Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0079 del 1961 inserita nel sistema il 10/11/2012
Nessuna pronuncia relativa alla sentenza.

N. 79
SENTENZA 22 DICEMBRE 1961

Deposito in cancelleria: 30 dicembre 1961.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 5 del 5 gennaio 1962.
Pres. CAPPI - Rel. SANDULLI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. GIUSEPPE CAPPI, Presidente - Prof.
GASPARE AMBROSINI - Dott. MARIO COSATTI - Prof. FRANCESCO PANTALEO
GABRIELI - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof.
GIOVANNI CASSANDRO - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof.
GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI -
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 6,
secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, dell'art.
149 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, dell'art. 24, terzo comma,
della legge 25 settembre 1940, n. 1424, e dell'art. 52 della legge 19
giugno 1940, n. 762, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 27 maggio 1960 dalla Corte di appello di
Napoli nel procedimento civile tra Fusco Raffaele e l'Amministrazione
delle finanze dello Stato, iscritta al n. 21 del Registro ordinanze
1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 70 del
18 marzo 1961;
2) ordinanza emessa il 22 dicembre 1960 dal Tribunale di Venezia
nel procedimento civile tra Mattarucco Antonio e l'Amministrazione
delle finanze dello Stato, iscritta al n. 25 del Registro ordinanze
1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 1
aprile 1961;
3) ordinanza emessa il 22 dicembre 1960 dal Tribunale di Venezia
nel procedimento civile tra Perale Ferdinando e l'Amministrazione delle
finanze dello Stato, iscritta al n. 31 del Registro ordinanze 1961 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 1 aprile
1961;
4) ordinanza emessa il 14 febbraio 1961 dal Tribunale di Venezia
nel procedimento civile tra Muscardin Giovanni e l'Ufficio del registro
di Mestre, iscritta al n. 33 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 29 aprile 1961.
Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1961 la relazione del
Giudice Aldo Sandulli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Ministro per le
finanze.

Ritenuto in fatto:

