SENTENZA N. 224 ANNO 2005 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Fernanda CONTRI; Giudici: Piero Alberto CAPOTOSTI, Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 23 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo), promosso con ordinanza del 10 ottobre 2003 dal Tribunale di Prato sul ricorso proposto da Errafia Mustapha, iscritta al n. 251 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2004. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri. Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Prato, con ordinanza emessa il 10 ottobre 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 23 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo), in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 10 della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Innanzi al Tribunale rimettente, come dal medesimo riferito nelle premesse dell'ordinanza, è stato impugnato il provvedimento di diniego del visto d'ingresso, su ricorso di un cittadino marocchino regolarmente residente in Italia con carta di soggiorno a tempo indeterminato, il quale aveva chiesto il ricongiungimento familiare con i propri genitori, negatogli dal Consolato generale d'Italia a Casablanca per difetto delle condizioni richieste dalla legge. Il giudice a quo precisa anzitutto di essere tenuto alla verifica della sussistenza delle condizioni richieste per il rilascio del visto, in quanto il ricorrente, oltre alla declaratoria di nullità del provvedimento per difetto di motivazione, ha chiesto anche l'emanazione del visto, ai sensi dell'art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998. A tal fine il rimettente osserva che l'art. 29, lettera c), del citato decreto legislativo, nel testo modificato dalla legge n. 189 del 2002, consente il ricongiungimento per i genitori a carico qualora non abbiano altri figli nel paese di origine o di provenienza ovvero per i genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute e che, nella fattispecie, la domanda non potrebbe essere accolta, in quanto il ricorrente, oltre a due fratelli soggiornanti regolarmente in Italia e ad un'altra sorella residente in Spagna, risulta avere in Marocco un fratello e due sorelle, anche se questi non sono in grado di mantenere i genitori, l'uno per il modesto reddito e le altre per l'assenza di redditi propri. Ad avviso del rimettente, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 29 della Costituzione, perché la limitazione contenuta nella disciplina del ricongiungimento familiare impedisce a chi sia desideroso di adempiere gli obblighi di solidarietà familiare nei confronti dei genitori anziani ed indigenti, come nella specie, l'esercizio dell'inviolabile diritto ad una vita familiare, il quale è riconosciuto dalla Costituzione anche agli stranieri, pienamente equiparati ai cittadini, come è stato più volte affermato da questa Corte in relazione al godimento di diritti fondamentali. Il requisito della assenza di altri figli nel paese di origine dei genitori costituisce, secondo il rimettente, un elemento privo di rilievo ai fini del diritto del singolo al godimento della vita familiare e darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento tra richiedenti che abbiano fratelli e quelli che non li abbiano. Vi sarebbe inoltre una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, espressamente affermato dall'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con la legge n. 848 del 1955, la quale avrebbe forza privilegiata rispetto alla normativa ordinaria, in virtù dell'art. 10 della Costituzione, che impone al legislatore di regolare la condizione giuridica dello straniero in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Tale diritto, come previsto nel comma 2 dell'art. 8 della Convenzione, potrebbe essere compresso dall'autorità pubblica solo qualora l'ingerenza costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui. L'unico profilo invocabile a sostegno della limitazione introdotta dalla legge in questione potrebbe essere quello relativo al benessere economico del paese, in quanto, ai sensi dell'art. 30, comma 2, il permesso di soggiorno per motivi familiari consente l'accesso ai servizi assistenziali. 2. È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per sostenere la infondatezza della questione. La difesa erariale sottolinea anzitutto come questa Corte, nell'ordinanza n. 232 del 2001, abbia affermato che il legislatore può legittimamente limitare il diritto al ricongiungimento al fine di equamente bilanciare l'interesse dello straniero alla ricostituzione del nucleo familiare con gli altri valori sottesi dalle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri. Poiché nella fattispecie viene in considerazione l'ipotesi del ricongiungimento dei genitori a figli non già minorenni bensì maggiorenni, l'Avvocatura rileva come siano diversi in questo caso gli obblighi di solidarietà familiare, i quali devono ritenersi limitati all'assistenza verso i genitori che ne abbiano bisogno; sarebbe perciò pienamente ragionevole la limitazione del ricongiungimento dei genitori alle sole ipotesi in cui questi siano a carico del figlio richiedente e non abbiano altri figli nel paese di origine o provenienza ovvero siano ultrasessantacinquenni e gli altri figli siano impossibilitati a mantenerli per ragioni di salute. La difesa erariale esclude poi la sussistenza della dedotta violazione dell'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, rilevando come la Corte di Strasburgo abbia affermato che il diritto al rispetto della vita familiare può subire varie limitazioni, poiché spetta agli Stati contraenti assicurare l'ordine e il benessere pubblico nell'esercizio del loro diritto al controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri. L'Avvocatura osserva infine che la limitazione del ricongiungimento dello straniero maggiorenne ai genitori, nei soli casi previsti dalla norma impugnata, appare non solo consentita ma anche rispondente al modello di famiglia tutelato nel nostro ordinamento. Considerato in diritto 1. La questione sollevata dal Tribunale di Prato ha ad oggetto l'art. 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 23 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo), il quale consente allo straniero di chiedere il ricongiungimento per i genitori a carico qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza ovvero per i genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute. Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma si porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 29 della Costituzione, perché impedirebbe l'esercizio dell'inviolabile diritto ad una vita familiare, riconosciuto dalla Costituzione anche agli stranieri, pienamente equiparati ai cittadini in relazione al godimento di diritti fondamentali; con l'art. 3 della Costituzione, poiché, sotto il profilo del diritto del singolo al godimento della vita familiare, sarebbe irrilevante la presenza o meno di altri figli dei genitori nel paese di origine, la cui previsione darebbe anzi luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento tra richiedenti che abbiano fratelli e quelli che non li abbiano; con l'art. 10 della Costituzione, in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in quanto il diritto al rispetto della vita familiare potrebbe essere compresso dall'autorità pubblica solo qualora l'ingerenza costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui. 2. La questione non è fondata. Il testo originario della disposizione impugnata consentiva allo straniero che avesse la disponibilità di un alloggio e di un reddito annuo rispondenti a determinati parametri di chiedere il ricongiungimento familiare per i genitori, ponendo quale unica condizione che essi fossero a carico del medesimo richiedente. A seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 189 del 2002, la norma impugnata, con previsione evidentemente più restrittiva rispetto alla precedente, indica ulteriori requisiti ai fini del ricongiungimento con i genitori, rappresentati dall'assenza di altri figli nel Paese di origine o provenienza ovvero dall'impossibilità degli altri figli, per documentati gravi motivi di salute, di provvedere al sostentamento dei genitori ultrasessantacinquenni. Nella previsione di questi nuovi e diversi requisiti il Tribunale rimettente ravvisa un contrasto con gli indicati parametri della Costituzione, invocando una pronuncia parzialmente caducatoria che ripristini l'originaria formulazione della norma. 2.1. La principale censura che il rimettente muove alla norma sospettata di incostituzionalità riguarda la lesione del diritto all'unità familiare (artt. 2 e 29 Cost.). Come è stato affermato da questa Corte nelle sentenze n. 28 del 1995 e n. 203 del 1997, la garanzia della convivenza del nucleo familiare si radica nelle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia e in particolare, nell'ambito di questa, ai figli minori; si è inoltre affermato che il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell'unità della famiglia, sono [...] diritti fondamentali della persona che perciò spettano in via di principio anche agli stranieri. Mentre l'inviolabilità del diritto all'unità familiare è certamente invocabile e deve ricevere la più ampia tutela con riferimento alla famiglia nucleare, eventualmente in formazione e, quindi, in relazione al ricongiungimento dello straniero con il coniuge e con i figli minori, non può invece sostenersi che il principio contenuto nell'art. 29 della Costituzione abbia una estensione così ampia da ricomprendere tutte le ipotesi di ricongiungimento di figli maggiorenni e genitori; infatti nel rapporto tra figli maggiorenni, ormai allontanatisi dal nucleo di origine, e genitori l'unità familiare perde la caratteristica di diritto inviolabile costituzionalmente garantito e contestualmente si aprono margini che consentono al legislatore di bilanciare l'interesse all'affetto con altri interessi di rilievo. Questa Corte ha già sottolineato come il decreto legislativo n. 286 del 1998 tuteli il diritto dello straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato a mantenere l'unità del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilità del ricongiungimento familiare che, nella sussistenza delle condizioni regolate dall'art. 29, può essere chiesto in particolare per il coniuge e per i figli minori a carico; ed ha riconosciuto che il legislatore può legittimamente porre dei limiti all'accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando un corretto bilanciamento dei valori in gioco, poiché sussiste in materia un'ampia discrezionalità legislativa limitata solo dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli (ordinanza n. 232 del 2001). E nella specie non risulta irragionevole la scelta effettuata dal legislatore del 2002 di limitare il ricongiungimento alle ipotesi in cui vi sia una effettiva e grave situazione di bisogno di quei familiari che non possono in alcun modo soddisfare autonomamente le proprie esigenze primarie di vita, non avendo nemmeno altri figli nel paese di origine in grado di sostentarli. Le stesse argomentazioni valgono per le ragioni di solidarietà familiare invocate dal rimettente; anzi, in questo caso è ancora più ampia la discrezionalità del legislatore, in quanto il concetto di solidarietà non implica necessariamente quello di convivenza, essendo ben possibile adempiere il relativo obbligo mediante modalità diverse dalla convivenza. 2.2. Un ulteriore motivo di illegittimità della norma in esame è ravvisato dal rimettente nel contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiché, sotto il profilo del diritto del singolo al godimento della vita familiare, sarebbe irrilevante la presenza di altri figli dei genitori nel paese di origine, la cui previsione darebbe anzi luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento tra richiedenti il ricongiungimento che abbiano fratelli e quelli che non li abbiano. Si è già detto che il diritto al godimento della vita familiare deve essere garantito senza condizioni a favore dei coniugi e dei nuclei familiari con figli minori, mentre negli altri casi esso può anche subire restrizioni, purché nei limiti della ragionevolezza. Tale limite non risulta superato nella previsione normativa in esame, ove si consideri ad esempio l'ipotesi che vi siano altri figli nel paese d'origine e siano pertanto possibili altre forme di conservazione dell'unità familiare. Nella legge in esame tale diritto è invece garantito nelle situazioni di grave bisogno in cui versano i genitori quando non abbiano alcuna possibilità di provvedere al proprio mantenimento, ma non in altri casi. È dunque infondata la censura relativa alla disparità di trattamento, che sussisterebbe tra il richiedente il ricongiungimento che non abbia altri fratelli o sorelle e quello che invece li abbia, avuto riguardo alla diversità delle situazioni poste a raffronto, che giustifica una disciplina differente. 2.3. L'ultimo profilo dedotto dal giudice a quo a sostegno della illegittimità costituzionale della norma denunciata concerne la pretesa violazione dell'art. 10 della Costituzione in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in quanto, a parere del medesimo rimettente, il diritto al rispetto della vita familiare potrebbe essere compresso dall'autorità pubblica solo qualora l'ingerenza costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui. In merito a tale censura è sufficiente osservare che non è invocabile l'art. 10 della Costituzione, poiché, secondo l'indirizzo di questa Corte, esorbita dagli schemi del diritto internazionale pattizio (sentenza n. 32 del 1999). per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 23 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 10 della Costituzione, dal Tribunale di Prato, con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2005. F.to: Fernanda CONTRI, Presidente e Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2005. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA