Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0195 del 1975 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: regio decreto 267/1942 art.103:
-Argomento sistematico: c) concettualistico (argomento dogmatico)
Disposizione oggetto: regio decreto 267/1942 art.101:
-Argomento sistematico: c) concettualistico (argomento dogmatico)
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: decreto del Presidente della Repubblica:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
Disposizione oggetto: regio decreto 267/1942 art.70:
-Argomento letterale (considerazioni di ordine sintattico grammaticale)

N. 195
SENTENZA 27 GIUGNO 1975

Deposito in cancelleria: 10 luglio 1975.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 188 del 16 luglio 1975.
Pres. BONIFACIO - Rel. ROSSANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Presidente -
Dott. LUIGI OGGIONI - Avv. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI -
Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO
CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI - Avv. LEONETTO
AMADEI - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO
ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 70, 101 e
103 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), e dell'art.
207 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle
imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 21 ottobre 1972 dal
Presidente del tribunale di Avezzano, quale giudice delegato al
fallimento della società Massimo Del Fante ed altri, sul ricorso di
Mirti Veturia, iscritta al n. 90 del registro ordinanze 1973 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 16
maggio 1973.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri e di costituzione di Mirti Veturia;
udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1975 il Giudice relatore
Michele Rossano;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

Con ricorso 20 ottobre 1972 Veturia Mirti, vedova di Massimo Del
Fante - premesso che, su istanza dell'Esattoria comunale di Guidonia,
il 30 dicembre 1968 era stato eseguito nei confronti del marito,
Massimo Del Fante, pignoramento di beni mobili di esclusiva proprietà
di essa ricorrente; che gli stessi beni erano stati presi in consegna
dal curatore del fallimento della società in nome collettivo Massimo
Del Fante e figli, nonché dei soci in proprio - propose domanda di
separazione dei suddetti beni mobili, sollevando le questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 70, 101 e 103 legge
fallimentare, in riferimento agli artt.3,24, 29, secondo comma,
Costituzione.
Con ordinanza 21 ottobre 1972 il presidente del tribunale di
Avezzano - in sostituzione del giudice delegato trasferito ad altra
sede - ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le
questioni di legittimità costituzionale degli articoli 101 e 103 r.d.
16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), in riferimento agli artt.
3 e 24 Cost.; dell'art. 207 "e norme connesse" t.u. leggi sulle imposte
dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645; e dell'art. 70
citata legge fallimentare, in riferimento agli artt. 2, 24 e 29,
secondo comma, Costituzione.
Ha ritenuto le suddette questioni rilevanti in quella fase
preliminare del procedimento proprio in relazione alla regolare
costituzione del rapporto processuale. Ha rilevato che - a norma
dell'art. 101 legge fallimentare (richiamato dall'art. 103 stessa
legge) - il giudice delegato fissa una udienza di comparizione davanti
a sé con ordine di notifica del ricorso e del decreto al solo curatore
del fallimento. Ha osservato che la ricorrente aveva giustamente
sostenuto che al giudizio dovevano partecipare anche l'esattore
comunale di Guidonia, che aveva intrapreso l'esecuzione fiscale contro
il debitore fallito, Massimo Del Fante, nonché gli eredi dello stesso
fallito personalmente e non a mezzo del curatore; e che nel giudizio si
doveva risolvere la questione della legittimità dell'acquisizione, da
parte del fisco, dei beni della moglie del debitore fallito.
Ha affermato che le questioni sollevate non apparivano
manifestamente infondate e, anzi, sembravano confortate da recenti
indirizzi dottrinari e giurisprudenziali; e che il diritto di difesa
del fallito non era assicurato dalla norma citata.
L'ordinanza è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del
16 maggio 1973.
Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita Mirti Veturia
ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocato generale dello Stato, con deduzioni depositate il 12
febbraio 1973, ha chiesto che le questioni di legittimità
costituzionale vengano dichiarate inammissibili o infondate.
Ha affermato che le questioni non possono ritenersi ammissibili
perché sono state sollevate dal giudice delegato al fallimento di
Massimo Del Fante, che non ha alcun potere decisorio in ordine alla
legittimità ed integrità del contraddittorio nel procedimento
speciale di cui agli artt. 101 e 103 legge fallimentare, dato che tale
potere spetta esclusivamente al Collegio.
Ha, poi, sostenuto, che, comunque, le questioni sono manifestamente
infondate poiché le norme degli artt. 101 e 103 legge fallimentare non
violano i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto esse non
solo non contengono prescrizioni di carattere discriminatorio, ma
assicurano a tutti gli interessati (richiedente, curatore e creditori)
la possibilità di tutelare le proprie ragioni sia mediante il diretto
intervento nella udienza fissata dal giudice, sia attraverso la
successiva opposizione contro l'eventuale provvedimento lesivo dei loro
diritti.
Ha dedotto, quanto all'asserita illegittimità della c.d.
presunzione muciana, prevista dall'art. 70 legge fallimentare, che tale
norma è applicabile al "coniuge del fallito" (cioè tanto alla moglie,
quanto al marito) e non limita il diritto di difesa del coniuge
interessato, dato che a quest'ultimo è riconosciuta la facoltà di
provare che l'acquisto dei beni, nel quinquennio anteriore al
fallimento, non è avvenuto con danaro del fallito.
Ha osservato, infine, che l'art. 207 del t.u. leggi sulle imposte
dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, concerne la
disciplina della opposizione di terzi nella esecuzione esattoriale e
non contiene prescrizioni lesive di interessi costituzionalmente
protetti.
Mirti Veturia, nella memoria depositata il 3 aprile 1975, ha
replicato che il giudice delegato al fallimento esplica, nel corso
della procedura prevista degli artt. 101 e 103 legge fallimentare,
attività giurisdizionale con carattere decisorio e sono, quindi,
ammissibili le prospettate questioni di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto:

1. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilità delle
questioni di legittimità costituzionale per non essere il giudice
delegato al fallimento titolare di un potere decisorio giurisdizionale
nella fase preliminare del procedimento previsto dall'art. 101,
secondo e terzo comma, legge fallimentare, al quale rinvia l'art. 103
della stessa legge.
L'eccezione non è fondata.
La Corte ritiene che non è dubbia la legittimazione del giudice
delegato a sollevare le questioni di legittimità costituzionale delle
norme che concernono le domande di revindicazione, restituzione e
separazione dei beni mobili pignorati, posseduti dal fallito. Per tali
domande l'art. 103 legge fallimentare dispone che sono applicabili gli
art. 93 e 102; e che, se le domande sono proposte tardivamente a norma
dell'art. 101, il giudice delegato può sospendere la vendita delle
cose rivendicate, chieste in restituzione, con cauzione o senza. Posto
che gli indicati provvedimenti del giudice delegato concernono diritti
soggettivi specificamente considerati dall'art. 103 con riguardo alla
proponibilità dell'azione nel fallimento, deve ad essi riconoscersi la
natura e l'efficacia di provvedimenti decisori impugnabili davanti al
tribunale nell'osservanza della disciplina dei diritti di difesa e
dell'art. 24 Costituzione.
2. - La prima questione, concernente l'illegittimità
costituzionale degli artt. 101 e 103 legge fallimentare in riferimento
agli artt. 3 e 24 Cost., non è fondata.
L'ordinanza ha rilevato che, per la regolare costituzione del
contraddittorio ai fini della pronuncia sulla domanda di
revindicazione, appariva necessaria la partecipazione al giudizio di
tutte le parti e, quindi, sembrava fondato l'assunto della ricorrente,
secondo cui il decreto del giudice delegato e il ricorso avrebbero
dovuto essere notificati anche agli eredi del fallito e all'esattore
comunale, che aveva iniziato l'esecuzione fiscale, e non al solo
curatore del fallimento a termini dell'art. 101 legge fallimentare,
richiamato dal successivo art. 103; ed ha ritenuto non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale di tali articoli
per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
In contrario va considerato che visualizza testo argomento l'attrazione nel fallimento delle
azioni di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili
esclude l'applicazione delle regole di un normale processo di
cognizione ed importa che debba osservarsi la disciplina della
procedura stabilita dalla legge sul fallimento, la quale, in quanto
diretta alla tutela degli interessi generali, provvede in materia di
diritti soggettivi anche con riguardo alle esigenze della procedura
concorsuale nel rispetto dei principi garantiti dalla Costituzione. E,
posto che, in coerenza con la disciplina concorsuale, l'art. 43, primo
comma, legge sul fallimento, stabilisce che il curatore ha la
legittimazione processuale nelle controversie, pure in corso, relative
a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento, si deve
ritenere che tale legittimazione esclusiva egli abbia anche per le
azioni di revindica, restituzione e separazione dei beni mobili
posseduti dal fallito. In considerazione degli effetti, che, secondo il
diritto comune, si collegano al possesso di tali beni, anche dette
azioni danno luogo a rapporti di diritto patrimoniale, e la diversa
natura dei rapporti e diritti, ai quali è applicabile la procedura
prevista dagli artt. 93 e 102 legge sul fallimento, trova fondamento
nel carattere unitario del processo collettivo e fonte specifica
nell'art. 42, che priva il fallito dell'amministrazione e della
disponibilità dei suoi beni esistenti alla data della dichiarazione di
fallimento. Sarebbe, quindi, arbitrario ammettere in singoli giudizi
l'intervento del fallito. L'art. 103, quarto comma, che, nei casi di
domande di revindica, di restituzione o di separazione di beni mobili,
proposte tardivamente a norma dell'art. 101, dispone che il giudice,
prima di provvedere sulla domanda di restituzione o di separazione,
deve sentire, se possibile, il fallito, ha riferimento ad un interesse
tutelabile nei limiti della struttura del processo di fallimento; e,
nel caso di morte del fallito, sussiste l'obbligo di sentire, se
possibile, gli eredi, nei confronti dei quali l'art. 12 della stessa
legge stabilisce che la procedura prosegue.
3. - Né si ravvisa la violazione, genericamente affermata, degli
artt. 3 e 24 Cost. sotto il profilo della mancata previsione, nei
citati artt. 101 e 103 legge fallimentare, del contraddittorio nei
confronti dell'esattore comunale.
I rapporti tra la disciplina della procedura fallimentare e
l'espropriazione esattoriale sono regolati dall'art. 206 t.u. delle
leggi sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n.
645, secondo cui "l'esattore può procedere all'espropriazione anche
quando il debitore sia dichiarato fallito ovvero sia sottoposto a
liquidazione coatta amministrativa. Tuttavia l'esercizio dell'azione
esecutiva può essere sospeso dall'Intendente di finanza su domanda
rispettivamente del curatore o del commissario liquidatore. La domanda
deve essere vidimata dal giudice delegato ovvero, nei casi di
liquidazione coatta amministrativa, dall'autorità che vigila sulla
liquidazione e deve contenere l'impegno a versare in congruo termine
l'intero ammontare del suo credito". visualizza testo argomento L'autonomia di tale procedimento
esclude ovviamente la partecipazione dell'esattore al giudizio di
revindica nella procedura fallimentare.4. - Neppure sono fondate le due questioni sollevate in riferimento
agli artt. 2,24 e 29, comma secondo, Cost.:
a) quella di illegittimità dell'art. 207 e "norme connesse" del
d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, t.u. delle leggi sulle imposte dirette;
b) quella di illegittimità dell'art. 70, legge fallimentare.
L'ordinanza non precisa quale delle norme indicate nelle lettere del
citato art. 207 d.P.R. n. 645 del 1958 sia censurata. Dato il
riferimento all'art. 70 legge fallimentare può ritenersi che sia
denunciata la norma della lett. a) che concerne l'opposizione del
coniuge del contribuente, dei suoi parenti ed affini o dei coobbligati.
E il generico richiamo alle norme connesse può riguardare l'art. 206,
innanzi riportato, su i rapporti dell'espropriazione esattoriale con le
procedure concorsuali e l'art. 56 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602,
sulla riscossione delle imposte dirette in tema di privilegi, in
relazione ai quali sia stata iniziata la esecuzione da parte
dell'esattore.
Ma visualizza testo argomento questa Corte ha avuto già occasione di affermare (sentenza 13
marzo 1974, n. 67) che i dubbi di costituzionalità degli artt.
206,208,209,227, d.P.R. n. 645 del 1958, in riferimento agli artt. 3,
comma primo, 24, 25, comma primo, e 102, comma primo, Cost., sono
palesemente non fondati, in quanto l'esecuzione esattoriale è regolata
come un procedimento nel quale si manifesta energicamente il principio
della esecutorietà dell'atto amministrativo per assicurare la
sollecita riscossione delle imposte, nel preminente interesse
costituzionale di garantire il regolare svolgimento della vita
finanziaria dello Stato, interesse che giustifica la prevalenza della
particolare procedura esecutiva esattoriale anche rispetto a quella
concorsuale fallimentare e a quella stabilita a favore degli enti che
esercitano il credito fondiario. Tali considerazioni valgono anche per
quanto concerne l'art. 207, lett. b, citato (sentenza di questa Corte
26 giugno 1969, n. 107), nonché per gli artt. 2, 24 e 29 Cost., che
genericamente si assumono violati.
5. - La questione sub b) è del pari non fondata.
visualizza testo argomento La presunzione affermata dall'art 70 legge fallimentare non viola
l'art. 3, primo comma, Cost., perché concerne non la sola moglie, ma
"il coniuge del fallito"; non viola l'art. 24 Cost., perché ha
riferimento ad un acquisto limitato al quinquennio anteriore alla
dichiarazione di fallimento ed ammette la prova contraria; e non viola
l'art. 29 Cost., perché non si ravvisa alcun contrasto con
l'eguaglianza morale o giuridica dei coniugi o incidenza su "i limiti
stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale,
sollevate dal giudice delegato del tribunale di Avezzano con ordinanza
21 ottobre 1972:
a) degli artt. 101 e 103 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge
fallimentare), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
b) dell'art. 207 del testo unico delle leggi sulle imposte dirette
approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645; e dell'art. 70 citata
legge fallimentare, in riferimento agli articoli 2, 24 e 29, secondo
comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE
ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI
- NICOLA REALE - PAOLO ROSSI -
LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA -
EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI -
MICHELE ROSSANO.
ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere

 
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