Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0133 del 1970 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di accoglimento parziale (o riduttiva)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.29 comma 2:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Pronuncia: Pronuncia di rigetto

N. 133
SENTENZA 24 GIUGNO 1970

Deposito in cancelleria: 13 luglio 1970.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 177 del 15 luglio 1970.
Pres. BRANCA - Rel. BONIFACIO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GIUSEPPE BRANCA, Presidente - Prof.
MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
- Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE
MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE -
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 145,
primo comma, e 156, primo comma, del codice civile, promossi con le
seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 17 ottobre 1968 dal tribunale di Udine nel
procedimento civile vertente tra Ellero Gianvittore e Pinto Carmela,
iscritta al n. 26 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 12 marzo 1969;
2) ordinanza emessa il 9 gennaio 1969 dalla Corte d'appello di
Genova nel procedimento civile vertente tra Tognetti Elio e Ballarini
Gina, iscritta al n. 141 del registro ordinanze 1969 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969;
3) ordinanza emessa il 21 dicembre 1968 dalla Corte d'appello di
Roma nel procedimento civile vertente tra Alliata di Montereale
Gianfranco e Guirola Margherita, iscritta al n. 170 del registro
ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 145 dell'11 giugno 1969;
4) ordinanza emessa l'8 gennaio 1969 dalla Corte di appello di
Roma nel procedimento civile vertente tra Biagioni Ernesto e Passi
Rosa, iscritta al n. 222 del registro ordinanze 1969 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 2 luglio 1969;
5) ordinanza emessa il 17 giugno 1969 dal pretore di Venezia nel
procedimento penale a carico di Paganuzzi Aldo, iscritta al n. 297 del
registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 207 del 13 agosto 1969.
Visti gli atti di costituzione di Ellero Gianvittore e di Alliata
di Montereale Gianfranco;
udito nell'udienza pubblica del 17 giugno 1970 il Giudice relatore
Francesco Paolo Bonifacio;
udito l'avv. Sergio Belardini, per l'Alliata.

Ritenuto in fatto:

1. - Quattro ordinanze del tribunale di Udine (17 ottobre 1968),
della Corte di appello di Roma (21 dicembre 1968 e 8 gennaio 1969) e
della Corte di appello di Genova (9 gennaio 1969) propongono una
questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 156, primo
comma, in relazione all'art. 145 del codice civile, nella parte
relativa agli obblighi patrimoniali che nei confronti del coniuge
incolpevole gravano sul coniuge per colpa del quale sia stata
pronunziata la separazione personale.
Le ordinanze mettono in rilievo che dalla disposizione impugnata
deriva un trattamento più sfavorevole per il marito colpevole della
separazione, tenuto a somministrare alla moglie incolpevole tutto ciò
che è necessario ai bisogni della vita indipendentemente dalle
condizioni economiche di lei, e più favorevole per la moglie in
colpa, che al mantenimento del marito incolpevole è tenuta solo se
egli non abbia mezzi sufficienti: siffatta disparità - concludono le
ordinanze violerebbe gli artt. 3 e 29 della Costituzione, non essendo
possibile giustificarla in funzione di quella unità della famiglia
che con la separazione è venuta meno. A questo proposito il tribunale
di Udine e la Corte di appello di Genova richiamano la sentenza n. 46
del 1966, con la quale questa Corte dichiarò l'illegittimità
costituzionale del primo comma dell'art. 156 nella parte riferibile
alla separazione consensuale, e sostengono che i principi ivi
affermati dimostrano la fondatezza anche dell'attuale questione.
2. - L'art. 145, primo comma, del codice civile viene denunziato
dal pretore di Venezia (ord. 17 giugno 1969) in riferimento all'art.
29 della Costituzione e limitatamente alla "parte in cui prevede
l'obbligo del marito di somministrare alla moglie tutto ciò che è
necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze".
Il giudice a quo - che esprime un motivato e positivo giudizio in
ordine alla rilevanza della questione osserva che il riesame della
legittimità costituzionale dell'art. 145 del codice civile non trova
ostacolo nella precedente sentenza n. 144 del 1967, giacché la
motivazione di quella decisione di non fondatezza deve considerarsi
superata in seguito a successive pronunzie adottate dalla Corte in
tema di eguaglianza fra i coniugi. In particolare il pretore si
riferisce alla sentenza n. 127 del 1968, con la quale venne dichiarata
l'illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 151 del
codice civile, ed osserva che per effetto di essa è venuta meno
quella situazione di vantaggio del marito in relazione alla quale la
Corte aveva ritenuto dovessero essere valutati anche i particolari
obblighi a lui imposti dalla legge, nell'ambito di un sistema unitario
che peraltro la stessa Corte mostrava di considerare non perfettamente
aderente allo spirito della Costituzione. L'ordinanza rileva che,
poiché la residua preminenza del marito (quale è quella che si
esprime nella patria potestà e nella potestà maritale) non si
risolve in un complesso di privilegi ma è strumento necessario per la
formazione di una volontà unitaria della famiglia, la diversificazione
degli obblighi nascenti dalla disposizione impugnata non si inserisce
in un insieme unitario, ora venuto meno, di vantaggi e svantaggi del
marito: di tal che essa oramai va valutata come fonte di un
illegittimo privilegio della moglie.
3. - Nel giudizio promosso dal tribunale di Udine si è costituito
il signor Gianvittore Ellero (atto del 24 dicembre 1968), il quale,
richiamandosi alla motivazione dell'ordinanza di rimessione, chiede
che l'art. 156, primo comma, del codice civile venga dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte denunziata.
Negli stessi sensi conclude il signor Gianfranco Alliata,
costituitosi (atto del 9 maggio 1969) nel giudizio promosso con
l'ordinanza 21 dicembre 1968 della Corte di appello di Roma.
La difesa dell'Alliata non manca di tener conto che nel frattempo
la stessa questione di legittimità costituzionale è stata dichiarata
non fondata con sentenza n. 45 del 1969, ma esprime la fiducia che la
Corte possa ora giungere a diversa conclusione. A tal fine la difesa
richiama particolarmente l'attenzione sul caso del marito povero e
della moglie ricca, in relazione al quale non è esatto affermare che
il primo, ove non fosse mantenuta la disciplina vigente, trarrebbe un
vantaggio dalla separazione pronunziata per sua colpa: ed invero il
marito povero in costanza di convivenza deve essere mantenuto dalla
moglie ricca, mentre, intervenuta la separazione per colpa, egli ha
diritto solo agli alimenti e non partecipa più "alla fiorente vita cui
la convivenza con la moglie ricca lo porterebbe". La difesa,
richiamandosi al principio di eguaglianza, conclude mettendo in
rilievo che è da escludersi che l'unità familiare sarebbe minacciata
ove i coniugi, in regime di parità, dovessero concorrere al reciproco
mantenimento in proporzione dei rispettivi redditi.
All'udienza pubblica la difesa dell'Alliata ha insistito nelle
proprie conclusioni.

Considerato in diritto:

1. - Le cinque ordinanze indicate in epigrafe propongono identiche
o connesse questioni di legittimità costituzionale e pertanto i
relativi giudizi vengono riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - In forza di quanto dispone l'art. 145 del codice civile
mentre il marito ha il dovere di somministrare alla moglie, in
proporzione delle sue sostanze, tutto ciò che è necessario ai
bisogni della vita (primo comma), la moglie è tenuta a contribuire al
mantenimento del marito (solo) se questi non ha mezzi sufficienti
(secondo comma).
Sul presupposto che questa disciplina si traduca in una disparità
di trattamento fra i due coniugi e ponga la moglie in situazione di
ingiustificato vantaggio, il pretore di Venezia, facendo richiamo ai
più recenti orientamenti giurisprudenziali di questa Corte in materia
di diritti e doveri dei coniugi, ripropone, in riferimento all 'art. 29
della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del
primo comma della predetta disposizione, che già fu dichiarata non
fondata con sentenza n. 144 del 1967.
3. - Nella ricordata precedente occasione la Corte, pur rilevando
che l'art. 145 del codice civile è fonte di obblighi sostanzialmente
differenziati secondo che si tratti della moglie o del marito,
pervenne alla dichiarazione di non fondatezza sulla base della
considerazione che i particolari doveri imposti dalla legge al marito -
fra i quali, appunto, quello derivante dalla norma de qua - si trovano
in rapporto di necessaria correlazione con la situazione di preminenza
a lui conferita (specie con l'attribuzione della potestà maritale),
sicché, ferma restando quest'ultima, "nessuna attenuazione potrebbe
apportarsi negli obblighi, venendo altrimenti meno l'equilibrio voluto
costituire nei rapporti reciproci". La Corte, tuttavia, non mancò di
ribadire l'esigenza di una sollecita adeguazione legislativa del
sistema al nuovo ordine sociale secondo le direttive tracciate dalla
Costituzione.
Successivamente a tale decisione - mentre l'auspicata riforma del
diritto di famiglia è rimasta tuttora inattuata - la Corte è stata
più volte chiamata ad esercitare il controllo di legittimità
costituzionale di altre disposizioni attinenti alla materia. Ed è di
particolare rilievo la circostanza che, a partire dalla sentenza n. 126
del 1968, è stato affermato il principio che, quando si tratti di
questioni relative all'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi,
queste vanno esaminate non alla stregua dell'art. 3, ma solo in
riferimento all'art. 29, secondo comma, della Costituzione: e
quest'ultima disposizione è stata interpretata (sentenze n. 127 del
1968 e n. 147 del 1969) nel senso che "la Costituzione direttamente
impone che la disciplina giuridica del matrimonio - col solo limite
dell'unità della famiglia - contempli obblighi e diritti eguali per il
marito e per la moglie"; è stato infine precisato che ciò si traduce
nella irrilevanza di ragioni di differenziazione nel trattamento che
siano "diverse da quelle concernenti la predetta unità".
Conformemente a tale indirizzo - sulla base del quale la Corte è
già pervenuta alla dichiarazione di illegittimità costituzionale
delle disposizioni penali e civili che in ordine alle sanzioni del
dovere di fedeltà coniugale operavano una discriminazione fra marito
e moglie - si deve ritenere che le norme che siano fonte di svantaggio
per un coniuge non possano essere giustificate, nell'ambito di una
valutazione di legittimità costituzionale, dal fatto che altre norme
conferiscano allo stesso coniuge, a proposito di altre situazioni
subbiettive nascenti dal matrimonio, una posizione di vantaggio (o
viceversa). Ed invero, dal momento che si riconosce che la salvaguardia
dell'unità familiare costituisce il solo legittimo limite
dell'eguaglianza dei coniugi, bisogna convenire che l'unico
accertamento rilevante è se le diversità di trattamento di volta in
volta considerate trovino in quella esigenza - e solo in essa - la
loro giustificazione costituzionale.
4. - È sulla base degli anzidetti principi che deve essere
riesaminata la questione proposta dal pretore di Venezia.
Che l'art. 145 del codice civile, nella parte oggetto della
denunzia, tratti diversamente i due coniugi è cosa di cui non si può
dubitare. Si deve, è vero, riconoscere che il dovere del marito di
somministrare alla moglie "tutto ciò che è necessario ai bisogni
della vita in proporzione delle sue sostanze" corrisponde al dovere di
"contribuire al mantenimento del marito" che il capoverso dello stesso
articolo pone a carico della moglie. Lo dimostra il successivo art.
146 che all'abbandono ingiustificato del domicilio coniugale da parte
della donna collega la sospensione dell'"obbligazione del marito di
provvedere al mantenimento della moglie": ciò significa che obbligo
di somministrazione di tutto ciò che è necessario ai bisogni della
vita equivale ad obbligo di mantenimento, e se a proposito della moglie
si parla di "contributo" ciò avviene perché la rilevanza dei mezzi
