Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0045 del 1969 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: codice civile art.145 comma 1:
-Esplicita valutazione delle conseguenze pratiche dell'eventuale accoglimento

N. 45
SENTENZA 20 MARZO 1969

Deposito in cancelleria: 26 marzo 1969.
Pubblicazione in "Gazz. Uff.le" n. 85 del 2 aprile 1969.
Pres. SANDULLI - Rel. BONIFACIO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. ALDO SANDULLI, Presidente - Prof.
GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI -
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ- Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI
OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO
CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI
- Dott. NICOLA REALE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt.
145, primo comma, e 156, primo comma, del Codice civile, promossi con
le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 26 gennaio 1967 dal tribunale di Caltagirone
nel procedimento civile vertente tra Lo Monaco Giacoma e Interlandi
Vincenzo, iscritta al n. 126 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 190 del 29 luglio 1967;
2) ordinanza emessa il 23 maggio 1967 dal tribunale di Venezia nel
procedimento civile vertente tra Bertocchi Lidia e Traina Franco
Cesare, iscritta al n. 156 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 2 settembre 1967;
3) ordinanza emessa il 29 aprile 1967 dal tribunale di Torino nel
procedimento civile vertente tra Dolci Maria Angela e Bellino
Francesco, iscritta al n. 157 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 2 settembre 1967;
4) ordinanza emessa il 5 luglio 1967 dalla Corte suprema di
cassazione - sezione prima civile - nel procedimento civile vertente
tra Ameghino Remo e Iannitto Clara, iscritta al n. 192 del Registro
ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 271 del 28 ottobre 1967;
5) ordinanza emessa il 7 luglio 1967 dal tribunale di Palermo nel
procedimento civile vertente tra Roscica Francesca e Caronia Vincenzo,
iscritta al n. 221 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell'11 novembre 1967;
6) ordinanza emessa il 14 luglio 1967 dal tribunale di Perugia nel
procedimento civile vertente tra Gigliarelli Anita e Cosmi Aldo,
iscritta al n. 229 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 del 25 novembre 1967;
7) ordinanza emessa il 31 ottobre 1967 dalla Corte suprema di
cassazione - sezione prima civile - nel procedimento civile vertente
tra Frigerio Giuseppina e Santambrogio Primo, iscritta al n. 2 del
Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 65 del 9 marzo 1968;
8) ordinanza emessa l'8 gennaio 1968 dalla Corte di appello di Roma
nel procedimento civile vertente tra Serra Bruno e Basile Vera,
iscritta al n. 22 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30 marzo 1968;
9) ordinanza emessa il 31 maggio 1968 dal tribunale di Lucca nel
procedimento civile vertente tra Gini Lola e Mancini Giuseppe, iscritta
al n. 122 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;
10) ordinanza emessa il 19 gennaio 1968 dalla Corte di appello di
Bologna nel procedimento civile vertente tra Samoggia Alessandro e
Barbieri Lina, iscritta al n. 129 del Registro ordinanze 1968 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31
agosto 1968;
11) ordinanza emessa il 9 maggio 1968 dal giudice istruttore del
tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Gasparini
Italo e Rossi Giulia, iscritta al n. 233 del Registro ordinanze 1968 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 318 del 14
dicembre 1968.
Visti gli atti di costituzione di Bertocchi Lidia, Traina Franco
Cesare, Ameghino Remo, Iannitto Clara, Frigerio Giuseppina, Serra
Bruno, Mancini Giuseppe e Rossi Giulia;
udita nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1969 la relazione del
Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini e Giorgio Franco, per
Traina, l'avv. Pietro Mancini, per Ameghino, l'avv. Antonio Acquaroli,
per Mancini; l'avv. Bruno Gallo, per Bertocchi, e l'avv. Lelio della
Pietra, per Iannitto.

