Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0143 del 1967 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di accoglimento
Disposizione oggetto: codice di procedura penale art.622:
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva

N. 143
SENTENZA 12 DICEMBRE 1967

Deposito in cancelleria: 15 dicembre 1967.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 321 del 23 dicembre 1967.
Pres. AMBROSINI - Rel. FRAGALI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO -
Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI -
Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO
MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 622
del Codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 23 maggio 1966 dal Tribunale di Milano nel
procedimento civile vertente tra Viganò Laura e Alberti Carlo ed
altro, iscritta al n. 194 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 12 novembre 1966;
2) ordinanza emessa il 19 agosto 1966 dal pretore di Trieste nel
procedimento civile vertente tra Bassa Suraci Matilde e Mazzoni Icilio
ed altro, iscritta al n. 87 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 144 del 10 giugno 1967.
Udita nella camera di consiglio del 7 novembre 1967 la relazione
del Giudice Michele Fragali.

Ritenuto in fatto:

1. - Le due ordinanze sopra indicate, del Tribunale di Milano (23
maggio 1966) e del pretore di Trieste (19 agosto 1966), hanno proposto
questione di legittimità costituzionale dell'art. 622 del Codice di
procedura civile che nega alla moglie convivente col debitore il
diritto di proporre opposizione al pignoramento di mobili di proprietà
di lei, pignorati nella casa coniugale, tranne che si tratti di beni
dotali o di beni che si provi con atto di data certa esserle
appartenuti prima del matrimonio o esserle pervenuti per donazione o
successione a causa di morte. Entrambe le ordinanze hanno invocato
l'art. 24, comma primo, e l'art. 29, comma secondo, della costituzione;
il pretore di Trieste ha opposto pure l'art. 3 della costituzione
stessa.
A fondamento del dubbio di costituzionalità è stato osservato che
la norma si risolve nel negare alla moglie la tutela di un proprio
diritto, crea disparità di situazioni giuridiche, a seconda che il
debito sia del marito o della moglie, perché i beni possono essere
distratti dal patrimonio della moglie per il soddisfacimento di debiti
personali del marito, mentre i beni del marito non possono essere
destinati a garanzia dei creditori personali della moglie: la c.d.
presunzione muciana non è più adeguata all'attuale organizzazione
economica della famiglia, perché anche la moglie può esplicare, e
spesso di fatto esplica, attività produttive di reddito al pari del
marito. Si può spiegare solo che l'art. 70 della legge fallimentare,
applichi la presunzione, sino a prova contraria, per i beni che il
coniuge del fallito ha acquistato a titolo oneroso nel quinquennio
anteriore alla dichiarazione di fallimento, e si può anche spiegare
che l'art. 207, lett. b, del T. U. delle leggi sulla riscossione delle
imposte dirette stabilisca nell'espropriazione esattoriale
l'improponibilità dell'opposizione del coniuge e dei parenti ed affini
fino al terzo grado del contribuente; ma la norma denunciata non è
nemmeno diretta a garantire l'unità familiare, essendo destinata ad
evitare le frodi in danno del creditore. Essa non consente alla
moglie di far valere i suoi diritti sui mobili di sua proprietà
nemmeno se, in ipotesi, può agevolmente provare che li ha acquistati
lei con i proventi del proprio lavoro e se il debito del coniuge è
stato contratto per ragioni estranee al "menage" familiare; e nemmeno,
come fa l'art. 621 dello stesso Codice, si limita ad escludere certi
mezzi di prova del diritto, ad evitare collusioni e danni dei
creditori.
2. - L'ordinanza del Tribunale di Milano è stata notificata alle
parti costituite il 23 settembre 1966, alla parte contumace il 3
ottobre successivo e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 1
agosto 1966; è stata comunicata al Presidente della Camera dei
Deputati l'11 agosto 1966 e a quello del Senato il 3 settembre
successivo; è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica del 12 novembre 1966, n. 284. L'ordinanza del pretore di
Trieste è stata notificata alle parti in data 25 e 27 febbraio 1967,
al Presidente del Consiglio dei Ministri il 2 settembre 1966 e
comunicata in pari data ai Presidenti delle due Camere; è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 10 giugno
1967, n. 144.
Le parti non si sono costituite; non v'è stato intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri.

Considerato in diritto:

1. - Le due cause concernono una identica questione e possono
perciò essere decise con unica sentenza.
2. - visualizza testo argomento La norma impugnata si rifà ad una situazione non più
rispondente all'attuale posizione economica e sociale della donna nella
famiglia e fuori di essa. visualizza testo argomento Questa nuova posizione è riconosciuta
nell'art. 70 della legge fallimentare, che applica la c.d. presunzione
muciana alla moglie nel fallimento del marito e al marito nel
fallimento della moglie, è presupposta nell'art. 207 del testo unico
delle leggi sulle imposte dirette, che limita la proponibilità delle
istanze in separazione, sia alla moglie nell'esecuzione esattoriale
contro il marito, sia al marito nell'esecuzione esattoriale contro la
moglie. Non si spiega che, nell'esecuzione forzata ordinaria, soltanto
la moglie subisce restrizioni nella tutela del suo diritto di
proprietà, quando oggi la moglie, non di rado, ha una propria
posizione professionale e quindi ha la possibilità di acquisire beni
suoi con danaro non proveniente dal marito. Non si spiega nemmeno il
perché la moglie deve provare con atto di data certa l'appartenenza
dei beni acquistati prima del matrimonio, mentre al marito la
giurisprudenza ordinaria suole applicare l'art. 621 del Codice di
procedura civile che consente al riguardo maggiore libertà di prova:
oggi anche la donna nubile riesce ad inserirsi nella vita produttiva,
e, quando ciò accade, diviene verosimile che essa, anteriormente alle
sue nozze possa essersi formato un suo patrimonio attivo.
La norma impugnata ferisce il principio di eguaglianza anche
perché pone una diversità di tutela in ragione di una situazione
dipendente dal sesso. Non vale il richiamo all'art. 29 della
costituzione, perché la norma impugnata non è a protezione della
unità della famiglia, ma vuole evitare una frode ai creditori, e
perché l'unità familiare non esclude la protezione integrale dei
diritti patrimoniali della moglie: essa anzi risulta rafforzata da
questa protezione, che contribuisce ad evitare o a ridurre il pericolo
di incoraggiare le separazioni personali, come rimedio diretto ad
evitare che la moglie veda coinvolti i suoi beni nell'esecuzione
forzata contro il marito, essendo la convivenza coniugale il
presupposto dell'applicazione della norma denunciata. Quanto
all'esigenza di evitare frodi, queste non possono avverarsi in danno
dei creditori del marito più di quanto non possano organizzarsi in
danno dei creditori della moglie; una diversa valutazione
presupporrebbe uno stato di soggezione della moglie al marito, non solo
non più corrispondente all'elevata posizione che oggi si dà alla
moglie nella famiglia, sulla base di una mutata coscienza sociale, ma
nemmeno corrispondente alle valutazioni compiute dalla legge
fallimentare e dalla legge sulla riscossione delle imposte dirette, che
parificano, come si è detto, la situazione dei coniugi, ovviamente
perché riconoscono che il pericolo di frode coniugale è di intensità
uguale, sia che lo si guardi sotto il profilo della protezione dei
creditori del marito, sia che lo si consideri con riguardo alla tutela
dei creditori della moglie. E nei rapporti dei creditori della moglie
si è ritenuto che il pericolo di frode per accordi con il marito è
sufficientemente evitato applicando la limitazione della prova
testimoniale sancita nell'art. 621 per tutti i terzi, a parte l'azione
revocatoria.
3. - Non v'è dunque ragione che giustifichi la diversità di
trattamento fatto alla moglie dall'art. 622 nel raffronto col marito, e
la norma deve essere dichiarata illegittima.
Rimane assorbito il profilo di illegittimità che le ordinanze
hanno tratto dall'art. 24 della costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 622 del Codice
di procedura civile.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI - ANTONINO PAPALDO
- NICOLA JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO
- BIAGIO PETROCELLI - ANTONIO MANCA -
ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA -
MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI
- GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE
VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
- FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI.

 
© 2006-2024 - Dipartimento Scienze Giuridiche - Università di Torino - Periodico registrato presso il Tribunale di Torino