Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Descrizione delle Tecniche Interpretative

I

Tecniche utilizzate per individuare la norma parametro attraverso l'attribuzione di significati a enunciati costituzionali e per individuare la norma oggetto attraverso l'attribuzione di significati a enunciati di legge ordinaria

Argomento psicologico (ricorso alla volontà del legislatore concreto)1 – (Ta)

È l'argomento per cui «a ciascun enunciato normativo deve essere attribuito il significato che corrisponde alla volontà dell'emittente o autore dell'enunciato, cioè del legislatore in concreto, del legislatore storico. Il fondamento di questo argomento risiede nella dottrina imperativistica della legge, nella dottrina cioè per cui la legge è un comando, rivolto dal superiore all'inferiore: il comando si manifesta in un documento, e attribuire significato al documento vuol dire risalire alla volontà di cui il documento è espressione». Questa dottrina ha trovato «un notevole sostegno nella successiva dottrina della c.d. separazione dei poteri [...] per cui il giudice non ricorre alla propria volontà» (fedeltà alla legge da parte del giudice).

«... proprio le assemblee, con le loro discussioni registrate e con i loro voti o pareri su singoli progetti e frammenti di progetti, diedero vita a quei "lavori preparatori" (di solito pubblicati) che potevano fornire appunto gli indizi necessari alla ricostruzione della volontà psicologica del legislatore storico. Tutta la cultura positivistica continentale della prima metà dell'Ottocento [...] privilegiò – o comunque valutò molto – l'argomento psicologico e l'uso dei lavori preparatori».

Il privilegiamento dell'argomento psicologico promuove [...] la fissità dell'applicazione normativa, richiede per ogni mutamento l'azione dell'organo legislativo, [...] rende più agevole l'emergere di antinomie e il manifestarsi di lacune.

Argomento storico (presunzione di continuità - ipotesi del legislatore conservatore)2 – (Tb)

È l'argomento per cui, «essendo dato un enunciato normativo, in mancanza di espresse indicazioni contrarie si deve ad esso attribuire lo stesso significato normativo che tradizionalmente veniva attribuito al precedente e preesistente enunciato normativo che disciplinava la stessa materia nella medesima organizzazione giuridica, ovvero lo stesso significato normativo che tradizionalmente veniva attribuito all'enunciato normativo contenuto in un documento capostipite di altra organizzazione».

Il fondamento della persuasività di questo argomento «va ricercato nell'ipotesi che [...] i legislatori, nell'enunciare legislazioni, siano mossi sino a prova contraria dal desiderio di conservare una disciplina precedente presa a modello, eventualmente perfezionandone la formulazione lessicale».

Argomento a contrario3 – (Tc)

È l'argomento per cui, «essendo data una norma che predica una qualsiasi qualificazione normativa (ad esempio un potere, un obbligo, uno status) di un soggetto o di una classe di soggetti, in mancanza di altra norma espressa si deve escludere che valga (che esista, che sia valida) una diversa norma la quale predichi quella stessa qualificazione normativa per qualsiasi altro soggetto o classe di soggetti».

Si presenta come «una regola sulla produzione giuridica, e precisamente come una regola che esclude la produzione, mediante implicazione o analogia, di norme ulteriori rispetto a quelle già espresse».

E' espresso nel brocardo: ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit. Serve a motivare, o a proporre, quella che in genere si chiama «interpretazione letterale» o «interpretazione restrittiva».

Argomento letterale (considerazioni di ordine sintattico grammaticale) – (Td)

È l'argomento con il quale viene attribuito agli enunciati normativi, oppure alle parole e ai termini in essi contenuti, il significato che assumono nella conversazione ordinaria e/o nel linguaggio tecnico del diritto, e nella loro relazione sintattica. E' suggerito da specifici elementi strutturali o sostanziali dell'enunciato interpretando4.

Argomento della coerenza della disciplina giuridica5 (orizzontale: interlegislativo; verticale: interpretazione adeguatrice alla costituzione e alle norme sovranazionali e internazionali) – (Te, Tf1 e Tf2)

È l'argomento per cui, «in presenza di due norme che rispettivamente predicano due qualificazioni normative incompatibili, si deve concludere che almeno una delle due norme non valga (non sia valida, non esista) in via generale, oppure non sia applicabile in quel caso particolare».