Ritenuto in fatto:

1. - Dieci ordinanze di varie autorità giudiziarie (ord. 26
gennaio 1967 del tribunale di Caltagirone; 23 maggio 1967 del tribunale
di Venezia; 28 aprile 1967 del Tribunale di Torino; 5 luglio 1967 della
Corte di cassazione; 7 luglio 1967 del tribunale di Palermo; 14 luglio
1967 del tribunale di Perugia; 31 ottobre 1967 della Corte di
cassazione; 8 gennaio 1968 della Corte di appello di Roma; 31 maggio
1968 del tribunale di Lucca; 19 gennaio 1968 della Corte di appello di
Bologna) hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale
concernente il primo comma dell'art. 156 del Codice civile nella parte
in cui - in relazione a quanto dispone l'articolo 145 del codice civile
- viene posto a carico del marito, in regime di separazione per colpa
di lui, l'obbligo di somministrare alla moglie tutto ciò che è
necessario ai bisogni della vita, indipendentemente dalle condizioni
economiche di costei.
In termini sostanzialmente analoghi le ordinanze, dopo aver
rilevato che in forza della stessa disposizione in caso di separazione
per colpa della moglie il marito incolpevole ha diritto al mantenimento
solo se non ha mezzi sufficienti, sostengono che le ragioni poste dalla
Corte a fondamento della sentenza n. 46 del 1966, relativa all'ipotesi
di separazione consensuale, sono invocabili anche per quella parte
dell'art. 156, primo comma, del Codice civile che viene ora impugnata.
Se con la separazione personale sono venuti meno i presupposti
dell'unità familiare e se, di conseguenza, le esigenze a questa
connesse non possono più essere invocate per consentire deroghe alla
parità dei coniugi, la disciplina dettata dalla disposizione
denunziata viola gli artt. 3 e 29 della Costituzione perché,
considerando rilevanti o irrilevanti, secondo si tratti del marito o
della moglie incolpevoli, i mezzi economici di cui il soggetto dispone,
perpetua un regime differenziato dei rapporti fra i coniugi, quale
risulta dall'art. 145 del Codice civile, che non trova giustificazione
nell'unità familiare, non più operante una volta che sia intervenuta
la separazione.
2. - Le ordinanze sono state ritualmente notificate alle parti ed
al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicate ai Presidenti
delle due Camere e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
3. - Nel giudizio promosso dall'ordinanza 23 maggio 1967 del
tribunale di Venezia si sono costituiti il dott. Franco Cesare Traina
e la signora Lidia Bertocchi.
Nell'atto di deduzioni depositato il 19 luglio 1967 la difesa del
dott. Traina, dopo aver riassunto i fatti relativi al giudizio di
merito, ricorda le ragioni storico-sociali che un tempo, ma solo fino
ad un certo punto, potevano costituire la ratio della disciplina
dettata dall'art. 145 del Codice civile per i rapporti patrimoniali fra
coniugi e mette in rilievo che nella nuova realtà, nella quale la
donna è stata effettivamente equiparata all'uomo soprattutto sul
terreno dell'economia e del lavoro, quel regime di discriminazione fra
marito e moglie non trova più giustificazione, e poiché non è
invocabile il limite dell'unità familiare (unità che non sarebbe
certo minacciata se i coniugi dovessero concorrere al reciproco
mantenimento in proporzione dei loro redditi così come devono
concorrere al mantenimento della prole), risulta violato l'art. 29
della Costituzione. Ad ogni modo, ad avviso della difesa, le ragioni
esposte dalla Corte nella sentenza n. 46 del 1966 devono
necessariamente valere per qualsiasi ipotesi di separazione, senza che
possa aver rilievo la causa alla quale questa sia dovuta: in effetti
l'art. 156 non distingue affatto a seconda che sia in colpa o meno il
coniuge nei cui confronti i diritti sono fatti valere, bensì soltanto
a seconda che sia o non sia in colpa il coniuge dei cui diritti si
tratta. Risulta allora inconcepibile che la sperequazione a favore
della moglie possa ritenersi giustificata solo perché la separazione,
anziché essere stata decisa di comune accordo, sia stata pronunciata
per colpa: in nessun modo, infatti, può ammettersi che il marito in
colpa debba continuare a mantenere la moglie senza riguardo alle
sostanze di lei e, viceversa, la moglie in colpa debba contribuire al
mantenimento del marito solo se questi non abbia mezzi sufficienti.
Quel che rende non invocabile il limite di cui all'art. 29 della
Costituzione - così conclude la difesa - non è lo stato soggettivo
di colpa, ma il fatto obiettivo della separazione.
