si insiste nelle tesi rispettivamente sostenute nei ricorsi e negli atti di costituzione. Considerato in diritto 1. Le Regioni Emilia-Romagna e Veneto hanno impugnato, con distinti ricorsi, l'art. 25 legge 23 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2003), perché lo stesso, disciplinando il pagamento e la riscossione delle somme di modesto ammontare e rinviando a regolamenti ministeriali, fissandone il contenuto in modo specifico e preciso, viola l'art. 117, sesto comma, Cost., che attribuisce alle regioni la potestà regolamentare salvo che nelle materie di potestà statale esclusiva (regione Emilia-Romagna) e l'art. 117, terzo comma, Cost., che riserva alla legislazione concorrente la materia armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (Regione Veneto). Le impugnazioni relative all'art. 25 vengono qui trattate separatamente rispetto alle altre questioni proposte negli stessi ricorsi e, per omogeneità della materia, possono essere decise con la medesima sentenza. In entrambi i ricorsi si denuncia che, con la norma impugnata, lo Stato ha formulato disciplina di dettaglio in materia di potestà concorrente in cui può dettare solo principi fondamentali e le censure non sono limitate alla sola modalità mediata di disciplina, attraverso i regolamenti, ma anche alla disciplina positiva direttamente dettata. La Regione Emilia-Romagna censura, in aggiunta, che la previsione di un regolamento applicabile alle regioni viola la competenza regolamentare delle stesse, che è esclusiva nelle materie di competenza legislativa concorrente e cita specificamente l'art. 117, sesto comma, Cost.. 2. In considerazione dell'identità della materia, nonché dei profili di illegittimità costituzionali fatti valere, i ricorsi vanno riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia. 3. I ricorsi sono parzialmente fondati, sulla base delle considerazioni che seguono, tenendo presente la materia, i destinatari ed il contenuto della norma impugnata. L'art. 25 della legge n. 289 del 2002 disciplina il pagamento e la riscossione dei crediti di modesto ammontare e di qualsiasi natura, anche tributaria ed il suo oggetto rientra nella materia armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, che è di legislazione concorrente, per l'art. 117, terzo comma, Cost., mentre è da disattendere la prospettazione del Presidente del Consiglio dei ministri, di ricollegabilità della norma impugnata ad ambiti appartenenti alla legislazione esclusiva dello Stato. L'inquadramento in una materia piuttosto che in un'altra deve riguardare la ratio dell'intervento legislativo nel suo complesso e nei suoi aspetti fondamentali, non anche aspetti marginali o effetti riflessi dell'applicazione della norma. Parimenti non condivisibili sono le ipotesi di collegamento: sia all'ordinamento civile, in quanto lo scopo non è di intervenire nella disciplina di diritti, bensì di garantire l'efficienza, la semplificazione ed il risparmio delle entrate e delle uscite dei bilanci pubblici; sia ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, posto che l'effetto indiretto di rinuncia al soddisfacimento coattivo dei crediti nei confronti di soggetti privati, non contribuisce certo a determinare lo status fondamentale del cittadino come soggetto di diritti e di obblighi; sia all'ordinamento processuale, giacché l'esclusione di qualsiasi azione cautelativa ingiuntiva ed esecutiva, oltre a riguardare le sole poste attive della disciplina, è lo strumento (eventuale) per conseguire gli obiettivi di semplificazione contabile ed efficienza amministrativa. Non pertinente è, poi, il riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. che riguarda la potestà legislativa nel sistema tributario e contabile dello Stato, giacché, ove siano interessati tributi e bilanci degli altri enti, non può che venire in considerazione la materia armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.. Nella materie di potestà concorrente la normativa statale deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, spettando invece alle Regioni la regolamentazione di dettaglio, trattandosi di fonti tra le quali non vi sono rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze (sentenza n. 303 del 2003). Con riferimento ai destinatari, la disciplina dettata dalla norma è applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche: il rinvio all'art. 1, secondo comma, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), vale a ricomprendervi tutte le amministrazioni dello Stato, e, testualmente, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, oltre alle istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Sotto questo aspetto la normativa impugnata è pienamente legittima per quanto riguarda gli uffici statali dal momento che lo Stato può legiferare, anche con le modalità previste dall'art. 25, riguardo ai propri uffici, rientrando, oltretutto, tale incombenza, nella competenza esclusiva prevista dall'art. 117, secondo comma, lett. g) Cost., mentre resta valida l'affermazione per cui la delegificazione può riguardare anche disposizioni di leggi statali regolanti oggetti a qualsiasi titolo attribuiti alla competenza dello Stato (sentenza n. 376 del 2002). A diverse conclusioni deve pervenirsi per la parte in cui la norma si indirizza anche ad enti non statali (Regioni, Province, Comuni, Comunità