Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0009 del 1964 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di accoglimento
Disposizione oggetto: codice penale art.574:
-Argomento a partire dai principi generali (analogia iuris)
-Argomento sistematico: a) della sedes materiae (argomento topografico)

N. 9
SENTENZA 5 FEBBRAIO 1964

Deposito in cancelleria: 22 febbraio 1964.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 54 del 29 febbraio 1964.
Pres. AMBROSINI - Rel. PETROCELLI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER
- Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO
MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE
FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott.
GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 574 del
Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 13 aprile 1963 dal
Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Santoni Giovanni,
iscritta al n. 117 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 175 del 2 luglio 1963.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 4 dicembre 1963 la relazione del
Giudice Biagio Petrocelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto:

Nel corso del procedimento penale a carico di Santoni Giovanni, il
Pretore di Roma, con ordinanza del 13 aprile 1963, sollevava di ufficio
questione di legittimità costituzionale dell'art. 574 del Codice
penale, in riferimento agli artt. 29, secondo comma, e 30, primo comma,
della Costituzione, sospendendo il giudizio e rimettendo gli atti alla
Corte costituzionale.
La norma impugnata, che prevede il reato di sottrazione di persone
incapaci, indica come titolare del relativo diritto di querela, oltre
che il tutore, il curatore o chi abbia la vigilanza e la custodia
dell'incapace, il solo genitore esercente la patria potestà, violando
con ciò, ad avviso del Pretore, il principio della parità giuridica e
morale dei coniugi nei rapporti reciproci e nei confronti della prole.
Il Pretore rileva in particolare che la limitazione contenuta
nell'art. 574 (ed analogamente nell'art. 573) costituisce un'eccezione
al principio di cui all'art. 120 del Codice penale, eccezione ispirata,
come risulta espressamente dai lavori preparatori, dall'intento di
tener ferma la relazione che "deve intercedere fra l'oggettività del
reato e la titolarità del diritto di querela"; e rammenta che però in
seno alla dottrina non si è mancato di contestare la fondatezza di
questa affermazione, nel senso che più esattamente la qualità di
soggetto passivo del reato avrebbe dovuto essere attribuita anche
all'incapace sottratto o ritenuto, e che la oggettività del reato
stesso avrebbe dovuto essere identificata con la patria potestà e non
con l'esercizio di essa. Onde, per un verso e per l'altro, il
riconoscimento del diritto di querela ad entrambi i genitori, in quanto
titolari della patria potestà, e non al solo genitore cui è
attribuito il relativo esercizio.
Pertanto - ad avviso del Pretore - la disparità di trattamento
riservata ai due genitori dalla norma impugnata, non essendo
giustificata da una diversità di situazioni concrete da regolare, non
potrebbe farsi rientrare fra le limitazioni che la Costituzione
riconosce doversi apportare al principio della eguaglianza giuridica e
morale dei coniugi a garanzia dell'unità familiare; e risulterebbe
quindi in contrasto con l'art. 29, secondo comma, della Costituzione
stessa. La norma impugnata, secondo il Pretore, contrasterebbe anche
con l'art. 30, primo comma, della Costituzione, che sancisce il dovere
e il diritto di entrambi i coniugi di mantenere, istruire ed educare i
figli. Infatti il precetto costituzionale, essendo una riconferma,
sotto questo aspetto, del principio della parità dei coniugi, ed
essendo diretto a riconoscere e tutelare l'interesse dei genitori a
quelle prestazioni, verrebbe ad essere violato da qualsiasi
disposizione diretta a limitare o sopprimere tale diritto.
L'ordinanza, regolarmente notificata al Pubblico Ministero presso
il Tribunale di Roma, all'imputato e al Presidente del Consiglio dei
Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del
Senato della Repubblica, è stata pubblicata sul n. 175 della Gazzetta
Ufficiale del 2 luglio 1963.
In data 21 maggio 1963 si è costituito in giudizio il Presidente
del Consiglio dei Ministri con atto di intervento e deduzioni
dell'Avvocatura generale dello Stato.
Secondo l'Avvocatura dello Stato, "l'oggettività giuridica" del
reato di cui all'art. 574, in relazione alla quale il diritto di
querela risulta attribuito ad uno solo dei coniugi, troverebbe il suo
fondamento nell'istituto dell'esercizio della patria potestà secondo
la disciplina dettata dal Codice civile. Sebbene indubbiamente titolari
di tale potestà siano entrambi i genitori, tuttavia senza il
riconoscimento di una posizione di preminenza ad uno dei due, ogni
iniziativa connessa ai poteri riconosciuti ai genitori per
l'allevamento e l'educazione dei figli resterebbe paralizzata tutte le
volte che sorgesse un contrasto in ordine all'esercizio di quei poteri.
Tale posizione di preminenza andrebbe per altro attribuita, secondo
ovvie leggi di natura, al marito e non alla moglie, senza che da ciò
potesse dirsi determinata una situazione di disparità fra i coniugi.
L'Avvocatura dello Stato ritiene infine del tutto infondata anche
la seconda questione prospettata dal Pretore, in riferimento al secondo
comma dell'art. 30 della Costituzione.

