Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0189 del 1970 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: codice civile art.595:
-Argomento teleologico (ipotesi del legislatore provvisto di fini)

N. 189
SENTENZA 10 DICEMBRE 1970

Deposito in cancelleria: 16 dicembre 1970.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 324 del 23 dicembre 1970.
Pres. BRANCA - Rel. TRIMARCHI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GIUSEPPE BRANCA, Presidente - Prof.
MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
- Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE
MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE -
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 595 e 599
del codice civile, promosso con ordinanza emessa l'11 ottobre 1968 dal
tribunale di Cagliari nel procedimento civile vertente tra Vargiu Marta
e D'Atri Mario ed altri, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 1969
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26
marzo 1969.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1970 il Giudice relatore
Vincenzo Michele Trimarchi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - In un giudizio civile pendente davanti al tribunale di
Cagliari tra Marta Vargiu, coniuge superstite di Silverio D'Atri, (e
Simonetta Staico) da una parte, e Mario D'Atri, figlio di precedente
matrimonio del de cuius, (nonché i germani Rosina, Filomena e Antonio
D'Atri) dall'altra, avendo il convenuto dedotto che la domanda
dell'attrice era basata sopra una disposizione testamentaria nulla
perché in contrasto con le norme di cui agli artt. 595 e 599 del
codice civile, l'attrice eccepiva che le richiamate norme fossero
illegittime costituzionalmente per violazione degli artt. 3 e 29 della
Costituzione.
Le parti, successivamente, svolgevano le loro ragioni. Per la
Vargiu e la Staico, anzitutto, le dette norme darebbero vita ad una
disuguaglianza di fronte alla legge tra le prime nozze e le ulteriori e
sotto lo specifico profilo dei rapporti tra il coniuge del binubo, in
quanto destinatario di una limitazione, ed il binubo medesimo; ancora,
la libertà negoziale sarebbe limitata e condizionata da
discriminazioni fondate su una condizione personale; ed infine, l'art.
595 creerebbe una disparità di trattamento di fronte alla libertà
testamentaria a seconda che il testatore sia legato da prime o da
ulteriori nozze, là dove la Costituzione assicura eguale dignità
sociale e giuridica all'unione matrimoniale senza distinzione tra le
prime nozze e le ulteriori.
I D'Atri, in contrario, osservavano che le anzidette norme,
operanti da oltre un secolo senza critiche e rilievi, mirano ad
assicurare una eguaglianza di trattamento tra i componenti della
famiglia legittima del de cuius, che abbia contratto più di un
matrimonio, facendo in modo che il secondo coniuge non privi
direttamente o indirettamente i figli del defunto di quanto ad essi
sarebbe stato lasciato dal loro genitore; e non producono quindi alcuna
menomazione della dignità dell'unione matrimoniale.
2. - Il tribunale di Cagliari, con ordinanza dell'11 ottobre 1968,
riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione così
prospettata.
Sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione, che impone di trattare
in modo eguale fattispecie eguali, senza discriminazioni ingiustificate
basate sul sesso, la razza, la lingua, le opinioni politiche e le
condizioni personali e sociali dei cittadini, perché gli artt. 595 e
599 assoggettano ad un trattamento diverso il coniuge del testatore a
seconda che quest'ultimo abbia o meno contratto un precedente
matrimonio creando in tal modo una situazione di inferiorità per il
coniuge del binubo fondata su una condizione meramente personale.
Secondo il tribunale, del pari sarebbe violato l'art. 29 della
Costituzione, perché le limitazioni in discorso mal si conciliano con
il principio costituzionale della dignità dell'unione matrimoniale
senza distinzione tra le prime nozze e le ulteriori e perché è
inspiegabile la posizione di inferiorità attribuita dalla legge al
coniuge del binubo nei confronti della generalità dei terzi - anche
estranei alla famiglia - ai quali il testatore è libero di lasciare
l'intera disponibile.
3. - Regolarmente comunicata, notificata e pubblicata (nella
Gazzetta Ufficiale n. 78 del 26 marzo 1969) l'ordinanza, davanti a
questa Corte si costituiva Mario D'Atri a mezzo degli avvocati prof.
Lino Salis, Giovanni Dore e Mario Morelli con comparsa depositata il 24
luglio 1969, e spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato con atto
d'intervento e deduzioni depositate il 15 aprile 1969.
Il D'Atri concludeva per la fondatezza della sollevata questione.
Preliminarmente dichiarava che a causa delle agitazioni sindacali nel
settore postale non erano arrivati a Cagliari molti numeri della
Gazzetta Ufficiale e su quelli pervenuti non figurava la pubblicazione
richiesta dall'art. 3 delle disposizioni integrative del 1956;
constatato poi che l'ordinanza era stata pubblicata circa quattro mesi
prima, per il caso in cui la Corte non avesse ritenuto di dover
considerare gli scioperi nel servizio postale come causa di forza
maggiore idonea a sanare ogni possibile decadenza, deduceva che non
fosse perentorio il termine di cui al citato art. 3, che la
costituzione dovesse essere considerata rituale fino alla scadenza del
termine fissato dall'art. 10 delle stesse Norme integrative e comunque
che gli dovesse essere consentito di svolgere le sue ragioni entro
quest'ultimo termine e di svilupparle ulteriormente all'udienza.
L'Avvocatura generale dello Stato si pronunciava per la non
fondatezza dela questione. Dichiarava di non condividere i dubbi del
giudice a quo sulla legittimità costituzionale delle norme in
questione, a) perché la ratio della disposizione contenuta nell'art.
595 risiede nella necessità di salvaguardare gli interessi
patrimoniali dei figli del primo matrimonio del binubo dalla
possibilità di influenza negativa sull'animo del binubo stesso da
parte del secondo coniuge e nella necessità di tutelare il
preesistente nucleo familiare del binubo in modo tale che l'inserimento
in esso del secondo coniuge non si trasformi in fattore di dissenso o
di disgregazione del nucleo stesso; b) perché, conseguentemente, la
limitazione di cui all'art. 595 trae motivo non già da una volontà
discriminatrice conseguente alla condizione personale del secondo
coniuge, bensì dalla realtà oggettiva costituita dalla famiglia del
binubo, nella quale il secondo coniuge è chiamato ad inserirsi; c)
perché, conclusivamente, non sono configurabili due situazioni eguali
e comunque la pretesa differenziazione non è ingiustificata; d) e
perché non è ravvisabile il contrasto con l'art. 29, in quanto non vi
è alcuna degradazione delle seconde nozze rispetto alle prime, dato
che solo per quelle rileva la situazione oggettiva posta a base della
norma (preesistenza del nucleo familiare del binubo); ed in quanto
l'ipotizzata discriminazione tra il coniuge del binubo ed il terzo non
potrebbe avere carattere ingiustificatamente vessatorio o punitivo e la
limitazione invece trova la sua ragion d'essere in esigenze dirette
proprio a salvaguardare l'unità della famiglia nel pieno rispetto del
principio stabilito dall'art. 29 della Costituzione.
4. - All'udienza del 14 ottobre 1970, il prof. Avv. Lino Salis
insisteva perché la Corte volesse considerare tempestiva la
costituzione di Mario D'Atri o almeno ritualmente depositate le
deduzioni scritte e la memoria, e comunque perché lo volesse ammettere
alla discussione orale circa la rilevanza e la non manifesta
infondatezza della questione. Ma la Corte, con ordinanza emessa in
camera di consiglio, dichiarava tardiva la costituzione del D'Atri.
L'Avvocato dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del
Consiglio dei ministri, insisteva nelle deduzioni svolte con l'atto di
intervento.
La causa, infine, passava in decisione.

Considerato in diritto:

1. - La questione di legittimità costituzionale degli articoli 595
e 599 del codice civile sollevata, con l'ordinanza indicata in
epigrafe, dal tribunale di Cagliari in riferimento agli artt. 3 e 29
della Costituzione, non è fondata.
2. - Si ritiene da parte del giudice a quo che le norme denunciate
assoggettano "ad un trattamento diverso il coniuge del testatore a
seconda che quest'ultimo avesse o meno contratto un precedente
matrimonio, creando, in tal modo, una situazione di inferiorità per il
coniuge del binubo, la quale, per essere fondata su una condizione
meramente personale, non trova giustificazione e appare in contrasto
con il precetto" di cui all'art. 3 della Costituzione.
Nei confronti del coniuge del binubo ed in relazione alla
possibilità giuridica di ricevere per testamento dal binubo, invero,
è posta una limitazione che non ricorre per il coniuge del non binubo.
Senonché, ad avviso della Corte, tale differenza di trattamento
non appare irrazionale solo che si tengano presenti le ragioni che
hanno determinato la disciplina legislativa, relativamente alla quale
è stata sollevata la questione, e gli interessi oggetto della tutela.
Con i citati artt. 595 e 599, nell'ipotesi di sopravvivenza di
figli di precedenti matrimoni e del coniuge, e qualora il de cuius, con
donazioni o disposizioni testamentarie, direttamente o a mezzo di
persone interposte, abbia voluto assicurare sulla disponibile al
coniuge una posizione migliore di quella conseguibile dal meno favorito
di detti figli, il legislatore dispone che questi possono ottenere la
riduzione delle liberalità, inter vivos o mortis causa, fino a
realizzare in concreto la parità di trattamento tra il meno favorito
di essi figli ed il coniuge.
Ora visualizza testo argomento tale disciplina legislativa è dettata per evitare che il
coniuge del binubo in fatto possa influire su questo a danno di figli
di precedenti matrimoni e per salvaguardare costoro sul terreno
patrimoniale. Tutto ciò basta ad escludere l'irrazionalità della
norma, ispirata per il resto a valutazioni del legislatore non
sindacabili in questa sede.
Del pari non ricorre il denunciato contrasto con l'art. 29 della
Costituzione.
Secondo l'ordinanza di rimessione il disfavore nei confronti del
coniuge del binubo porterebbe ad un trattamento differenziato, per cui
in relazione alla parte disponibile del patrimonio del de cuius si
avrebbero l'incapacità (ex artt. 595 e 599) a succedere per testamento
del coniuge del binubo e la piena capacità, invece, del coniuge del
non binubo e addirittura delle persone estranee alla famiglia; e tale
trattamento differenziato mal si concilierebbe "con il principio
costituzionale della dignità dell'unione matrimoniale, senza
distinzione tra le prime nozze e le ulteriori".
La Corte, invece, avverte che nelle due ipotesi lo status di
coniuge (marito o moglie) sostanzialmente è caratterizzato dalle
stesse situazioni giuridiche soggettive, per cui nel caso di seconde o
ulteriori nozze non si può parlare, almeno a proposto della normativa
in esame, di degradazione, neppure patrimoniale, di dette nozze
rispetto alle prime.
La differenza di trattamento rilevata nei confronti del coniuge del
binubo sussiste infatti solo sul terreno successorio ed in una
particolare ipotesi, ed entro quell'ambito, come si è visto, non è
irrazionale.
D'altra parte, data la sua limitata importanza ed incidenza, non
basta a qualificare in modo speciale il matrimonio ed i rapporti che ne
conseguono e comunque non è tale da integrare un'entità in contrasto
con il principio di parità morale e giuridica dei coniugi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt 595 e 599 del codice civile, sollevata, con ordinanza
indicata in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 29 della
Costruzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1970.
GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI -
COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE
CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ -
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE
ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI
- NICOLA REALE - PAOLO ROSSI.

 
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