Serve a sbarrare la strada [...] al risultato di far emergere un conflitto di norme. Si fonda sulla credenza che «il diritto», o il «sistema giuridico» o l'«ordinamento giuridico» fornisca una disciplina coerente – priva di antinomie – della vita associata.

E' però un argomento ancillare, perché «non basta, da solo, a decidere l'applicazione del diritto o a risolvere un problema di interpretazione in senso lato allorquando ci si trova di fronte a un cosiddetto "conflitto di norme", ma deve essere integrato da almeno un altro argomento retorico» per individuare il possibile significato della disposizione. Nel caso in cui questo significato generi antinomia, deve essere completato con l'assunzione di un principio generale sulla soluzione dei conflitti di norme.

Argomento della completezza della disciplina giuridica6 – (Tg)

È l'argomento per cui, «non essendo reperibile una norma che, per un comportamento dato e per un dato soggetto, ascriva una qualificazione normativa a quello stesso comportamento, si deve concludere ciononostante che valga (che sia valida, che esista) una norma che ascrive al comportamento non regolato una qualche qualificazione normativa».

Serve a sbarrare la strada al risultato di far considerare «non disciplinato dal diritto», cioè non qualificato, un qualsiasi comportamento. Si fonda sulla credenza che «il diritto», o il «sistema giuridico» o l'«ordinamento giuridico» fornisca una disciplina completa – priva di lacune – della vita associata.

E' però un argomento ancillare, perché «non basta, da solo, a decidere l'applicazione del diritto o a risolvere un problema di interpretazione in senso lato allorquando ci si trova di fronte a un cosiddetto "conflitto di norme", ma deve essere integrato da almeno un altro argomento retorico» per individuare il possibile significato della disposizione. Nel caso in cui questo significato generi antinomia, deve essere completato con l'assunzione di un principio generale sulla soluzione dei conflitti di norme.

Argomento economico (ipotesi del legislatore non ridondante)7 – (Th)

È l'argomento per cui «si esclude l'attribuzione a un enunciato normativo di un significato che già viene attribuito ad altro enunciato normativo, preesistente al primo o gerarchicamente superiore al primo o più generale del primo; e ciò perché se quell'attribuzione di significato non venisse esclusa, ci si troverebbe di fronte a un enunciato normativo superfluo».

Si fonda «sulla credenza che il legislatore [...] segua criteri di economicità e non sia ripetitivo: cioè che non produca – attraverso l'enunciazione di enunciati nuovi, o più particolari, o subordinati – la stessa norma che già era valida ed efficace».

Si tratta di un argomento che trova effettivo impiego nella nostra cultura giuridica in ordine agli enunciati che provengono dalla stessa fonte formale: nel caso di enunciati di diversa fonte formale, e specialmente se di livello gerarchico diverso, la ripetitività è frequentemente praticata.

Argomento ab absurdo (argomento apagogico)8– (Ti)

È l'argomento per cui «si deve escludere quell'interpretazione di un enunciato normativo che dia luogo ad una norma "assurda"».

Si fonda sulla «diffusa credenza che il diritto non contenga norme assurde: vuoi perché si ipotizza la "ragionevolezza del legislatore" [...], vuoi perché si ritiene che la norma "assurda" non possa essere valida».

Questo argomento «è coniugabile con altri argomenti e specialmente con quello teleologico e con quello equitativo». Peraltro «si tratta di un argomento piuttosto fragile»: «l'"assurdo" è nozione storicamente relativa e mutevole, e raramente acquista oggettività sociale».

Argomento sistematico9 – (Tl)

È l'argomento per cui «a un enunciato normativo o a un insieme di enunciati normativi (tra loro assunti come collegati proprio ai fini della interpretazione "sistematica") si deve attribuire il significato prescritto, ovvero non si deve attribuire il significato impedito, dal "sistema giuridico".