montane), in relazione ai quali occorre esaminare il contenuto della norma, dalla quale si enucleano due profili: 1) la disciplina rimessa ai regolamenti; 2) la disciplina positiva direttamente dettata. Sotto il primo profilo, la legge rinvia alla normazione secondaria, della quale al primo comma si indica l'oggetto, che è appunto quello della disciplina del pagamento e della riscossione di crediti di modesto ammontare e di qualsiasi natura, anche tributaria, e al secondo comma se ne fissa il contenuto imprescindibile, costituito da: a) gli importi corrispondenti alle somme considerate di modesto ammontare; b) le modalità di considerazione di detti importi (nel senso che occorrerà stabilire quali somme dovranno considerarsi onnicomprensive di interessi o sanzioni comunque denominate); c) le norme riguardanti l'esclusione di qualsiasi azione cautelativa, ingiuntiva ed esecutiva. Sotto il secondo profilo, le disposizioni direttive per le emanande norme secondarie sono nel senso che: a) esse possono riguardare anche periodi d'imposta precedenti; b) non devono in ogni caso intendersi come franchigia, nel senso che, per debiti di maggior ammontare rispetto agli importi fissati come modesti, l'importo modesto non può essere previsto come riduzione del debito o del credito (ultima parte del secondo comma); c) gli importi vanno arrotondati all'unità euro (quarto comma, prima parte); d) in sede di prima applicazione dei decreti, l'importo minimo non può essere inferiore a 12 euro; e) non possono ricomprendersi tra le somme considerate di modesto ammontare i corrispettivi per servizi resi dalle pubbliche amministrazioni a pagamento (terzo comma). Per quanto riguarda la disciplina rimessa ai regolamenti (scilicet: di delegificazione, come si evince dal richiamo all'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), va tenuto conto che qualora alla legge statale, in materia di competenza concorrente, è consentita l'organizzazione e la disciplina delle funzioni amministrative, la legge stessa non può spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminandone i principi che orientino l'esercizio della potestà regolamentare per circoscriverne la discrezionalità (sentenza n. 303 del 2003), con la conseguente illegittimità costituzionale della norma che prevede l'applicabilità degli emanandi regolamenti anche alle Regioni. Con riferimento al secondo profilo, la disciplina positiva introdotta deve essere intesa non soltanto come complesso di direttive per la redazione della normativa secondaria, che riguarderà la sola organizzazione statale, ma anche come nucleo di principi fondamentali cui deve ispirarsi l'esercizio della legislazione concorrente delle Regioni. La Regione Veneto ha osservato che, nelle ipotesi in cui questa Corte ha riconosciuto il carattere di normativa di principio, nella legge erano contenute enunciazioni di obiettivi, come ad esempio il contenimento dell'indebitamento o il monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, mentre la norma impugnata presuppone un concetto di modestia del credito, che non può che richiedere una valutazione concreta, estranea ad una legislazione di principio. La tesi non può essere condivisa: seppure è vero che il carattere della modestia del credito va stabilito caso per caso, e questo può essere oggetto d'intervento regolamentare per lo Stato, e di legislazione concorrente per le Regioni, la seconda parte dell'art. 25 pone regole di cui, pur nell'applicabilità a quanto sarà via via considerato somma di modesto ammontare, non si può non riconoscere il carattere di legislazione di principio, sulla base anche di quanto affermato dalla più recente giurisprudenza in tema di esplicazione della funzione legislativa concorrente nella materia armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica (sentenze nn. 4, 17, 36 e 37 del 2004). 4. Concludendo, va riconosciuta la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nella parte in cui prevede che, con uno o più decreti, il Ministro dell'economia e delle finanze adotti, ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, disposizioni relative alla disciplina del pagamento e della riscossione di crediti di modesto ammontare e di qualsiasi natura, anche tributaria, applicabili alle Regioni, valendo tuttavia le disposizioni direttive positivamente dettate, come nucleo di principi fondamentali cui deve ispirarsi l'esercizio della legislazione concorrente delle Regioni. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separate pronunzie ogni decisione sulle ulteriori questioni sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe; riuniti i ricorsi relativamente alle questioni di costituzionalità dell'art. 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289; dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2003), nella parte in cui prevede che, con uno o più decreti, il Ministro dell'economia e delle finanze adotti disposizioni relative alla disciplina del pagamento e della riscossione di crediti di modesto ammontare e di qualsiasi natura, anche tributaria, applicabili alle regioni; dichiara non fondate, nel resto, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2005. F.to: Carlo MEZZANOTTE, Presidente Alfio FINOCCHIARO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2005. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA