Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0001 del 1987 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di inammissibilità per vizi di carattere processuale
Pronuncia: Pronuncia additiva di regola
Argomenti di altre disposizioni rilevanti per la pronuncia:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
-Argomento psicologico (ricorso alla volontà del legislatore concreto)
-Argomento sistematico: c) concettualistico (argomento dogmatico)
-Argomento teleologico (ipotesi del legislatore provvisto di fini)
Disposizione oggetto: legge 903/1977 art.7:
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
-Argomento psicologico (ricorso alla volontà del legislatore concreto)

N. 1
SENTENZA 14-19 GENNAIO 1987

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: prof. Antonio LA PERGOLA;
Giudici: prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giuseppe FERRARI, dott.
Francesco SAJA, prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof.
Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato
DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, Prof.
Vincenzo CAIANIELLO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 10 legge
30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e della
legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e
donne in materia di lavoro) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 29 maggio 1980 dal Tribunale di Milano
nel procedimento civile vertente tra INAM e Smiriglia Giuseppe ed
altro iscritta al n. 721 del registro ordinanze 1980 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 325 dell'anno 1980;
2) ordinanza emessa il 19 marzo 1981 dal Pretore di Bologna nel
procedimento civile vertente tra Foresti Franco e la ditta Angst e
Pfister S.p.A ed altro iscritta al n. 676 del registro ordinanze 1981
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26
dell'anno 1982;
3) ordinanza emessa il 19 ottobre 1983 dal Pretore di Milano nel
procedimento civile vertente tra Ierardi Vittorio e S.p.A Italtel
Montaggi ed altra iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1984 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 197 dell'anno
1984;
4) ordinanza emessa il 17 gennaio 1985 dal Pretore di Latina nel
procedimento civile vertente tra Bruognolo Franco e l'INAM iscritta
al n. 549 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno
1986;
Visti gli atti di costituzione di Foresti Franco, di Ierardi
Vittorio, dell'INPS;
Udito nell'udienza pubblica del 28 ottobre 1986 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli;
Uditi l'Avv. Franco Agostini per Foresti Franco, Ierardi Vittorio
e l'Avv. Vito Lipari per l'INPS;

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso ex art. 700 c.p.c., Smiraglia Giuseppe, nella sua
qualità di unico genitore del minore Davide, nato contemporaneamente
alla morte della madre, chiedeva al Pretore di Milano di ordinare
all'I.N.A.M., in via d'urgenza, la corresponsione al ricorrente
dell'indennità prevista dall'art. 15, primo comma, della legge 30
dicembre 1971, n. 1204, in relazione al periodo di astensione
obbligatoria dal lavoro di cui all'art. 4, lett. c), della stessa
legge.
L'adíto Pretore accoglieva la domanda ordinando all'I.N.A.M. di
provvedere all'immediata erogazione della indennità. Il
provvedimento veniva poi integralmente confermato a seguito del
successivo procedimento di merito avendo il Pretore ritenuto
applicabili, in via estensiva, le norme di cui agli artt. 4 e 15 l.
n. 1204 del 1971 e 6 l. n. 903 del 1977.
1.1. - Proposto gravame avverso tale decisione, nel corso del
giudizio di appello, il Tribunale di Milano ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31
Cost., dell'art. 4 legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e dell'art. 6
legge 9 dicembre 1977, n. 903 "nella parte in cui non prevedono che
la tutela, mediante astensione dal lavoro, dettata per le lavoratrici
madri (naturali o adottive) e per i figli delle stesse, entro i primi
tre mesi di vita, non possa estendersi anche ai padri lavoratori ed
ai figli degli stessi, entro lo stesso periodo, allorché venga a
mancare, per morte o per qualsivoglia altro motivo, l'assistenza
della madre".
Premesso che il contrasto tra le norme impugnate e i principi e
precetti sanciti dalle indicate norme costituzionali è evidenziato
"oltre che dall'astratta comparazione delle predette disposizioni
dall'ingiusta soluzione che si dovrebbe dare al caso di specie ove si
dovessero ad esso applicare le risultanze cui conduce
l'interpretazione letterale della normativa vigente in materia di
astensione dal lavoro post partum", il giudice a quo rileva che,
anzitutto, il principio di eguaglianza non apparirebbe pienamente e
compiutamente realizzato "nel caso in esame né per quel che riguarda
il genitore né per quel che riguarda il neonato". Ed avendo come
parametro di raffronto il solo precetto espresso dall'art. 3 Cost.,
il Tribunale si duole del fatto che, nei riguardi del figlio, il
decesso della madre immediatamente dopo il parto, opererebbe "oltre
che un irrimediabile pregiudizio immediato, una altrettanto repentiva
lesione del suo diritto a quell'assistenza affettiva e materiale che
ha determinato il legislatore, pur nel concorso di altri
preponderanti motivi, a stabilire il divieto di adibire la donna al
lavoro nei tre mesi successivi al termine della gestazione". Vero è,
prosegue il giudice a quo, che la ratio della norma impugnata si
estende alla necessità di tutelare la salute della madre; non
sarebbe dubbio però che l'art. 4 l. n. 1204 del 1971 avrebbe anche
la funzione di assicurare al neonato quella protezione che la
Costituzione "ha espressamente ritenuto di dover favorire promuovendo
istituti idonei allo scopo e correlandone la funzione con la
necessità di favorire la formazione della famiglia e l'adempimento
dei compiti relativi". Di qui una "seria e discriminante limitazione
in seno a quella famiglia che, privata dell'apporto fondamentale
della donna, appare ancor più necessitante di protezione esterna e,
soprattutto per quel che rigurda il neonato, di un apporto materiale
ed affettivo che solo all'interno della famiglia stessa può
immediatamente e compiutamente essere garantito". Questa esigenza non
potrebbe essere negata senza violare la posizione di eguaglianza del
padre e del figlio di fronte alla legge, proprio nel momento in cui
il padre, in mancanza dell'altro genitore, è chiamato a svolgere
l'intera funzione familiare stabilita dalla legge nei confronti del
figlio e mentre quest'ultimo vede accentuarsi il proprio bisogno di
protezione.