La difesa della signora Bertocchi nell'atto di costituzione del 27
luglio 1967 ed in una memoria depositata il 30 gennaio 1969, dopo aver
a sua volta ricordato le vicende giudiziarie relative alla sua
separazione dal marito, sostiene che la valutazione dell'attuale
questione di legittimità costituzionale deve essere condotta tenendo
presente l'intero sistema giuridico nel quale si inquadra la disciplina
degli obblighi patrimoniali dell'un coniuge verso l'altro. Da esso
emerge che il contributo di assistenza che il marito è tenuto a
prestare alla moglie è , in definitiva, un obbligo correlativo ed
equivalente agli obblighi, sia pure di diversa natura, gravanti sulla
moglie e trova giustificazione nel proporzionale equilibrio delle
funzione svolte nel comune superiore interesse della famiglia:
sottrarre il marito all'obbligo del mantenimento della moglie
significherebbe imporre a questa di procacciarsi i mezzi di
sussistenza, distogliendola dai compiti ad essa naturalmente affidati
nell'ambito familiare, e con ciò si infrangerebbe quella complessiva
equivalenza di diritti e di doveri nella quale si sostanzia
l'eguaglianza morale e giuridica voluta dalla Costituzione. Sulla base
di tale premessa - a proposito della quale vengono ricordate la
sentenza n. 144 del 1967 con la quale questa Corte ha respinto la
questione concernente l'art. 145 del Codice civile e la sentenza n. 102
dello stesso anno relativa agli artt. 316 e 320 del Codice civile - la
difesa sostiene che l'attuale questione di legittimità deve essere
dichiarata non fondata: ammettere, infatti, che il marito per colpa del
quale è stata pronunziata la separazione si avvantaggi economicamente
liberandosi dagli oneri che la legge gli impone durante la convivenza
significherebbe favorire la disgregazione familiare ed attuare un
regime giuridico contrario a quello voluto dalla Costituzione.
4. - Nel giudizio promosso con ordinanza 5 luglio 1967 della Corte
di cassazione si sono costituiti il signor Remo Ameghino, con atto
depositato il 27 settembre 1967, e la signora Clara Iannitto, con atto
depositato il 9 agosto 1967.
La difesa dell'Ameghino, premesso che la disciplina dettata
dall'art. 145 del Codice civile risponde ad una concezione dei rapporti
tra i coniugi insensibile all'esigenza della parità ed è in
contrasto con l'art. 29 della Costituzione, rileva che, comunque,
certamente incostituzionale è il primo comma dell'art. 156 del Codice
civile anche nella parte in cui esso dispone circa gli effetti della
separazione per colpa. Anche in questo caso, infatti, devono valere le
ragioni esposte dalla Corte nella sentenza n. 46 del 1966, perché, una
volta intervenuta la separazione, nessuna esigenza di unità familiare
può ancora giustificare una gravosa diseguaglianza fra i coniugi ed il
principio di parità deve necessariamente riprendere tutta la sua
estensione.
La difesa della Iannitto sostiene che la decisione dell'attuale
questione non può prescindere da una valutazione del complesso sistema
dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio ed illustra
ampiamente le ragioni che inducono a ritenere che il regime dettato
dall'art. 145 del Codice civile e, più in generale, del capo IV del
primo libro del Codice, rispetta pienamente l'art. 29 della
Costituzione: diritti e doveri dei coniugi, considerati necessariamente
in un quadro unitario, soddisfano il principio dell'eguaglianza morale
e giuridica, secondo le funzioni che ciascuno dei due coniugi è
chiamato a svolgere nella famiglia e con i limiti necessari a garantire
l'unità. Ad avviso della difesa, la pronunzia della Corte relativa
alla parziale illegittimità del primo comma dell'art. 156, in ordine
ad alcuni effetti della separazione consensuale, non può essere estesa
ad un ambito più ampio, a meno che non si vogliano ritenere
costituzionalmente illegittime tutte le norme che disciplinano la
posizione giuridica, i diritti ed i doveri dei coniugi: se la
separazione per colpa spezza la unità familiare, la colpa non può non
costituire il coniuge colpevole debitore di quelle prestazioni alle
quali egli è tenuto per gli oneri che derivano dal vincolo liberamente
contratto. Posto che legittimi sono questi oneri - così conclude la
difesa - essi devono permanere dopo la separazione per colpa del
marito, perché se così non fosse risulterebbe violato l'art. 3 della
Costituzione: in una situazione giuridica di inadempienza ricereverebbe
un vantaggio proprio l'inadempiente.
5. - Nel giudizio promosso dall'ordinanza 31 ottobre 1967 della
Corte di cassazione si è costituita con atto del 1 marzo 1968 la
signora Giuseppina Frigerio in Santambrogio.
Nelle deduzioni ed in una successiva memoria depositata il 29
gennaio 1969 la difesa sostiene che una soluzione dell'attuale
questione nel senso che il marito per colpa del quale sia stata
pronunziata la separazione debba provvedere a quanto occorre alla
moglie se questa non abbia mezzi e, invece, non debba a tanto
provvedere se la moglie sia abbiente, contrasterebbe con l'art. 3 della
Costituzione per due ragioni: perché verrebbero trattati in modo
diseguale i mariti che abbiano tenuto il medesimo contegno, in base ad
una circostanza (posizione economica della moglie) estranea al loro
comportamento; perché verrebbero trattate in modo eguale situazioni
diseguali col porre la moglie separata per colpa del marito, se essa
abbia mezzi, nella stessa posizione della moglie separata per propria
colpa. Per quanto riguarda l'art. 29 della Costituzione, la difesa
mette in evidenza, anzitutto, che se si accogliesse un concetto di
eguaglianza assoluta fra i coniugi dovrebbe cadere l'art. 144 del
Codice civile, in forza del quale il marito è capo della famiglia, e
dovrebbero cadere altresì le norme sulla patria potestà e sulla
rappresentanza del minore, che invece sono state ritenute non in
contrasto con la Costituzione (sentenza n. 102 del 1967). Per quanto
riguarda i principi affermati nella sentenza n. 46 del 1966, la difesa
della Frigerio rileva che occorre tener conto anche della sentenza n.
144 del 1967 nella quale questa Corte ha affermato che l'art. 145 del
Codice civile è applicabile anche se sia intervenuta una separazione
di fatto, in un'ipotesi nella quale, secondo una consolidata
giurisprudenza, la moglie può aver avuto giuste cause per allontanarsi
dal domicilio coniugale anche se non vi sia stata colpa del marito: se
in questo caso il marito incolpevole è tenuto al mantenimento a
prescindere dai mezzi di cui la moglie disponga, la soluzione
prospettata dall'ordinanza di rimessione farebbe al marito incolpevole
un trattamento peggiore rispetto a quello colpevole.
La difesa conclude con l'osservazione che la separazione è
considerata come una situazione transitoria, in riferimento alla quale
il legislatore appare giustamente incline a favorire il ristabilimento
della convivenza: l'obbligo scaturante dal primo comma dell'art. 156 è
una spinta al ravvedimento del marito e comunque il suo carattere
sanzionatorio connesso alla colpa e rivolto sempre a spingere verso la
ricostituzione della famiglia concorre a far ritenere che non sussiste
alcuna violazione dell'art. 29 della Costituzione.
6. - Nel giudizio promosso con l'ordinanza 8 gennaio 1968 della
Corte di appello di Roma si è costituito (atto depositato il 27 marzo
1968) il signor Bruno Serra, il quale, dopo aver riportato i termini
della questione sollevata dal giudice a quo, osserva che la
disposizione impugnata non si armonizza con l'attuale assetto sociale
che consente alla donna sempre più frequentemente di disporre di
redditi propri: venuta meno l'unità familiare con la separazione, non
può più sussistere l'obbligo di mantenere la moglie in ogni caso e
senza alcun riferimento alle rispettive sostanze dei coniugi.
Anche il signor Giuseppe Mancini, costituitosi con atto 25 giugno
1968 nel giudizio promosso con ordinanza 31 maggio 1968 del tribunale
di Lucca, ha chiesto che l'art. 156, primo comma, venga dichiarato
illegittimo a causa della disparità che la disposizione impugnata crea
in una ipotesi nella quale il vincolo matrimoniale è risoluto di
fatto e non è più operante l'esigenza di garantire l'unità
familiare.
7. - Un'altra ordinanza è stata emanata il 9 maggio 1968 dal
giudice istruttore del tribunale di Milano nel procedimento civile
vertente fra i coniugi Italo Gasparini e Giulia Rossi ed in riferimento
all'istanza con la quale quest'ultima, ai sensi dell'ultimo comma
dell'art. 708 del Codice di procedura civile, ha chiesto la modifica
dell'ordinanza provvisoria emessa il 26 aprile 1955 dal Presidente del
tribunale.
Nel provvedimento di rimessione il giudice richiama la sentenza n.
46 del 1966 ed esprime l'avviso che le ragioni ivi esposte dalla Corte
debbano valere non solo anche per il caso di dichiarata separazione per
colpa del marito ma anche nel corso di tale giudizio, fino al cui esito
entrambi i coniugi devono essere considerati non colpevoli. Contro
questa tesi non si potrebbe opporre che la Corte con la sentenza n. 144
del 1967 ha ritenuto la costituzionalità dell'art. 145 del Codice
civile anche per i coniugi separati di fatto: quest'ultima situazione
non è giuridicamente differenziabile dal rapporto di regolare
convivenza, laddove i coniugi separati sia pure con provvedimento
provvisorio non possono essere considerati come separati meramente di
fatto. Sulla base di queste ragioni il giudice, ritenendo non
manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità delle norme
da applicare in sede di fissazione dell'assegno provvisorio, ha
proposto la questione di legittimità costituzionale degli artt. 145,
primo comma, e 156, primo comma, del Codice civile in riferimento agli
artt. 3 e 29 della Costituzione.
L'ordinanza è stata ritualmente notificata alle parti ed al
Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle
due Camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
Innanzi a questa Corte si è costituita, con atto depositato il 3
gennaio 1969, la signora Giulia Rossi, la quale ha chiesto che la
questione venga dichiarata inammissibile e, subordinatamente,
infondata.
Per quanto riguarda l'eccezione preliminare, la difesa, dopo aver
posto in rilievo che nel caso di specie deve essere adottato uno dei
provvedimenti temporanei ed urgenti previsti dall'art. 708 del codice
di procedura civile e caratterizzati da una discrezionalità che va
esercitata in base ad una prudente valutazione di opportunità, osserva
che il giudice istruttore è stato chiamato ad una sommaria cognizione
del mutamento delle circostanze rispetto a quelle sussistenti nel
momento in cui fu adottato il provvedimento presidenziale e non già ad
accertare la volontà della legge sul fondamento di una completa
cognizione di merito: dal che consegue che non devono trovare specifica
applicazione le norme della cui costituzionalità si dubita.
Nel merito la difesa mette in evidenza che l'autorizzazione
presidenziale di vivere separatamente non produce alcuno degli effetti
connessi alla pronunzia di separazione per colpa: solo questa, col suo
carattere costitutivo, potrà modificare lo stato matrimoniale; prima
di essa, eccetto il fatto che la convivenza è provvisoriamente
sospesa, nessuno degli obblighi derivanti dal matrimonio viene meno ed
è ampiamente operante la deroga che l'art. 29 della Costituzione pone
alla parità dei coniugi in funzione dell'unità familiare.
8. - Nell'udienza pubblica gli avvocati intervenuti nella
discussione hanno insistito nelle proprie tesi e conclusioni.

Considerato in diritto:

1. - Le undici ordinanze indicate in epigrafe propongono analoghe
questioni di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi
- congiuntamente discussi nell'udienza pubblica - possono essere
riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Le ordinanze di rimessione - salvo quanto si dirà al n. 5 per
quanto riguarda l'ordinanza emessa il 9 maggio 1968 dal giudice
istruttore civile del tribunale di Milano - riguardano tutte l'art.
156, primo comma, del Codice civile, nella parte in cui tale
disposizione, valutata in relazione all'art. 145 dello stesso Codice,
pone a carico del marito, in regime di separazione personale per
esclusiva colpa di lui, l'obbligo di somministrare alla moglie tutto
ciò che è necessario ai bisogni della vita. Come risulta dalle
rispettive motivazioni, questo è anche l'unico oggetto del giudizio
promosso dal tribunale di Caltagirone, nonostante che nel dispositivo
si faccia riferimento agli "artt. 156, comma primo, e 145, comma primo,
del Codice civile", e del giudizio promosso dal tribunale di Palermo,
ancorché nel dispositivo la norma impugnata venga identificata con
"l'art. 145, comma primo, in relazione all'art. 156, cpv., del Codice
civile".
3. - Il primo comma dell'art. 156 del Codice civile nella sua
sintetica formulazione testuale contiene una duplice statuizione, l'una
relativa ai coniugi consensualmente separati, l'altra concernente il
coniuge incolpevole nel caso di separazione pronunziata per colpa
dell'altro coniuge: la disciplina è uniforme, nel senso che i
soggetti presi in considerazione dalla disposizione conservano i
diritti inerenti alla loro qualità di coniuge che non siano
incompatibili con lo stato di separazione.
Limitando il discorso ai soli rapporti patrimoniali
inter-coniugali, è da osservare che dal predetto testo, interpretato
in relazione al disposto dell'art. 145 del Codice civile, discendeva,
prima della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale
pronunziata con sentenza n. 46 del 1966, che nell'ipotesi di
separazione consensuale la moglie conservasse il diritto alla
somministrazione di tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita
in proporzione delle sostanze del marito e indipendentemente dalle
proprie condizioni economiche; e discende tuttora - giacché la
predetta dichiarazione di illegittimità ha avuto ad oggetto solo la
disciplina degli effetti della separazione consensuale - che quel
diritto, nella descritta configurazione, la moglie conserva nel caso di
separazione disposta per colpa del marito.
A seguito della ricordata decisione del 1966 il diritto della
moglie consensualmente separata risulta condizionato dalle risorse di
cui ella personalmente disponga. L'attuale thema decidendum consiste
nell'accertare se l'art. 156, primo comma, nella parte ora impugnata,
in quanto considera irrilevanti le condizioni economiche della moglie
in riferimento al diritto di questa nei confronti del marito per colpa
del quale la separazione sia intervenuta, risulti contrastante con
l'eguaglianza dei coniugi e se, di conseguenza, si debba pervenire ad
una parziale dichiarazione di illegittimità, analoga a quella
pronunciata a proposito dell'ipotesi di separazione consensuale.
4. - La presente questione di legittimità costituzionale si basa
sul duplice presupposto che la norma impugnata sottoponga marito e
moglie ad un trattamento diseguale e che tale diseguaglianza non possa
giustificarsi in funzione dell'unità familiare. Da un lato, si osserva
che nel caso di separazione per colpa della moglie il diritto del
marito al mantenimento è condizionato all'insufficienza dei suoi mezzi
economici, mentre nel caso di separazione per colpa del marito la
moglie ha diritto alle somministrazioni quali che siano le proprie
risorse; si rileva, dall'altro, che con l'intervenuta separazione è
cessata l'unità familiare e non è quindi invocabile il limite della
parità dei coniugi consentito dall'art. 29 della Costituzione. In
definitiva, ad avviso dei giudici che hanno sollevato la questione,
questa si porrebbe in termini assolutamente identici a quelli della
questione decisa con la precedente sentenza.
La Corte ritiene, invece, che nell'esame della parte del primo
comma dell'art. 156 ora sottoposta al controllo di costituzionalità
non ci si possa limitare alla pura e semplice constatazione che, una
volta intervenuta la sentenza definitiva, i coniugi vengono a trovarsi
in stato di separazione, ma si debba dare necessario rilievo alla
circostanza che la cessazione della convivenza è stata determinata
dal comportamento illecito di uno dei due soggetti del rapporto
matrimoniale. Ed invero la situazione dei coniugi separati non può non
apparire obiettivamente diversa secondo che alla separazione essi siano
addivenuti per concorde volontà ovvero per colpa di uno dei due,
giudizialmente accertata. Nella prima ipotesi, i coniugi, che hanno
volontariamente rinunziato alla convivenza ed agli eventuali vantaggi
con essa connessi, si trovano su un piano di assoluta parità, e questa
esige che la disciplina alla quale nei reciproci rapporti essi saranno
sottoposti dal momento della separazione in poi sia eguale per il
marito e per la moglie, indipendentemente dal regime giuridico operante
in costanza di unione; nella seconda, invece, la convivenza viene meno
per fatto imputabile ad uno dei due, sicché nella determinazione dei
rapporti patrimoniali non si può non tener conto, rispetto al coniuge
incolpevole, dei diritti da lui goduti prima della separazione;
prescindere da questi significherebbe rendere possibile un
inammissibile trattamento preferenziale per chi vi ha dato causa.
Posto, infatti, che nel vigente ordinamento - in base all'art. 145 del
Codice civile, ritenuto dalla Corte (sentenza n. 144 del 1967) non in
contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione - durante lo stato di
convivenza la moglie ha diritto alla somministrazione di tutto ciò che
è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sostanze del
marito e indipendentemente dai mezzi di cui ella disponga, non si può
consentire che il marito, nel dar luogo alla separazione per propria
colpa, ponga in essere la premessa, ove la moglie sia fornita di
risorse economiche, per affrancarsi, in tutto o in parte, dai suoi
obblighi. Una disciplina dalla quale discendesse questa conseguenza
sacrificherebbe alla parità formale delle fattispecie normative
relative ai diritti della moglie o del marito incolpevole quella
eguaglianza sostanziale alla quale il legislatore deve aver riguardo
quando si tratti di regolare i rapporti fra i due soggetti: nel
doveroso rispetto di essa la legge non può all'illecito commesso da
uno dei due collegare conseguenze negative nella sfera giuridica
dell'altro, né può disporre un trattamento che sia tale da poter
recare svantaggio a chi ha subito il torto, vantaggio a chi lo ha
commesso.
Ad identica conclusione si perviene, del resto, se dal rapporto fra
moglie incolpevole e marito che ha dato causa alla separazione
l'attenzione si sposta alla valutazione comparativa del regime del
coniuge che non ha colpa, secondo che si tratti del marito o della
moglie. visualizza testo argomento È sufficiente in proposito osservare che nell'ipotesi di una
modifica legislativa quale risulterebbe dall'accoglimento
dell'eccezione di incostituzionalità il marito non colpevole
continuerebbe a godere, nella stessa misura e configurazione, il
diritto attribuitogli dall'art. 145, la moglie non colpevole potrebbe
subirne la diminuzione o addirittura, nel caso limite, l'estinzione.
Ciò conferma che nella vicenda del rapporto matrimoniale dovuta alla
separazione per colpa di uno dei due coniugi - e finché permane
l'attuale, differenziata disciplina dei loro diritti in costanza di
convivenza - il principio di parità può essere rispettato solo a
condizione che il marito o la moglie incolpevoli conservino nei
confronti del coniuge in colpa gli stessi diritti patrimoniali che la
legge fa discendere dal matrimonio. E questa, in effetti, è la
disciplina statuita dal primo comma dell'art. 156: una soluzione nel
senso prospettato dalle ordinanze di rimessione darebbe vita ad un
ingiustificato trattamento di discriminazione ai danni della moglie in
una fattispecie nella quale la diminuzione dei suoi diritti non
potrebbe collegarsi come avviene invece nel caso della separazione
consensuale, ad una situazione nuova promossa col concorso anche della
sua volontà.Le considerazioni fin qui svolte appaiono sufficienti a dimostrare
che la diversa rilevanza data dalla legge, secondo che questa regoli i
diritti del marito o della moglie, ai mezzi economici di cui dispone il
coniuge incolpevole non viola il principio di eguaglianza e parità. Si
può aggiungere, ad ogni modo, che quella diversità soddisfa anche le
esigenze connesse alla tutela dell'unità familiare. Vero è che
nella sentenza n. 46 del 1966 la Corte affermò che "riguardo al regime
di separazione ricorrente nella specie" non era dato di riscontrare
alcun elemento che consentisse di ricollegare la disparità con le
garanzie dell'unità. A siffatta affermazione, tuttavia, non si deve
attribuire un significato così generale da investire, al di là del
caso della separazione consensuale cui essa esplicitamente era
limitata, anche l'ipotesi di separazione per colpa. A proposito di
quest'ultima basta osservare che un ordinamento il quale consentisse
che uno dei coniugi, rendendosi colpevole della separazione, venga
avvantaggiato da un regime giuridico più favorevole rispetto a quello
antecedente alla rottura della convivenza, finirebbe con l'agevolare la
disgregazione familiare. Bisogna in verità riconoscere che, proprio
perché la separazione fa venir meno l'obbligo della convivenza, il
legislatore deve preoccuparsi di predisporre una disciplina che non sia
di favore per il coniuge che col suo unilaterale ed illecito
comportamento metta in pericolo il bene protetto dall'art. 29 della
Costituzione.