Come è evidente, «questa esplicitazione non esplicita nulla, sino a che non sia stato esplicitato il significato di "sistema giuridico"; ma diverse sono state e sono le nozioni di sistema giuridico elaborate dai giuristi, e diversi sono perciò i modi in cui reagisce o si vuol far reagire il sistema sulle decisioni in ordine all'attribuzione di un significato e sulle motivazioni sulle proposte di interpretazione: anzi, poiché di solito il concetto di sistema viene elaborato proprio al fine di fornire argomenti interpretativi, non ci troviamo di fronte – propriamente - a un "argomento sistematico" bensì ad una serie di argomenti che hanno in comune poco più del nome».

A) Argomento della sedes materiae (argomento topografico)10 – (Tl1)

«In una prima accezione, per "sistema" si intende la disposizione degli enunciati normativi che è stata prescelta dal legislatore: ad esempio la disposizione degli articoli, dei capi, dei titoli di un codice. In questa accezione di "sistema", l'argomento sistematico altro non è che l'argomento secondo cui agli enunciati si deve dare quell'interpretazione che è suggerita dalla loro collocazione nel "sistema del codice".

La persuasività di questo argomento si basa sull'opinione che la disposizione degli enunciati sia espressione della volontà del legislatore, e se questo legislatore è inteso in senso concreto l'argomento in questione si associa strettamente all'argomento psicologico».

B) Argomento della costanza terminologica11 – (Tl2)

«In una seconda accezione, per sistema" si intende l'insieme dei concetti che "il legislatore" – comunque inteso, in senso concreto o in astratto come sinonimo di "la legge" – adopera. Secondo questa accezione di "sistema" esiste nella legge una corrispondenza rigida tra concetti normativi e termini degli enunciati [...], talché quando è certo o ritenuto tale il significato del termine x (ad esempio, "possesso", "domicilio") in un enunciato, quel significato va attribuito a x in tutti gli enunciati in cui ricorre».

C) Argomento concettualistico (argomento dogmatico)12 – (Tl3)

«In una terza accezione, per "sistema" si intende l'insieme organico dei concetti del diritto, i quali si compongono a designare "parti del diritto", "istituti", "rapporti", ciascuna delle quali entità è presieduta – per ciascuna organizzazione giuridica – da propri "principi". Secondo questa accezione di "sistema" agli enunciati normativi debbono attribuirsi quei significati che sono suggeriti dal sistema dei "concetti" e dai "principi" del diritto».

Argomento naturalistico (ipotesi del legislatore impotente; riferimento al common sense)13 – (Tm e Tm1)

È l'argomento che «serve a motivare e a proporre combinazioni di enunciati normativi e attribuzioni di significato ai medesimi, tali da ravvisare, nelle norme espresse dagli enunciati a disposizione, delle norme che si uniformano – o perlomeno non sono in disaccordo – con la (una qualche concezione della) "natura": natura dell'uomo, natura dei rapporti disciplinati, ecc.».

L'argomento naturalistico «nasce non già come argomento interpretativo, bensì come argomento produttivo: esso si fonda su concezioni del diritto per le quali i rapporti sociali trovano in sé stessi, nella loro natura, nella natura dell'uomo, nella natura delle cose, la loro disciplina [...]. La legge che volesse "far forza" alla natura non sarebbe "vera" legge o non sarebbe "efficace"».

Argomento a simili (analogia legis)14 – (Tn1)

È l'argomento per cui, «essendo data una norma che predica una qualsiasi qualificazione normativa (ad esempio un potere un obbligo, uno status) di un soggetto o di una classe di soggetti, si deve concludere che valga (che esista, che sia valida) una diversa norma la quale predichi quella stessa qualificazione normativa di un altro soggetto o classe di soggetti, che abbiano col primo soggetto o con la prima classe di soggetti una somiglianza o "analogia" assunta come rilevante in ordine alla identità di disciplina giuridica (almeno per quanto concerne la qualificazione in questione).

Si presenta come «una regola sulla produzione giuridica, e precisamente come una regola che impone la produzione di norme che abbiano l'effetto di ottenere per il secondo termine dell'analogia la disciplina che una norma preesistente impone al primo termine dell'analogia».

Funziona, in sede interpretativa come, «come veicolo di interpretazione "estensiva"».

Argomento a partire dai principi generali (analogia iuris)15 – (Tn2)

È un argomento produttivo e interpretativo: «produttivo, in quanto utilizzato per riempire le cosiddette "lacune" del diritto; [...] interpretativo, in quanto utilizzato per decidere di attribuire, o per motivare l'attribuzione, o per proporre di attribuire, significati agli enunciati normativi».

La dottrina moderna «si è prodotta in lunghe discussioni, [...] dibattendo se si trattasse dei principi di "diritto naturale", o dei principi "dei diritti propri di tutte le cosiddette nazioni civili", ovvero dei principi "indotti dall'insieme di tutte le disposizioni di un singolo diritto positivo": ove è chiaro che le tre formule derivano rispettivamente [...] la prima dalla corrente razionalista del giusnaturalismo settecentesco, la seconda dal liberalismo giuridico ottocentesco, la terza dalla concezione savignyana del diritto come espressione organica dello spirito di un popolo».

È un argomento fragile: «il ricorso ai principi di "diritto naturale" o "comuni a tutte le nazioni civili" serve a poco data la evidente dipendenza ideologica di tali nozioni [...]; l'induzione dei principi generali dal complesso degli enunciati del diritto positivo si risolve o in analogia legis (o materiae) ovvero in mera "estensione" di enunciati ben "particolari", talché non v'è ragione di individuare un argomento ulteriore».

Argomento teleologico (ipotesi del legislatore provvisto di fini)16 – (To)

È l'argomento per cui «a un enunciato normativo deve attribuirsi quel significato che corrisponde al fine proprio della legge di cui l'enunciato è documento.

Questo argomento non deve confondersi con quello psicologico che impone il ricorso alla volontà del legislatore concreto: chi usa l'argomento teleologico ricostruisce i fini "della legge" a partire dal testo della legge o da una classificazione dei fini o interessi che il diritto protegge, anziché da documenti diversi (come i lavori preparatori) concepiti come indizi della volontà di un individuo o di una assemblea intesa concretamente».

Quando si tratta di decidere l'estensione di un enunciato normativo antico a situazioni nuove «l'argomento teleologico funziona come opposto all'argomento a contrario e come concorrente dell'argomento analogico. All'opposto dell'argomento a contrario, e come quello analogico, serve a motivare l'estensione di significato, cioè a interpretare l'enunciato normativo come esprimente una norma che include nel proprio disposto la situazione nuova e non prevista; a differenza di quello analogico, che si basa sulla somiglianza della fattispecie, l'argomento teleologico si basa sulla opportunità di disciplinare allo stesso modo le fattispecie anche se diverse».

Argomento a fortiori (a minori ad maius; a maiori ad minus)17 – (Tp1 e Tp2)

È l'argomento per cui, «essendo data una norma giuridica che predica un obbligo o un'altra qualificazione normativa di un soggetto o di una classe di soggetti, si deve concludere cha valga (che sia valida, che esista) una diversa norma che predichi la stessa qualificazione normativa di un altro soggetto o classe di soggetti che si trovi in situazione tale da meritare, a maggior ragione del primo soggetto o classe di soggetti, la qualificazione che la norma data accorda al primo soggetto o classe di soggetti».

Non si tratta di «un sottocaso dell'argomento analogico [...]: infatti l'argomento a fortiori non si fonda sulla somiglianza, bensì solo sulla ragione o ratio della norma. [...] Non è necessario che la condotta cui si estende il significato dell'enunciato sia "somigliante" o "analoga" a quella cui senza dubbio l'enunciato già si riferiva, basta che la prima meriti "a maggior ragione" la qualificazione normativa riservata alla seconda. Proprio perché si fonda sul "merito", e non sulla "somiglianza", [...] l'argomento a fortiori dà luogo a due schemi diversi a seconda che si applichi all'interpretazione di enunciati formulati in termini di qualificazioni vantaggiose o in termini di qualificazioni svantaggiose, schemi diversi che la tradizione retorica identifica come:

l'argomento a minori ad maius;

l'argomento a maiori ad minus.

L'argomento a minori altro non è che l'argomento a fortiori applicato alle qualificazioni svantaggiose, come ad esempio i divieti.

L'argomento a maiori altro non è che l'argomento a fortiori applicato alle qualificazioni vantaggiose, come ad esempio i diritti, le autorizzazioni.

Consente di motivare o di fondare la proposta di una interpretazione estensiva di un enunciato normativo.

Argomento ab exemplo (riferimento alla opinio doctorum; riferimento ai precedenti giurisprudenziali: giurisdizione comune; riferimento esplicito al diritto vivente; riferimento all'applicazione amministrativa; riferimento ai propri precedenti; riferimento ad altri ordinamenti)18 – (Tq1, Tq2, Tq2/1, Tq3, Tq4, Tq5)

È l'argomento per cui «a un enunciato normativo va attribuito quel significato che gli è già stato attribuito da qualcuno, e per questo solo fatto. Si tratta dell'argomento che invita ad attenersi [...] alla prassi applicativa consistente nel prodotto dell'interpretazione ufficiale o giudiziale, ovvero all'interpretazione della dottrina». Nella versione di argomento comparatistico, può trattarsi di prassi applicative proprie di ordinamenti diversi.

E' evidente che «quest'argomento non ha impiego in quei casi in cui l'aderenza al precedente è imposta o in quei casi in cui l'opinione dottrinale è considerata fonte del diritto in senso formale».

Questo argomento «presiede alla continuità delle organizzazioni giuridiche [...] in relazione a due valori: quello di certezza e di prevedibilità delle future applicazioni del diritto, e quello di uguaglianza nel trattamento di fattispecie che si ritiene vadano disciplinate da (il risultato dell'interpretazione di) uno stesso enunciato normativo».

Argomento equitativo (principi di giustizia utilizzati per selezionare significati di disposizioni)19 – (Tr)

È l'argomento che «serve ad accreditare, tra diverse interpretazioni possibili e culturalmente tollerabili, quella che meno urta contro le idee, che il giudice condivide con la società, sul "buon" esito dell'applicazione del diritto nel caso concreto. L'argomento equitativo serve ad evitare interpretazioni e applicazione sentite come "inique"».

La debolezza di questo argomento «risiede nel fatto che la sua persuasività si basa sull'esistenza, in una data società, di modi di sentire largamente generalizzati di cui siano partecipi tutti gli operatori giuridici e tutti gli spettatori delle loro operazioni. Quest'ultima condizione non si verifica in società culturalmente divise, [...] in cui ciò che è sentito come "iniquo" da taluni è da altri ritenuto il vero scopo da attribuire agli enunciati del legislatore». D'altra parte, «la forza persuasiva deriva dal fatto che l'evitare – in casi singoli – interpretazioni che porterebbero a risultati "iniqui" è generalmente apprezzato allorquando una possibilità di interpretazione non "iniqua" è culturalmente accettabile ("non forza troppo l'enunciato della legge")».

Riferimento a riforme legislative in corso – (Ts)

È l'argomento in forza del quale un possibile significato viene preferito ad un altro a motivo della sua congruità con riforme legislative in corso.

Esplicita valutazione delle conseguenze pratiche dell'eventuale accoglimento – (Tt)

E' l'argomento con il quale l'interprete motiva la sua decisione di attribuire ad un enunciato un determinato significato attraverso una esplicita valutazione delle conseguenze pratiche che deriverebbero da un'eventuale pronuncia di accoglimento.

Esplicita valutazione delle conseguenze pratiche dell'eventuale rigetto – (Tu)

E' l'argomento con il quale l'interprete motiva la sua decisione di attribuire ad un enunciato un determinato significato attraverso una esplicita valutazione le conseguenze pratiche che deriverebbero da un'eventuale pronuncia di rigetto.

II

Tecniche utilizzate non per individuare norme attraverso l'attribuzione di significati a enunciati, ma per sostenere la decisione fondata su norme in precedenza individuate

Sotto questo titolo vengono raggruppati argomenti attraverso i quali sono sciolti dilemmi decisionali non risolubili con ulteriore attività interpretative.

Esplicito e motivato overruling rispetto ai propri precedenti – (D1)

E' la tecnica con la quale si legittima l'applicazione al caso concreto di una norma, già individuata sulla base di altri argomenti, dando atto in modo esplicito che essa supera precedenti interpretazioni

Riferimento alla discrezionalità del legislatore (spazio impregiudicato dalla norma parametro) – (D2)

E' la tecnica con la quale l'interprete, rispetto a una norma oggetto già individuata sulla base di altri argomenti, dichiara esplicitamente che la norma parametro è muta.

Riferimento alla discrezionalità del legislatore (manca "norma a rime obbligate": no analogia iuris) – (D3)

E' la tecnica con la quale l'interprete, rispetto a una norma oggetto già individuata sulla base di altri argomenti, dichiara esplicitamente che essa rientra nella pluralità di soluzioni attuative tollerate dalla norma parametro.

III

Tecniche utilizzate per produrre la norma parametro attraverso l'attribuzione – mediante bilanciamento/concretizzazione – di significati specifici a enunciati costituzionali contenenti principi

Bilanciamento come individuazione del contenuto minimo essenziale – (B1)

Bilanciamento come individuazione dell'ottima proporzione – (B2)

Il procedimento ermeneutico in cui consiste il bilanciamento tra principi costituzionali può essere così sintetizzato:

a) esiste un conflitto tra il principio - genericamente inteso - cui può essere ricondotta la disposizione X (oppure: il combinato delle disposizioni A, B e C) e il principio - genericamente inteso – cui può essere ricondotta la disposizione Y (oppure: il combinato delle disposizioni E, F e G);

b) tale conflitto può essere risolto in due modi: 1) individuando la migliore proporzione possibile tra i due principi, oppure 2) individuando i limiti oltre i quali la compressione di uno dei due principi non può andare;

c) nel primo caso la Corte definirà il punto di ottimo equilibrio; nel secondo definirà il contenuto minimo essenziale dei principi in conflitto (o comunque di quello "aggredito");

d) ma la individuazione di questi punti (di equilibrio) o di queste linee (di confine) consegue alla assunzione da parte della Corte:

di uno tra i tanti possibili criteri di giustizia, i quali, come ha dimostrato Kelsen, rinviano tutti - tranne quello della carità - a ordinamenti di valori e di preferenze la cui esistenza è presupposta e accettata da chi utilizza il criterio;

di uno specifico significato attribuito, a fronte del caso concreto, a quel principio;

e) sulla base di questo specifico significato attribuito ad un particolare principio di giustizia - e cioè sulla base di una "doppia preferenza" che individua il criterio di giustizia concreto idoneo a risolvere il conflitto - la Corte attribuisce alle disposizioni costituzionali che costituiscono i poli del conflitto medesimo, i significati idonei a risolverlo. Nel caso dell'ottima proporzione si dichiareranno incostituzionali tutti i significati delle disposizioni che non coincidono con quello che esprime tale puntuale equilibro. Nel caso del significato minimo essenziale si dichiareranno incostituzionali solo i significati che si collocano oltre quello "di confine".

Nell'ipotesi sopra formulata la Corte attraverso l'interpretazione delle disposizioni in conflitto individua una norma parametro (che definisce o l'ottimo equilibrio o il confine invalicabile). Si potrebbe ritenere – contrariamente a questa ricostruzione – che il bilanciamento non derivi dall'applicazione di una norma, ma sia una tecnica applicativa che scioglie un dilemma che non può essere risolto attraverso un'ulteriore attività interpretativa delle disposizioni in conflitto. Occorre però constatare che la Corte, quando ricorre alla tecnica del bilanciamento, opera il bilanciamento medesimo come se consistesse nell'applicazione di una norma parametro individuata attraverso l'interpretazione delle disposizioni in conflitto.

Altri ricostruiscono il procedimento ermeneutico comunemente definito del bilanciamento tra principi costituzionali in termini diversi.

Ritenendo la ponderazione non un modo di applicare i principi, ma un modo di scegliere il principio applicabile in casi di conflitto, la ponderazione medesima è ritenuta attività che precede l'applicazione (dell'uno o dell'altro principio) ed è quindi cosa diversa da essa. L'applicazione del principio individuato consiste, in quest'ottica, nella "concretizzazione" del principio medesimo, ossia nell'individuazione di una regola fino a quel momento inespressa – a fattispecie chiusa, indefettibile, non generica – che consenta la sussunzione altrimenti impossibile, data la natura generica del principio.

Quest'ultima ricostruzione non produce risultati così distanti da quella precedentemente descritta se si considera che la regola inespressa, che risulta dalla concretizzazione del principio, svolge la medesima funzione di quelli che sono stati definiti il punto di ottimo equilibrio e il contenuto minimo essenziale dei principi in conflitto.

IV

Tecniche utilizzate per produrre la norma parametro attraverso giudizi di ragionevolezza che non valgono poi a selezionare possibili significati di enunciati costituzionali

Giustizia come convenienza:

Ragionevolezza strumentale (giudizio di ragionevolezza formulabile in termini di idoneità, efficacia, proporzionalità) (G1)

Giustizia come convenienza:

Ragionevolezza intersoggettiva (giudizio di ragionevolezza formulabile in termini di eguaglianza) (G2)

Giustizia come convenienza:

Applicazioni residuali del principio di ragionevolezza) – (G3)

Esistono frequenti ipotesi in cui il parametro che la Corte utilizza per decidere della incostituzionalità di una norma ordinaria non consiste in un significato attribuito ad una disposizione costituzionale: casi cioè in cui il legame tra parametro del giudizio ed enunciati del testo della Costituzione è interrotto.

L'utilizzazione di un tale tipo di parametro può ricorrere:

a) quando una norma appare contraddittoria rispetto al fine che il legislatore, implicitamente o esplicitamente, dichiara di voler perseguire (incoerenza teleologica);

b) quando una norma appare intimamente contraddittoria (incoerenza interna) o irriducibile al sistema legislativo in cui dovrebbe inserirsi, e cioè irrimediabilmente non armonizzabile con esso (incoerenza sistemica);

c) quando - al di fuori del campo di applicazione del principio di uguaglianza, e cioè laddove la discrezionalità legislativa non è vincolata da norme costituzionali - un rapporto giuridico appare disciplinato in modo tale da sacrificare irragionevolmente gli interessi di una delle parti.

Questa elencazione non è e non può essere tassativa, perché la Corte fa valere, ove lo ritenga, criteri di ragionevolezza che considera presupposti dalla Costituzione nel suo complesso, ma che non possono essere fatti derivare da alcuna disposizione specifica.

In tutti questi casi la Corte applica - al di là del modo con cui fraseggia le sue argomentazioni - il criterio della giustizia come convenienza, come adeguatezza della norma al caso concreto. Utilizza cioè come parametro la norma giusta che dovrebbe esserci, ma che non c'è: quella norma che il sentimento di giustizia dell'interprete, di fronte al caso concreto, percepisce come mancante. Si tratta di parametri, per definizione, estranei agli enunciati del diritto scritto.

Nelle ipotesi considerate quel che conta non è, in sé, il ricorso a una regola di giustizia, ma il fatto che tale regola non venga utilizzata per selezionare uno dei significati possibili di un enunciato. Se così fosse si tratterebbe di un semplice uso del criterio equitativo: criterio dal contenuto indefinibile, ma che, se utilizzato per attribuire ad un enunciato uno dei suoi significati possibili e per argomentarne la preferibilità, svolge un ruolo del tutto identico a quello degli altri argomenti ermeneutici. Quel che differenzia le ipotesi ora esaminate dall'uso del criterio equitativo è che qui il principio di giustizia opera non come regola sull'interpretazione del diritto, ma come regola sulla sua produzione.

NOTE

  1. G. Tarello G., L'interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale a cura di A. Cicu - F. Messineo - L. Mengoni, vol. I, tomo 2, Milano, Giuffrè, 1980, p. 364. [indietro]
  2. Ivi, p. 367. [indietro]
  3. Ivi, p. 346. [indietro]
  4. Ivi, p. 350, dove però l'argomento in parola è indicato come una specie dell'argomento a contrario. [indietro]
  5. Ivi, p. 360. [indietro]
  6. Ivi, p. 357. [indietro]
  7. Ivi, p. 371. [indietro]
  8. Ivi, p. 369. [indietro]
  9. Ivi, p. 375. [indietro]
  10. Ivi, p. 376. [indietro]
  11. Ivi, p. 377. [indietro]
  12. Ivi, p. 377. [indietro]
  13. Ivi, p. 378. [indietro]
  14. Ivi, p. 350. [indietro]
  15. Ivi, p. 382. [indietro]
  16. Ivi, p. 370. [indietro]
  17. Ivi, p. 355. [indietro]
  18. Ivi, p. 372. [indietro]
  19. Ivi, P. 380. [indietro]
 
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