Poiché, poi, la necessità di eguale tutela si rifletterebbe oltre
che sulle posizioni individuali in seno alla famiglia, anche su
situazione, funzione e proficuo sviluppo della famiglia stessa,
resterebbero violati anche gli artt. 29, 30 e 31 Cost.
Ovvi sarebbero infatti, nella mancata previsione, per il padre
rimasto vedovo, della facoltà di astensione dal lavoro nei primi tre
mesi di vita del figlio, gli ostacoli all'adempimento dei compiti
relativi alla famiglia ed alla protezione dell'infanzia, mentre, con
riguardo alla tutela della maternità, quantomeno abnorme sarebbe
ritenere che "la morte durante il parto, dalla donna stessa accettata
come evento non impossibile, ponga termine a quelle necessità
protettive che facevano capo alla donna in quanto madre ed al figlio,
che di quella simbiosi è rimasto, purtroppo, unico protagonista
vivente".
Il contrasto con la Costituzione investirebbe anche il principio
di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi ed il loro dovere e
diritto, in quanto genitori, di educare i figli anche attraverso la
previsione, in caso di loro incapacità, di un proficuo intervento da
parte della legge. Tale contrasto apparirebbe ancor più accentuato
tenendo conto che il Costituente, col "privilegiare la famiglia in
quanto società naturale fondata sul matrimonio, le ha affidato un
ruolo primario ed insostituibile nell'adempimento dei compiti ad essa
relativi, attribuendo alla legge ed agli istituti esterni un ruolo di
supporto e di sostegno che, per quanto fondamentale, deve espletarsi
in forma necessariamente subordinata e mai sostitutiva, ogni qual
volta le funzioni familiari possono trovare riferimento
nell'esistenza e nella capacità anche di uno soltanto dei genitori".
Lo stesso legislatore ordinario - sia pure in modo incompleto e
certamente non estensibile al caso di specie - sembrerebbe aver colto
il contrasto con i principi costituzionali laddove ha concesso (art.
7 l. n. 903 del 1977) anche al padre, in via alternativa alla madre,
la facoltà di avvalersi del periodo di assenza facoltativa dal
lavoro previsto dall'art. 7 l. n. 1204 del 1971. Si sarebbe però
trattato di un riconoscimento solo incompleto che, proprio per la sua
posteriorità rispetto alla disposizione di cui all'art. 4 lett. c)
l. n. 1204 del 1971, impedirebbe di ritenere che il legislatore del
1971 minus dixit quam voluit.
L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 325 del 26 novembre 1980.
Nel giudizio non è intervenuta la Presidenza del Consiglio dei
ministri né vi è stata costituzione della parte privata.
La discussione della questione in oggetto, già fissata per la
camera di consiglio del 25 maggio 1983, è stata rinviata all'udienza
odierna.
2. - Con ricorso in data 22 gennaio 1981 Foresti Franco, nella
qualità di padre del minore Alberto, nato il 2 maggio 1980
dall'unione con Stano Rita, premesso che le condizioni di salute di
quest'ultima erano tali da impedirle di occuparsi del figlio (in
particolare, di accompagnarlo all'asilo e di riaccompagnarlo a casa),
chiese al Pretore di Bologna di condannare il proprio datore di
lavoro (Soc. Angst e Pfister), o in alternativa l'INPS, al pagamento
della retribuzione relativa alle ore di permesso concessegli dal 1
dicembre 1980 per consentirgli di provvedere al detto minore (in
particolare: per l'accompagnamento dello stesso all'asilo ed il suo
riaccompagnamento a casa), fondando la propria pretesa sull'art. 10
della legge 30 dicembre 1971 n. 1204 e sull'art. 7 della legge 9
dicembre 1977 n. 903. In subordine, il ricorrente prospettò il
dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 7, 1 co., della l. n.
903 del 1977, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 30, 31, 35, 36 e 37
Cost. Nel giudizio innanzi al Pretore si costituirono la Soc. Angst e
Pfister e l'INPS, che chiesero la reiezione delle pretese attrici.
2.1. - Con ordinanza emessa in data 19 marzo 1981, iscritta al n.
676 r.o. 1981, l'adìto Pretore ha sollevato questione di
legittimità costituzionale "della legge 9 dicembre 1977 n. 903, ed
in particolare dell'art. 7, per la supposta violazione dell'art. 3,
in relazione agli articoli 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, per
non avere esteso anche al padre di un bimbo la possibilità di
usufruire entro il primo anno di vita del figlio, in alternativa con
la madre, del permesso previsto dall'art. 10 l. 30 dicembre 1971 n.
1204".
Osserva preliminarmente il giudice rimettente che l'estensione al
padre del diritto al c.d. riposo retribuito riconosciuto alla madre
dall'art. 10 della l. n. 1204 del 1971, non sarebbe ricavabile, nel
silenzio dell'art. 7 della l. n. 903 del 1977, in via interpretativa.
Tale ultima disposizione, infatti, estende espressamente al padre
lavoratore i soli benefici di cui all'art. 7 ed all'art. 15, 2 co.,
della l. n. 1204 del 1971, mentre tace dell'altro, della cui
spettanza si contende nel giudizio principale. Una "interpretazione
estensiva", di detto art. 7 della l. n. 903 del 1977, invero, sarebbe
impedita dalla sua natura "estremamente particolare e delimitata";
né sarebbe praticabile la via dell'interpretazione analogica, che
nel caso di specie non potrebbe far uso di tale disposizione, ma
presupporrebbe una "applicazione integrativa e diretta delle norme
costituzionali" che invece "potrebbe eventualmente aver luogo solo
dopo la risoluzione della controversia costituzionale da demandare
alla Corte costituzionale".
Preclusa restando, in ragione dei motivi sopradescritti,
l'estensione (in via di interpretazione) al padre del beneficio di
cui all'art. 10 della l. n. 1204 del 1971, ritiene il Pretore
rimettente di dover sollevare questione incidentale di legittimità
costituzionale nei termini suddetti. Sussisterebbe infatti, a suo
giudizio, una "disparità di trattamento tra situazioni che appaiono
sotto tanti aspetti uguali". Invero: "una volta che l'art. 6 (della
l. n. 903 del 1977) ha concesso anche alle madri adottive o
affidatarie il diritto facoltativo all'assenza dal lavoro per tre
mesi, di cui all'art. 4 lett. c) l. n. 1204/1971; una volta che
l'art. 7 (della l. n. 903 del 1977) ha riconosciuto anche al padre in
alternativa con la madre lavoratrice - il ben rilevante diritto
all'astensione dal lavoro per la durata di sei mesi, nel periodo del
primo anno di vita del bambino; una volta che è consentito anche al
padre di usufruire del permesso retribuito in caso di malattia del
figlio; una volta che la disciplina del c.d. riposo giornaliero di
due ore è stata privata del presupposto giuridico dell'allattamento
diretto da parte della madre; ove si consideri come attualmente la
ragione che ispira il diritto al permesso di cui all'art. 10 (della
l. n. 1204 del 1971) appare essere (almeno sotto il profilo giuridico
istituzionale, se non sotto quello economico) quella stessa che con
la legge di parità ha fatto estendere alla madre adottiva ed al
padre il diritto di poter usufruire dell'astensione dal lavoro per
provvedere alle necessità del bambino entro il suo primo anno di
vita"; il trattamento deteriore riservato al padre in ordine al
godimento del c.d. riposo retribuito di cui all'art. 10 della l. n.
1204 del 1971, non sarebbe giustificato. Tanto, aggiunge il giudice a
quo, anche in considerazione del rafforzamento che al principio di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. verrebbe, in casi come quello in
esame, dagli artt. 29 e 30 Cost., della peculiare importanza dei
compiti spettanti ai genitori nei confronti della prole, secondo
quanto dispone l'art. 31 Cost.; dell'impossibilità di assicurare una
effettiva protezione della donna lavoratrice (art. 37 Cost.) senza
l'ampliamento della condizione di parità fra l'uomo e la donna.
Nulla invece, conclude il Pretore, potrebbe valere in contrario la
considerazione dell'opportunità (forse avvertita dal legislatore del
1977) di non incrementare eccessivamente il costo del lavoro ed il
deficit del bilancio degli enti previdenziali in un momento di crisi
economica, perché tali pur "serie ragioni... non devono far...
pretermettere la sostanziale necessità per una società civile, di
avere leggi con contenuti di giusto e pari trattamento rispetto a
situazioni fondamentalmente uguali, o tali ritenute da una gran parte
dei cittadini".
2.2. - Nel giudizio introdotto con l'ordinanza sopradescritta non
ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. Si
sono invece costituiti il sig. Foresti Franco (avv. Agostini) e
l'INPS (avv. Foà; Ricci), in data, rispettivamente, 23 ottobre 1981
e 17 giugno 1982.
Il primo, fatta riserva di ulteriori deduzioni, chiede la
dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata.
In contrario avviso va invece l'INPS, che ritiene ragionevole la
differenziazione fra padre e madre operata dalla norma impugnata.
Osserva, anzitutto, l'Istituto, che l'art. 10 della l. n. 1204 del
1971 avrebbe come scopo la "tutela... delle condizioni fisiche e
morali della madre naturale", sì che il diritto al trattamento ivi
previsto (qualificato non casualmente come "riposo") sarebbe
"specificamente collegato alle condizioni post partum della donna
entro l'anno di nascita del bambino", non già alla "esigenza di cura
e di assistenza" di quest'ultimo. Ciò sarebbe dimostrato, del resto,
oltre che dall'art. 8 della l. n. 903 del 1977 (che mutualizza
l'onere derivante dai "riposi" al fine di ridurre proprio il costo
del lavoro femminile), dalla stessa norma impugnata, la quale proprio
sul presupposto che tale fosse la funzione della norma predetta, non
ha esteso il beneficio ivi previsto alle madri adottive ovvero al
padre.
La mancata estensione, a sua volta, sarebbe in perfetta armonia
con l'ispirazione complessiva della l. n. 903 del 1977, che ha inteso
"eliminare le discriminazioni esistenti a danno della donna nel mondo
del lavoro tendendo al raggiungimento di una effettiva parità di
essa con l'uomo". Ispirazione, questa, non contraddetta neppure da
quelle estensioni ai lavoratori padri di trattamenti in origine
riservati alle sole lavoratrici madri, che sono state operate dalla
stessa norma impugnata: con esse, invero, non si sarebbe inteso
"estendere all'uomo... disposizioni che erano state dettate invece
per la lavoratrice in quanto madre... ma piuttosto... approntare alla
lavoratrice un ulteriore mezzo atto ad evitare la sua discriminazione
nel mondo del lavoro". Tanto, conclude l'Istituto, in completo
accordo con i dati forniti dalla realtà sociale (nella quale non si
è verificata quella equivalenza dei ruoli familiari dell'uomo e
della donna che erroneamente presupporrebbe il giudice a quo) e con i
principi costituzionali di cui agli artt. 31 e 37 (mentre
inconferente sarebbe il richiamo operato dal Pretore agli artt. 29 e
30 Cost.).
3. - Con ricorso in data 19 novembre 1981 Ierardi Vittorio,
premesso che la propria moglie era deceduta per parto in data 10
luglio 1981; che in conseguenza di ciò aveva dovuto necessariamente
attendere al minore nato in quella occasione; che allo scopo il
proprio datore di lavoro gli aveva riconosciuto il diritto alla sola
astensione facoltativa dal lavoro di cui all'art. 7 della l. n. 903
del 1977 e non già il (reclamato) diritto all'astensione
obbligatoria di cui all'art. 4 della l. n. 1204 del 1971 né quello
al godimento dei periodi giornalieri di riposo di cui all'art. 10
della stessa legge, chiese al Pretore di Milano di dichiarare la
spettanza al ricorrente dei predetti diritti e conseguentemente di
condannare l'INPS al pagamento delle indennità previste dalla legge,
ed il datore di lavoro (Italtel Montaggi S.p.A.) all'anticipo degli
importi relativi oltre che al pagamento delle integrazioni
contrattuali.
3.1. - Con ordinanza emessa in data 19 ottobre 1983, iscritta al
n. 151 r.o. 1984, l'adìto Pretore ha sollevato questione di
legittimità costituzionale "in relazione agli artt. 3, 29, 30, 31
Cost., degli artt. 4 e 10 l. 30 dicembre 71 n. 1204 e degli artt. 6 e
8 della l. 9 dicembre 77 n. 903 nella parte in cui non prevedono che
la astensione obbligatoria dal lavoro post partum e il godimento di
riposi giornalieri concessa alle lavoratrici madri, possa estendersi
anche al padre lavoratore allorché venga a mancare per morte (o
altra causa) l'assistenza della madre al neonato".
Osserva preliminarmente il giudice rimettente che (per motivi non
dissimili da quelli evidenziati dall'ord. n. 676 del 1981 e descritti
sub 2.1.) l'attribuzione (in via di interpretazione estensiva o
analogica) al padre delle agevolazioni riconosciute dalle norme
impugnate alla sola lavoratrice madre non sarebbe consentito, neppure
nel caso - come quello di specie - di decesso della madre post
partum.
Preclusa restando l'estensione al padre lavoratore dei predetti
trattamenti sussisterebbe per il giudice rimettente una duplice,
illegittima disparità di trattamento. La prima, in danno del padre
nei confronti dell'altro genitore. La seconda, in danno del neonato
cui per qualsiasi causa (nella specie, la morte) venga a mancare la
madre, che si vedrebbe "ingiustificatamente negata, sulla base
dell'attuale normativa, l'assistenza materiale e affettiva di un
genitore". Ciò, si osserva, in contrasto anzitutto con la stessa
ratio della previsione dell'astensione obbligatoria post partum, la
cui stessa durata (tre mesi), di gran lunga eccedente il tempo
necessario alla madre per ristabilirsi dal parto dimostra che con
essa non si è inteso solo tutelare la salute della madre
lavoratrice, ma in particolare assicurare al neonato, "proprio nei
primi tre mesi di vita il necessario legame fisico ed affettivo con
la madre". Inoltre, anche con la ratio della previsione dei permessi
retribuiti giornalieri, che non sarebbero legati alle esigenze
dell'allattamento, ma alle necessità affettive del neonato, come
dimostra l'estensione del beneficio relativo alle madri adottive o
affidatarie, operata con la l. n. 903 del 1977.
Sussisterebbe, infine, contrasto dell'impugnata normativa con gli
artt. 29, 30 e 31 Cost., "in quanto concretamente ostacola il padre
nell'adempimento dei propri compiti impedendo il positivo sviluppo
della famiglia nel delicato momento in cui un coniuge, da solo, deve
far fronte a tutte le esigenze".
3.2. - Nel giudizio introdotto con l'ordinanza sopra descritta si
è costituito il Sig. Ierardi Vittorio (Avv. Agostini), che sollecita
l'accoglimento da parte di questa Corte di un'interpretazione
estensiva delle norme impugnate, la quale consenta l'attribuzione
anche al padre lavoratore dei benefici ivi previsti, ed in subordine
conclude per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle
stesse.
4. - Con ricorso in data 12 gennaio 1981 Bruognolo Franco,
premesso che la propria moglie era deceduta al momento del parto (in
data 3 marzo 1979), dopo aver dato alla luce una bambina, convenuto
in giudizio l'INAM, chiese al Pretore di Latina il riconoscimento del
proprio diritto di astenersi dal lavoro ai sensi dell'art. 4, lett.
c) della l. n. 1204 del 1971, con i benefici di cui all'art. 15 della
stessa legge. Si costituiva tardivamente innanzi al Pretore
(all'udienza del 22 giugno 1984) l'INPS (subentrato all'INAM)
contestando le pretese attrici.
4.1. - Con ordinanza emessa in data 17 gennaio 1985, iscritta al
n. 549 r.o. 1985, l'adìto Pretore ha sollevato questione di
legittimità costituzionale "dell'art. 4 lett. c) l. 30 dicembre 1971
n. 1204 e dell'art. 6 l. 9 dicembre 1977 n. 903, in relazione agli
artt. 3, 37, 29, 30 e 31 della Costituzione, nella parte in cui non
prevedono che l'astensione obbligatoria dal lavoro concessa post
partum alla lavoratrice madre ovvero alla lavoratrice adottiva o
affidataria sia estesa anche al padre lavoratore allorché venga a
mancare la madre al momento del parto".
Osserva preliminarmente il giudice rimettente che una estensione
della portata e del significato dell'art. 6 della l. n. 903 del 1977,
ovvero dell'art. 7 della stessa legge tale da condurre a riconoscere
anche al padre lavoratore il diritto di cui all'art. 4, lett. c),
della l. n. 1204 del 1971, non sarebbe consentita dal tenore
letterale di detta normativa.
Proprio la ratio degli stessi artt. 6 della l. n. 903 del 1977, e
4 lett. c) della l. n. 1204 del 1971, che appare consistere
nell'apprestamento di adeguata tutela al bambino, a prescindere dalle
esigenze della madre in relazione al parto, farebbe tuttavia sorgere
consistenti dubbi di legittimità costituzionale. Nel mancato
riconoscimento - pur in caso di decesso della madre - anche al padre
lavoratore degli stessi benefici assicurati, in ordine all'astensione
dal lavoro, alle madri naturali, adottive o affidatarie vi sarebbe,
infatti, anzitutto disparità di trattamento, violativa dell'art. 3
Cost.; sussisterebbe poi contrasto con l'art. 37 Cost., perché la
normativa impugnata non garantirebbe la adeguata protezione del
bambino preveduta da detta disposizione costituzionale; nonché,
infine, lesione degli artt. 29, 30 e 31, per le stesse ragioni
esposte dall'ord. n. 151 del 1984, e testualmente riportate sub 3.1.
4.2. - Nel giudizio introdotto con l'ordinanza sopradescritta si
è costituito l'INPS (Avv. Lipari), che, pur affermando d'essere
estraneo alla causa dalla quale l'incidente di legittimità
costituzionale ha tratto origine (poiché la competenza in materia di
prestazioni economiche di malattia e maternità è stata trasferita
dai disciolti enti mutualistici all'Istituto con decorrenza - 1
gennaio 1980 - successiva al momento in cui si verificò l'evento -
morte della moglie del ricorrente - alla base della controversia
principale), "intende partecipare al presente giudizio non tanto
perché direttamente interessato alla questione di principio che ne
forma oggetto, quanto perché questa si è già presentata,
pressoché negli stessi termini, in un giudizio originato da un caso
successivo al suddetto trasferimento di competenza: quello di cui
all'ordinanza del Pretore di Milano del 19 ottobre 1983, Ierardi
Vittorio c. S.p.A. Italtel Montaggi e INPS. Il relativo giudizio di
legittimità costituzionale è iscritto presso codesta Ecc.ma Corte
nel registro ordinanze al n. 151/1984 e si ritiene che al medesimo
debba essere riunito a suo tempo, per evidenti motivi di connessione,
quello odierno". L'Istituto chiede a questa Corte di "decidere
secondo giustizia".
Da un lato, invero, lo stesso art. 6 della l. n. 903 del 1977,
consentendo alle madri adottive o affidatarie di godere sia
dell'assistenza obbligatoria post partum che di quella facoltativa,
dimostrerebbe che, nel prevedere tali benefici, "il legislatore ha
avuto di mira la tutela dell'interesse del bambino", e non già le
mere esigenze fisiche della madre (naturale). Difficile pertanto,
sarebbe giustificare la disparità di trattamento fra le madri
adottive o affidatarie (le quali possono usufruire tanto dell'assenza
obbligatoria che di quella facoltativa, con indennità pari,
rispettivamente, all'80% e al 30% del salario giornaliero) ed i
lavoratori padri la cui moglie sia deceduta post partum (i quali
godono invece solo del secondo beneficio, e della sola indennità
commisurata al 30% del salario giornaliero). Dall'altro, la eventuale
declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa
impugnata "comporterebbe per l'INPS nuove e maggiori spese
assistenziali, di cui ci si dovrebbe preoccupare ai sensi dell'art.
81 Cost.".

Considerato in diritto

1. - Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle
ordinanze di rimessione indicate in epigrafe hanno ad oggetto ora
talune norme (gli artt. 4 e 10) della legge 30 dicembre 1971
n. 1204 (sulla tutela delle lavoratrici madri), ora l'intera
legge 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento tra
uomini e donne in materia di lavoro), ora specificamente gli artt.6,
7 e 8 della stessa. Nonostante la molteplicità delle norme
impugnate, le ordinanze evidenziano, pur nella diversità delle
prospettazioni, problemi che si presentano, nei contenuti e nel
riferimento ai principi che si affermano violati, identici o
sostanzialmente analoghi, onde i relativi giudizi possono essere
riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - L'ordinanza (iscritta al n. 721 r.o.1980) emessa dal
Tribunale di Milano, impugna - in riferimento agli artt. 3, 29, 30 e
31 Cost. - l'art. 4 della legge n. 1204 del 1971 e l'art.6 della
legge n. 903 del 1977 nella parte in cui non prevedono che il
beneficio dell'astensione dal lavoro, attribuito alle lavoratrici
madri (naturali ed adottive) per i primi tre mesi successivi alla
nascita dei figli ovvero al loro ingresso nella nuova famiglia, possa
estendersi anche ai padri lavoratori, per lo stesso periodo,
allorché venga a mancare, per morte o per qualsivoglia altro motivo,
l'assistenza della madre.
Le stesse norme vengono impugnate, con riferimento agli stessi
parametri, dal Pretore di Milano con ordinanza iscritta al n. 151 r.o
1984; ma il giudice rimettente investe anche l'art.10 della legge n.
1204 del 1971 e l'art.8 della legge n. 903 del 1977, nella parte in
cui non prevedono che il beneficio dei riposi giornalieri disposto a
favore delle lavoratrici madri possa estendersi anche al padre
lavoratore allorché venga a mancare per morte (o altra causa)
l'assistenza della madre al neonato.
L'art. 4 (limitatamente alla lett. c) della legge n. 1204 del 1971
e l'art. 6 della legge n. 903 del 1977 vengono impugnati anche dal
Pretore di Latina con ordinanza iscritta al n. 549 r.o. 1985, la
quale lamenta lo stesso vizio rilevato con la menzionata ord. n. 721
del 1980 emessa dal Pretore di Milano, ma aggiunge ai parametri ivi
invocati anche l'art. 37 Cost.
Con ordinanza iscritta al n. 626 r.o. 1981, il Pretore di Bologna
solleva infine questione di costituzionalità dell'intera legge 9
dicembre 1977 n. 903 ed in particolare del suo art. 7, per la
supposta violazione dell'art. 3 in relazione agli artt. 29, 30, 31 e
37 Cost., per non avere la norma impugnata esteso anche al padre
lavoratore la possibilità di usufruire entro il primo anno di vita
del figlio, in alternativa con la madre, dei riposi previsti
dall'art.10 l. 30 dicembre 1971 n. 1204.
Le prime tre ordinanze traggono origine da giudizi promossi - nei
confronti del rispettivo datore di lavoro e dell'ente assicuratore da
lavoratori dipendenti che, a seguito della morte della propria
moglie, avvenuta in occasione del parto, avevano dovuto personalmente
attendere alla cura dei figli neonati. Di qui la richiesta -
giudizialmente proposta - di vedersi corrisposta l'indennità
menzionata dall'art. 15, primo comma, della legge 30 dicembre 1971 n.
1204 in relazione al periodo di astensione obbligatoria dal lavoro
previsto dall'art. 4, lett. c), dalla stessa legge, e - nel caso del
giudizio proposto innanzi al Pretore di Milano - di vedersi
riconosciuto anche il diritto al riposo giornaliero di due ore
concesso alle lavoratrici sino al compimento del primo anno di vita
del bambino.
La quarta ordinanza (n. 676 r.o. 1981) è stata emessa nel corso
di un giudizio promosso da un lavoratore dipendente che chiedeva di
vedersi corrisposta la retribuzione anche per le due ore di permesso
giornaliero concessegli per provvedere al proprio figlio nel primo
anno di vita, stante la impossibilità per la madre - invalida e
immobilizzata - di prestare al minore una qualsiasi assistenza.
3. - Ciò premesso, va osservato che la legge 30 dicembre 1971 n.
1204 - della quale fanno parte due delle norme impugnate - ha dato
alla tutela delle lavoratrici madri una disciplina organica,
migliorando sensibilmente il trattamento previsto dalla legge 26
aprile 1950 n. 860, che pure aveva intrapreso una prima attuazione
delle norme costituzionali sulla condizione della donna lavoratrice.
La legge 1204 amplia in modo notevole lo spettro delle provvidenze a
favore della lavoratrice, sotto il profilo dell'allargamento dei
soggetti beneficiari, della salvaguardia della salute, della
conservazione del posto di lavoro e dei risvolti economici collegati
ai vari istituti previsti per la tutela della maternità.
Con la nuova normativa si sviluppa ulteriormente la coscienza
della funzione sociale della maternità, del valore dell'inserimento
della donna nel lavoro, e quindi della necessità di interventi della
società volti a tutelare la maternità stessa. Assieme alla tutela
della salute e della condizione della madre, tuttavia, emerge con
decisione proprio in quella legge (ma si pensi, nello stesso torno di
tempo, anche alla prestazione assicurata dalla l. 6 dicembre 1971 n.
1044, sulla istituzione di asili nido con il concorso dello Stato)
anche la considerazione degli interessi del bambino, che appare
destinatario concorrente, quando non prevalente ed esclusivo, di
significative previsioni nella legge stessa rinvenibili. Potrebbe
anzi dirsi che, in sostanza, oggetto della protezione nella fase
successiva al parto diviene, al di là dei casi di specifica ed
esclusiva considerazione della salute della madre in connessione al
parto stesso, il rapporto madre- bambino, visto sotto il profilo
della attiva ed assidua partecipazione della prima allo sviluppo
fisico e psichico del figlio.
Di questo nuovo indirizzo, che amplia la gamma dei valori
costituzionali perseguiti, è specifica espressione il complesso di
istituti, in parte del tutto nuovi, in parte comunque sensibilmente
rinnovati, che prevedono per il tempo successivo al parto una serie
di diritti che consentono alla madre periodi più o meno lunghi di
assenza dal lavoro, e che comprendono:
a) la astensione dal lavoro per i primi tre mesi successivi al
parto, che è obbligatoria - si badi - perché corrispondente al
divieto di adibire la donna al lavoro nel corso dello stesso periodo
(art.4 lett. c), ed è accompagnata dal diritto della donna di
percepire una indennità giornaliera pari all'80% della retribuzione
(art. 15);
b) l'assenza dal lavoro per un periodo di sei mesi - trascorso
quello di astensione obbligatoria - entro il primo anno di vita del
bambino (c.d. astensione facoltativa), periodo durante il quale viene
conservato alla madre il posto di lavoro (art.7, comma 1) ed è
corrisposta una indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione
(art. 15, comma 2);
c) l'astensione dal lavoro durante la malattia del bambino di
età inferiore ai tre anni, dietro presentazione di un certificato
medico (art.7, comma 2);
d) i periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata,
che possono essere goduti nel primo anno di vita del bambino, i quali
sono ridotti alla metà ove la lavoratrice, invece di uscire
dall'azienda, preferisca usufruire delle camere di allattamento o
dell'asilo nido, che siano stati eventualmente istituiti dal datore
di lavoro, nelle dipendenze dei locali di lavoro.
4. - Anche la legge 9 dicembre 1977 n. 903 sulla parità di
trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, pur essa oggetto
- nella sua interezza e più specificamente in alcune sue
disposizioni - di impugnative, è a sua volta intervenuta sulla
legislazione esistente, novellando una serie di disposizioni sulla
base di un indirizzo unitario fondato sulla valorizzazione del
principio di uguaglianza.
Negli aspetti più direttamente connessi alla condizione della
lavoratrice madre, la nuova normativa tende da un lato ad evitare che
le disposizioni di tutela possano disincentivare l'impiego di
manodopera femminile, ostacolando la donna nell'accesso al lavoro e
nelle prospettive di progressione in carriera: dall'altro, a
collegarsi all'istanza paritaria promossa dalla riforma del diritto
di famiglia (l. 19 maggio 1975 n. 151), che si connette ad una nuova
visione del ruolo dei genitori nella vita familiare, ed in
particolare del modo in cui essi debbono con eguali diritti e doveri
concorrere all'assistenza alla prole.
La legge di parità modifica sotto più profili la normativa della
l. n. 1204 del 1971 relativa alle provvidenze per la lavoratrice
madre. Anzitutto, l'art. 6 estende alle lavoratrici che abbiano
adottato bambini o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo
i seguenti benefici: a) il diritto di avvalersi della astensione dal
lavoro (prevista dall'art. 4 lett. c) della l. n. 1204 del 1971)
durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del
bambino nella famiglia adottiva o affidataria (sempreché il bambino
non abbia superato i sei anni al momento della adozione o
dell'affidamento); b) il diritto (di cui all'art. 7, primo comma,
della stessa l. n. 1204) di assentarsi dal lavoro entro un anno
dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o
affidataria (sempreché il bambino non abbia superato i tre anni di
età); c) il diritto (di cui al secondo comma del cit. art. 7) di
assentarsi durante la malattia del bambino (sempre entro i primi tre
anni di vita). In tal modo, la riforma del 1977 ha inteso garantire
il positivo inserimento del bambino nella famiglia adottiva o
affidataria, allo scopo operando una vera e propria parificazione del
figlio adottivo al figlio naturale.
L'art. 8, poi, dispone che l'indennità per i riposi di cui
all'art. 10 della l. n. 1204 siano corrisposte dall'ente assicuratore
e solo anticipate dal datore di lavoro (e ciò sottintende
l'esistenza di un interesse sociale, generale, all'effettiva
assistenza ai bambini nel loro primo anno di vita).
Ma l'innovazione più importante è introdotta infine dall'art. 7
che riconosce al padre lavoratore - anche adottivo o affidatario - il
diritto di assentarsi dal lavoro (astensione c.d. facoltativa) e il
diritto di ottenere permessi in caso di malattia del bambino, in
alternativa alla madre ovvero in esclusiva quando i figli siano
affidati al solo padre.
5. - Del complesso normativo - risultante dalla l. n. 1204 del
1971 e dalla l. n. 903 del 1977 - che si è ora descritto, i giudici
rimettenti hanno colto limiti, rilevato deficienze e segnalato
incoerenze che sarebbero tali da cagionare lesione dei vari parametri
costituzionali dagli stessi giudici invocati.
Molte sono le norme di quel complesso normativo, della cui
legittimità costituzionale si dubita nelle ordinanze di rimessione
introduttive del presente giudizio. Va tuttavia rilevato che, pur
nella pluralità dei riferimenti normativi, all'esame di questa Corte
è sottoposta una questione di costituzionalità che può essere
ritenuta sostanzialmente unitaria, sia perché vengono alla Corte
richiesti interventi additivi di non dissimile portata, sia perché
viene comunque lamentato il mancato riconoscimento al padre
lavoratore, ove sia venuta meno ogni possibilità di assistenza da
parte della madre, ora della facoltà di avvalersi della astensione
dal lavoro nei primi tre mesi successivi alla nascita del figlio, ora
della facoltà di avvalersi dei cosiddetti riposi giornalieri nel
primo anno di vita dello stesso.
Come già osservato in altre occasioni (sent. n. 35 del 1981), va
anche qui precisato che "la Corte non potrebbe sindacare
compiutamente e contemporaneamente la legittimità d'un insieme di
norme e normative, là dove si tratta pur sempre di risolvere almeno
in prima linea - un solo problema di legittimità costituzionale. Al
contrario è compito della Corte precisare se esista e quale sia la
norma tra le tante che nell'occasione sono state messe in gioco, che
si presti - in ipotesi - a formare oggetto di accoglimento additivo
del tipo prospettato dai giudici a quibus per colmare la denunziata
mancanza di previsioni legislative".
Procedendo a tale individuazione, che va compiuta sulla base della
portata e della collocazione delle singole norme nel sistema
costituito dalle due leggi in esame, la Corte ritiene che detta norma
debba essere identificata in quella risultante dall'art. 7 della
legge n. 903 del 1977.
Certo, va subito escluso che essa posssa rinvenirsi nell'art. 8
della stessa l. n. 903, che si limita a determinare il soggetto
obbligato alla corresponsione delle indennità previste dall'art. 10
della l. n. 1204 del 1971. Con non minor sicurezza, peraltro, deve
parimenti escludersi che possa utilmente farsi riferimento agli artt.
4 e 10 della stessa l. n. 1204, ovvero all'art. 6 della l. n. 903 del
1977. I primi, infatti, si limitano a determinare quali siano i
benefici da riconoscere alla madre naturale, e l'ultimo ad operare
una parziale estensione degli stessi alla madre adottiva od
affidataria: nessuna di dette disposizioni fa invece menzione della
posizione, in ordine a quei benefici, del padre lavoratore, naturale,
adottivo od affidatario che sia. È per tale ragione, dunque, che
proprio l'art. 7 della l. n. 903 rappresenta l'oggetto rispetto al
quale occorre valutare la necessità di eventuali interventi additivi
in favore del padre lavoratore: è quella, infatti, la sede che il
legislatore ha prescelto per disegnare la figura giuridica del padre
lavoratore stesso, ed è pertanto quello l'oggetto normativo rispetto
al quale possibili incompletezze od inadeguatezze della sua
situazione giuridica nella materia in esame vanno lamentate.
Individuata così, tra le varie norme impugnate quella sulla quale
la Corte è tenuta a soffermare la propria attenzione, consegue la
necessaria declaratoria di inammissibilità delle impugnative
concernenti gli artt. 4 e 10 della legge n. 1204 del 1971 nonché
degli artt. 6 e 8 della legge n. 903 del 1977.
Inammissibile, è altresì la questione di legittimità
costituzionale della stessa l. n. 903 del 1977 nella sua interezza,
in quanto le sue disposizioni non presentano quella reciproca, intima
connessione, che per costante giurisprudenza di questa Corte è
necessaria perché possa validamente introdursi un giudizio
incidentale di legittimità costituzionale avente ad oggetto un
intero testo legislativo.
6. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della
legge 31 dicembre 1977 n. 903, per come identificata nei sovraesposti
termini e contenuti, deve essere ritenuta fondata.