Le quattro ordinanze in esame - la prima della Corte d'appello di
Napoli e le altre del Tribunale di Venezia - investono tutte il
problema della legittimità costituzionale del principio del solve et
repete in materia tributaria, sul quale questa Corte ebbe già a
pronunciarsi con la sent. 24 marzo 1961, n. 21, dichiarando
l'illegittimità costituzionale della norma contenuta nel secondo comma
dell'art. 6 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, in riferimento agli
artt. 3, 24 e 113 Costituzione. Le attuali ordinanze, tutte anteriori
alla ricordata sentenza di questa Corte, denunciano, in riferimento
agli stessi articoli della Costituzione (ai quali le tre ordinanze del
Tribunale di Venezia aggiungono l'art. 23), oltre al secondo comma del
citato art. 6 le seguenti altre disposizioni legislative nelle quali il
principio del solve et repete viene espressamente riaffermato: art.
149 legge di registro approvata con R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, ex
se (Corte d'appello di Napoli), e in quanto richiamato dall'art. 10
legge 25 giugno 1943, n. 540, sulle imposte ipotecarie (Tribunale di
Venezia, ord. n. 31/61); art. 24, comma terzo, legge doganale 25
settembre 1940, n. 1424, (Tribunale di Venezia, ord. 25/61); art. 52
legge 19 giugno 1940, n. 762, relativa all'imposta generale
sull'entrata (Tribunale di Venezia, ord. 33/61).
L'ordinanza della Corte d'appello di Napoli, movendo dal carattere
di presupposto processuale del pagamento del tributo da parte del
contribuente per essere ammesso a far valere in giudizio
l'illegittimità dell'imposizione, pur menzionando l'art. 113 Cost.,
basa essenzialmente la denuncia di illegittimità costituzionale delle
disposizioni impugnate sull'incompatibilità di esse con gli artt. 3 e
24 Cost., i quali enunciano rispettivamente il principio di uguaglianza
dei cittadini "senza distinzione di condizioni sociali o personali" e
il principio del diritto di difesa, "che non può essere condizionato a
fatti, a situazioni, o ad atti che si risolvono nella elusione del
principio di uguaglianza"; e argomenta dal fatto che le disposizioni
denunciate "condizionano" il diritto di difesa a un pagamento ("che in
molti casi per il cittadino è di difficile o impossibile attuazione")
"sul presupposto di una differenziazione tra cittadini abbienti o non
abbienti, e, comunque, con la attribuzione alla pubblica
Amministrazione, nel processo, di una irrazionale e ingiustificata
posizione di privilegio rispetto all'altra parte".
Le tre ordinanze del Tribunale di Venezia hanno identica
motivazione. Anch'esse deducono l'incompatibilità della regola del
solve et repete col principio di uguaglianza, con particolare riguardo
al diritto di azione giudiziaria (art. 24 Cost.), nonché col precetto
dell'art. 113 Cost., che assicura ai cittadini la tutela
giurisdizionale contro gli atti amministrativi lesivi di diritti e
interessi legittimi, e aggiungono che ogni illegittima imposizione
tributaria è suscettibile di importare gravissime conseguenze
giuridiche di carattere non solo patrimoniale, ma anche personale, e si
risolve in una lesione dell'art. 23 Cost., il quale segna i limiti del
potere di imposizione.
Le quattro ordinanze sono state regolarmente notificate alle parti
in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicate ai
Presidenti dei due rami del Parlamento, e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale (la prima in quella del 18 marzo 1961, n. 70, la seconda e la
terza in quella del 1 aprile 1961, n. 83, la quarta in quella del 29
aprile 1961, n. 106).
In tutti e quattro i giudizi si è costituito innanzi a questa
Corte il Ministro per le finanze ed è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, entrambi a mezzo dell'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo la dichiarazione di infondatezza delle sollevate
questioni.
In nessuno dei giudizi si sono costituite parti private.
All'udienza, i quattro giudizi sono stati trattati congiunta mente.
In essa, l'Avvocatura dello Stato ha dichiarato che, essendo
sopravvenuta alla propria costituzione in giudizio la sentenza 24 marzo
1961, n. 21, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
della norma contenuta nel secondo comma dell'art. 6 legge 20 marzo
1865, n. 2248, all. E, ed essendo le altre disposizioni tributarie,
impugnate coi quattro giudizi in esame, norme applicative della regola
del solve et repete, enunciata in via di principio dal citato articolo,
essa Avvocatura non insiste nell'opporsi alla dichiarazione di
illegittimità costituzionale anche delle altre disposizioni riferite.

Considerato in diritto:

1. - Le quattro cause, data l'identità di materia, sono state
trattate congiuntamente e possono essere decise con unica sentenza.
2. - Con la sentenza 24 marzo 1961, n. 21, intervenuta in un
giudizio promosso dal Pretore di Pavia nei confronti del solo art. 6
della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, questa Corte ebbe a
dichiarare l'illegittimità costituzionale del secondo comma di tale
articolo. Le questioni di legittimità costituzionale di quest'ultima
disposizione, sollevate con le ordinanze che hanno promosso i quattro
giudizi ora all'esame della Corte, sono perciò da dichiarare ormai -
in conformità della costante giurisprudenza - manifestamente
infondate.
3. - La Corte deve, invece, occuparsi delle questioni sollevate nei
confronti dell'art. 149 della legge del registro (R.D. 30 dicembre
1923, n. 3269), dell'art. 52 della legge istitutiva dell'imposta
generale sull'entrata (legge 19 giugno 1940, n. 762): e dell'art. 24
della legge doganale (legge 25 settembre 1940, n. 1424). Per quanto
riguarda questi ultimi due testi legislativi, l'esame va, peraltro,
limitato rispettivamente al secondo periodo del secondo comma del
citato art. 52 e al terzo comma dell'art. 24, dato che le questioni
sollevate investono unicamente la legittimità dell'istituto del solve
et repete, al quale si riferiscono le sole parti menzionate degli
articoli in questione.
L'art. 149 della legge del registro dispone che, "eccettuato il
caso di opposizione a richiesta di tasse suppletive, non sono ammessi
in giudizio ricorsi, opposizioni o istanze contro l'ingiunzione a
pagamento, o contro la liquidazione di tasse e sopratasse, quando non
sia provato il pagamento delle medesime mediante la quietanza di cui
all'articolo 96".
Il secondo periodo del secondo comma dell'art. 52 della legge
istitutiva dell'imposta generale sull'entrata dispone che il "gravame
dinanzi alla Autorità giudiziaria" previsto dal primo periodo dello
stesso comma contro i provvedimenti definitivi dell'Amministrazione
"deve esser proposto, previo pagamento della imposta e della sopratassa
determinate nell'ordinanza dell'Intendente o nel decreto del Ministro
delle finanze nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della
stessa ordinanza o decreto".
Il terzo comma della legge doganale dispone che l'atto di
opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento dei diritti dovuti alla
dogana, contemplato dal secondo comma, "non è valido se non è
preceduto dal pagamento della somma richiesta".
Si tratta di disposizioni le quali riaffermano, con riferimento
alle materie di cui rispettivamente si occupano, la regola del solve et
repete, enunciata in via generale nell'art. 6, secondo comma, della
legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Regola che, con la ricordata
sentenza n. 21, questa Corte ha ritenuto illegittima perché
contrastante con gli artt. 3, 24 e 113 Cost., essendo incompatibile
col principio di uguaglianza, col pari diritto di tutti i cittadini di
agire in giudizio, con l'inammissibilità di limitazioni al diritto di
far valere in giudizio l'illegittimità degli atti amministrativi
comunque lesivi di diritti o di interessi legittimi.
Questo punto di vista deve essere confermato per le ragioni
enunciate nella sentenza n. 21, dalle quali la Corte non ritiene
doversi discostare, anche con riguardo alle disposizioni in materia di
imposta di registro, di imposta generale sull'entrata e di imposte
doganali, che vengono ora portate per la prima volta all'esame della
Corte. Esse devono essere, perciò, dichiarate illegittime.
Né a tal fine è necessario stabilire se siano applicative della
regola enunciata nell'art. 6 della legge del 1865 o abbiano carattere
novativo. E sufficiente, infatti, constatare che si tratta di testi
legislativi dotati, nel sistema, di una propria individualità e di una
propria vita giuridica; onde anche di essi può esser chiesta e deve
esser pronunciata la dichiarazione di illegittimità costituzionale.
4. - Non occorre, invece, dichiarare l'illegittimità
costituzionale, sia pure parziale, dell'art. 10 della legge 25 giugno
1943, n. 540, sulle imposte ipotecarie, il quale, disponendo che "per
la riscossione delle imposte e delle sopratasse stabilite dalla
presente legge e per il modo di decidere le controversie che insorgono
sulle medesime sono applicabili le disposizioni vigenti in materia di
imposte di registro", fa rinvio, tra l'altro, alla regola del solve et
repete enunciata nell'art. 149 della legge del registro.
Opportunamente l'ordinanza del Tribunale di Venezia iscritta al n.
31 Registro ordinanze, trovandosi a dover applicare, in virtù di tale
rinvio, l'art. 149 ult. cit., ha sollevato la questione di legittimità
di quest'ultimo e non quella dell'art. 10 della legge del 1943.
L'articolo 10 di questa legge fa rinvio al sistema normativo relativo
all'imposta di registro, quale risulta dalle disposizioni vigenti al
momento dell'applicazione. Venuta meno la disposizione dell'articolo
149 della legge di registro, a causa della dichiarazione della sua
illegittimità costituzionale, viene perciò a mancare lo stesso
rinvio, da parte dell'art. 10 della legge ipotecaria, alla disposizione
dichiarata incostituzionale: onde non può parlarsi di una
illegittimità della disposizione di rinvio.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riunisce i quattro giudizi di legittimità costituzionale indicati
in epigrafe;
dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale del secondo comma dell'art. 6 della legge 20 marzo 1865,
n. 2248, all. E;
dichiara l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt.
3, 24, 113 della Costituzione:
- dell'art. 149 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269;
- del secondo periodo del secondo comma dell'art. 52 della legge
19 giugno 1940, n. 762;
- del terzo comma dell'art. 24 della legge 25 settembre 1940, n.
1424.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1961.
GIUSEPPE CAPPI - GASPARE AMBROSINI -
MARIO COSATTI - FRANCESCO PANTALEO
GABRIELI - GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO -
NICOLA JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO -
ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI -
GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI -
COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE
CHIARELLI.

 
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