Sulla base di queste concorrenti ragioni risulta non fondata la
denunzia di illegittimità costituzionale dell'art. 156, primo comma,
del Codice civile, nella parte relativa al trattamento della moglie
nell'ipotesi di separazione per colpa del marito.
5. - Con l'ordinanza 9 maggio 1968 il giudice istruttore del
tribunale di Milano, in sede di esame di un'istanza proposta ai sensi
dell'art. 708, ultimo comma, del Codice di procedura civile, ha
sollevato una questione di legittimità costituzionale degli artt. 145,
primo comma, e 156, primo comma, del Codice civile in riferimento agli
artt. 3 e 29 della Costituzione.
L'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza opposta
dalla difesa della signora Rossi va respinta. Premesso che il giudice
a quo ha proposto la questione in relazione all'emanazione di un
provvedimento che la legge attribuisce alla sua diretta competenza e
che si versa, quindi, in una ipotesi nella quale il giudice istruttore
civile ha il potere di iniziativa del processo incidentale di
legittimità costituzionale, deve essere osservato che l'ordinanza
mette in evidenza che le due norme impugnate precludono all'autorità
giudiziaria, anche in occasione dei provvedimenti provvisori
autorizzati dalla legge in pendenza del giudizio di separazione per
colpa, di tener conto delle condizioni economiche della moglie attrice.
In tale affermazione è implicito che il giudice a quo ha ritenuto che
nell'emanazione delle statuizioni concernenti gli assegni provvisori le
inerenti valutazioni discrezionali non possono prescindere dal tener
conto del regime al quale la legge assoggetta i coniugi conviventi e
dalle conseguenze giuridiche che possono derivare dall'accoglimento
della domanda. Non può dirsi, dunque, né che manchi il giudizio sulla
rilevanza né che esso sia inficiato da un vizio tale da giustificare
una pronunzia di inammissibilità.
Nel merito la questione risulta infondata in base alle ragioni
esposte innanzi, per quanto concerne l'art. 156, ed a quelle svolte
nella sentenza n. 144 del 1967, per quanto concerne l'art. 145. In
riferimento a quest'ultima disposizione l'eccezione di illegittimità
viene sollevata dall'ordinanza in relazione alla posizione giuridica
nella quale, sia pure in via provvisoria, vengono a trovarsi i coniugi
a seguito del provvedimento presidenziale che autorizza la sospensione
della convivenza. Ma neanche sotto questo nuovo profilo la questione
può essere accolta. A prescindere, infatti, dalla valutazione degli
effetti che conseguono a quel provvedimento, è sufficiente osservare
che se è vero, per quanto precedentemente si è detto, che
nell'ipotesi di separazione per colpa del marito, in base al disposto
dell'art. 156, permane l'obbligo di costui nei confronti della moglie
nella configurazione che esso riceve dall'art. 145, evidentemente non
c'è ragione per ritenere che quell'obbligo non sia legittimamente
imposto anche durante la pendenza del giudizio di separazione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 145, primo comma, del Codice civile, sollevata con ordinanza
9 maggio 1968 dal giudice istruttore presso il tribunale di Milano in
riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 156, primo comma, del Codice civile - nella parte in cui tale
disposizione pone a carico del marito, in regime di separazione per
esclusiva colpa di lui, l'obbligo di somministrare alla moglie, in
proporzione alle proprie sostanze, tutto ciò che è necessario ai
bisogni della vita, indipendentemente dalle condizioni economiche di
costei - sollevata da tutte le ordinanze indicate in epigrafe in
riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 1969.
ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA -
MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI
- GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE
VERZÌ- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE
ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI
- NICOLA REALE.

 
© 2006-2024 - Dipartimento Scienze Giuridiche - Università di Torino - Periodico registrato presso il Tribunale di Torino