economici di cui il marito disponga (del che subito si dirà) importa
necessariamente che il mantenimento sia totale solo se questi difettino
del tutto e parziale se essi sussistano in misura non pienamente
sufficiente. Ma, nonostante questa equivalenza di contenuto, è
chiaro che i due obblighi restano nettamente differenziati, perché
mentre quello a carico del marito è incondizionato, nel senso che
esso è imposto quali che siano le condizioni economiche della moglie,
quest'ultima è tenuta al mantenimento del marito solo se egli non
abbia mezzi sufficienti: l'assenza di questa condizione nel primo
comma dell'art. 145 del codice civile comporta una sostanziale ed
assai rilevante diseguaglianza giuridica fra i due coniugi.
La Corte ritiene che siffatta disparità di trattamento non trovi
giustificazione in funzione dell'unità familiare. Si può, anzi,
affermare che, quando si tratti dei rapporti patrimoniali fra i
coniugi, è proprio l'eguaglianza che garantisce quella unità e,
viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo. Certo è, in
verità, che, per quanti sforzi si facciano, l'obbligo del marito di
mantenere la moglie se questa disponga di mezzi sufficienti o più che
sufficienti in nessun modo riesce ad apparire come strumento necessario
all'unità della famiglia: la quale, al contrario, si rafforza nella
misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla
solidarietà e dalla parità.
visualizza testo argomento Ciò è sufficiente a dimostrare l'illegittimità costituzionale
di una diversità di trattamento che, un tempo coerente con una
concezione dei rapporti fra marito e moglie radicalmente diversa da
quella poi assunta dal legislatore costituente a fondamento della
nuova disciplina, appare ora come fonte di un puro privilegio della
moglie, non conforme all'odierna valutazione dei rapporti familiari e
- ciò che conta ai fini del controllo della sua legittimità
costituzionale - contrastante con l'art. 29 della Costituzione.5. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 156,
primo comma, del codice civile, nella parte concernente la ipotesi
della separazione personale per colpa del marito, venne dichiarata non
fondata con sentenza n. 45 del 1969 sulla base della considerazione
che la diversità di trattamento fra la moglie colpevole - tenuta al
mantenimento del marito solo se questi non disponga di mezzi
sufficienti - ed il marito colpevole - tenuto ad analogo obbligo nei
confronti della moglie, ma indipendentemente dalle condizioni
economiche di costei - trovava la sua premessa nella corrispondente
differenziazione di trattamento fra i coniugi conviventi e la sua
giustificazione costituzionale sia nel principio secondo il quale, nel
rispetto dell'eguaglianza sostanziale, la legge non può collegare
all'illecito commesso da un soggetto nei confronti di un altro
conseguenze vantaggiose per il primo e svantaggiose per l'altro, sia
nella stessa esigenza di tutela dell'unità della famiglia.
La questione va ora dichiarata non fondata per esser venuto meno
il suo presupposto. Ed infatti, poiché a seguito della pronunzia di
parziale illegittimità del primo comma dell'articolo 145 il
trattamento della moglie e del marito - Conviventi risulta parificato,
il denunziato primo comma dell'art. 156, che in regime di separazione
conserva al coniuge incolpevole i diritti inerenti alla sua qualità
(quando, come nel caso in esame, non si tratti di diritti
incompatibili con lo stato di separazione), non contiene più alcuna
differenziazione secondo che si tratti dell'obbligo di mantenimento
gravante sul marito in colpa verso la moglie incolpevole ovvero
dell'eguale obbligo della moglie in colpa verso il marito incolpevole.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 145, primo
comma, del codice civile, nella parte in cui non subordina alla
condizione che la moglie non abbia mezzi sufficienti il dovere del
marito di somministrarle, in proporzione delle sue sostanze, tutto
ciò che è necessario ai bisogni della vita;
dichiara pertanto non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 156, primo comma, del codice civile, nella
parte concernente l'ipotesi di separazione personale per colpa del
marito, proposta dalle ordinanze del tribunale di Udine, della Corte
di appello di Roma e della Corte di appello di Genova, indicate in
epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 29, secondo comma, della
Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1970.
GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI -
COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE
CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ -
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE
ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA -
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO
CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO
ROSSI.

 
© 2006-2024 - Dipartimento Scienze Giuridiche - Università di Torino - Periodico registrato presso il Tribunale di Torino