Considerato in diritto:

La Corte ritiene fondata la proposta questione. La disposizione
che, relativamente al delitto di sottrazione di persone incapaci
preveduto dall'art. 574 del Codice penale, limita il diritto di querela
al solo coniuge esercente la patria potestà lede il principio della
eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sancito dal secondo comma
dell'art. 29 della Costituzione; né la disposizione è tale da potersi
considerare, ai sensi dello stesso art. 29, come uno dei limiti che la
legge stabilisce a garanzia dell'unità familiare.
visualizza testo argomento Nella disciplina giuridica del diritto di querela vige il principio
generale che pone sullo stesso piano entrambi i genitori senza
distinzione fra esercente e non esercente la patria potestà, all'uno e
all'altro concedendo la potestà di presentare querela, sia che il
diritto debba esercitarsi in rappresentanza di soggetti incapaci (art.
120, secondo comma, del Codice penale), sia che debba esercitarsi in
sostituzione di soggetti che sono abilitati a presentare querela
(minori che hanno compiuto gli anni quattordici e inabilitati), ma per
i quali si ritiene opportuno anche il possibile intervento dei
genitori, ovvero del tutore o del curatore (art. 120, terzo comma). Le
predette disposizioni, corrispondenti ad eguale indirizzo di altre
legislazioni, stanno a significare in modo evidente che, ancor prima
dell'attuale energica affermazione del principio della eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi, l'unità familiare e l'autorità del
genitore esercente la patria potestà non erano considerate lese dal
possibile dissenso fra i genitori in ordine alla presentazione della
querela.
Questa considerazione, riguardante il principio generale dell'art.
120 del Codice penale, può essere riferita anche alla ipotesi
preveduta dall'art. 574, nel senso cioè che se con l'art. 120, come
norma generale, si è ritenuto non contrastante con l'unità e la
disciplina della famiglia il diritto di querela attribuito ad entrambi
i genitori, non v'è motivo di attuare diverso criterio nella ipotesi
particolare dell'art. 574. Le due norme riguardano indubbiamente
situazioni diverse, prevedendo l'una un diritto di querela in
rappresentanza o in sostituzione di altri soggetti, e l'altra invece un
diritto di querela iure proprio, spettante cioè al genitore esercente
la patria potestà considerato unico soggetto passivo del reato, in
quanto il reato viene ipotizzato appunto come sottrazione del minore al
genitore esercente la patria potestà. Senonché è questa
delimitazione dell'offesa e, conseguentemente, del soggetto passivo
che, a giudizio di questa Corte, non risponde né alla natura ed
incidenza effettiva dell'offesa medesima, né al carattere della figura
di reato, quale, oltre tutto, si può desumere dalla sua collocazione
nel titolo XI del libro II del Codice, dei delitti "contro la
famiglia".
Senza immutazione o alterazione della figura di reato, ma per via
di una interpretazione più aderente al suo reale contenuto, è da
ritenere che la sottrazione del minore importi una offesa che non va
circoscritta alla sola posizione dell'esercente la patria potestà, ma
che investe tutta la famiglia, nella intera consistenza dei suoi
interessi sociali, morali e affettivi. visualizza testo argomento La inclusione della sottrazione
di minorenni nel titolo dei delitti contro la famiglia, lungi
dall'essere il frutto di una classificazione meramente formale, trova,
per questa ipotesi, una rispondenza effettiva nella natura e nella
estensione della offesa. Se questa pertanto deve ritenersi tale da
superare il circoscritto interesse inerente all'esercizio della patria
potestà, ne consegue necessariamente una diversa corrispondente
estensione della soggettività passiva, con la inclusione anche
dell'altro coniuge, il quale, investito della patria potestà pur non
avendone attualmente l'esercizio, non può, in questa ipotesi, essere
escluso dalla rappresentanza della famiglia e dalla tutela dei suoi
interessi.
Posti in questi termini la figura delittuosa preveduta dall'art.
574 del Codice penale e il contenuto offensivo che le è proprio, viene
meno il particolare fondamento della disposizione che limita il diritto
di querela al genitore esercente la patria potestà, con la conseguenza
che la limitazione stessa si manifesta lesiva del principio di
eguaglianza fra i coniugi, al quale nel caso presente non è concesso
fare eccezione.
Bisogna rilevare infine che nell'art. 573 del Codice penale, il
quale prevede la sottrazione consensuale di minorenni, si riscontra
identica non giustificata restrizione del diritto di querela; e
pertanto, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche
di questa norma, e per la parte relativa alla limitazione del diritto
di querela, va dichiarata la illegittimità costituzionale;

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 574 del
Codice penale, in riferimento all'art. 29, secondo comma, della
Costituzione, in quanto limita il diritto di querela al genitore
esercente la patria potestà;
b) dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87, la illegittimità costituzionale dell'art. 573 del Codice
penale, in riferimento all'art. 29, secondo comma, della Costituzione,
in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria
potestà.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1964.
GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - NICOLA
JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO
PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE
FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ
- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.

 
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