Occorre soffermarsi innanzitutto sulla ratio della previsione dei
benefici che si vorrebbero estesi, ricorrendo le già dette
condizioni - al padre lavoratore.
visualizza testo argomento L'astensione obbligatoria, disposta dall'art. 4 lett. c) della
legge n. 1204 del 1971, certamente ha il fine di tutelare la salute
della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto, onde
consentirle di recuperare le energie necessarie per riprendere il
lavoro. La norma, tuttavia, considera e protegge anche il rapporto
che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, e
tanto non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente
biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere
relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della
personalità del bambino.
La tutela della madre, in altri termini, non si fonda solo sulla
condizione di donna che ha partorito, ma anche sulla funzione che
essa esercita nei confronti del bambino: sì che la norma protegge i
diritti di entrambi, e di entrambi tutela la personalità e la
salute.Lo stesso progressivo ampliarsi del periodo di "interdizione" dal
lavoro (dal primo mese dopo il parto, secondo il dettato della legge
2 luglio 1929 n. 1789, alle otto settimane di cui alla legge n. 860
del 1950, agli attuali tre mesi), dimostra come sia venuto sempre
più emergendo il fine di dare una più ampia tutela ad entrambi gli
interessi protetti, ognuno dei quali è poi così rilevante da
giustificare di per sé solo una disciplina del rapporto di lavoro
che ne assicuri il soddisfacimento.
visualizza testo argomento Questa natura dell'istituto della astensione obbligatoria dal
lavoro nei primi tre mesi dopo il parto, questa sua
aderenza ad un ampio spettro di valori e di interessi, già rilevata
- anche se con contrasti - dalla giurisprudenza
ordinaria antecedente alla legge n. 903 del 1977, ha trovato
nell'art. 6 di quest'ultima piena conferma. Attribuendo alle
lavoratrici che abbiano adottato bambini o che li abbiano ottenuti in
affidamento preadottivo la facoltà di avvalersi
- nei tre mesi successivi all'ingresso nella nuova sua famiglia del
bambino adottivo o affidatario - dell'astensione obbligatoria dal
lavoro e del relativo trattamento economico, la legge n. 903 del 1977
ha infatti chia
ramente confermato che l'istituto dell'astensione dal lavoro è
considerata dal legislatore non solo un presidio della salute della
madre (che infatti in casi di questo genere non viene neppure in
giuoco, mancando l'elemento fondamentale dell'evento del parto), ma
anche un valido mezzo per consentire lo stringersi di rapporti
affettivi indispensabili per lo sviluppo della personalità del
bambino sia nella famiglia naturale che anche in quella adottiva.In altri termini, visualizza testo argomento lo sganciamento dell'astensione dal lavoro dal
fatto materiale del parto si riverbera sulla funzione complessiva
dell'istituto, che viene ormai ad incentrarsi anche (ove
dell'astensione benefici la madre naturale) od esclusivamente (ove si
tratti invece di madre adottiva o affidataria) su quell'interesse di
peculiare pregio costituzionale che, per costante giurisprudenza di
questa Corte (v. da ultimo le sentt. nn. 185 e da 196 a 199 del
1986), è la tutela del minore.
7. - Considerazioni in parte analoghe possono esser fatte anche
per quanto riguarda l'istituto dei cosiddetti "riposi" regolati
dall'art. 10 della legge n. 1204 del 1977.
Anche in questo caso, visualizza testo argomento non può negarsi che il legislatore abbia,
in origine, ideato un beneficio strettamente collegato al fatto
materiale del parto ed agli eventi allo stesso connessi: si pensi a
tal proposito alla lettera dell'art. 9 della l. n. 860 del 1950, che
condizionava con tutta evidenza la concessione del riposo alla
necessità di soddisfare le esigenze dell'allattamento. Il nesso fra
riposi e allattamento, tuttavia, è nettamente rotto dall'art. 10
della l. n. 1204 del 1971, che ormai consente i primi in modo del
tutto indipendente da quest'ultimo.
Ciò è dimostrato anzitutto dalla indifferenza per i ritmi dello
stesso che è implicita nella possibilità di cumulo delle ore di
riposo; e poi, dal fatto che pur ove esista nella azienda una camera
di allattamento o un asilo nido, la donna può decidere di non
usufruirne.
L'eliminazione del collegamento con l'allattamento ha così
modificato la natura e la finalità dell'istituto, il cui scopo è
ora divenuto quello di consentire alla madre di attendere ai compiti
delicati e impegnativi connessi con l'assistenza del bambino nel
primo anno di vita. visualizza testo argomento Ciò risulta chiaramente dalla relazione con cui
la legge è stata presentata alla Camera dei deputati (nella quale si
dice che la norma "si preoccupa di tutelare le esigenze del bambino
là dove garantisce alla lavoratrice madre due periodi di riposo
anche cumulabili, a prescindere dal fatto che la lavoratrice allatti
oppure no il bambino"), ed è stata ribadita dall'art.10 del d.P.R.
25 novembre 1976 n. 1076 (Regolamento di esecuzione della l. n. 1204
del 1971) in cui si afferma che "i riposi di cui all'art.10 devono
assicurare alla lavoratrice la possibilità di provvedere alla
assistenza diretta del bambino".
Ciò, ovviamente, non significa che si sia oggi venuta dissolvendo
ogni attenzione per la condizione della donna nel periodo relativo al
primo anno di vita del bambino: essa, piuttosto, ha acquistato
diversa dimensione e ulteriori contenuti in relazione alle
caratteristiche e al ruolo assunto dall'istituto.
Non appaiono persuasivi, per contrastare questa analisi e per
ricondurre la ratio della agevolazione alle condizioni post partum
della donna, gli argomenti esposti dalla difesa dell'INPS. Non ha
infatti pregio il rilievo che si vorrebbe dare al termine "riposo",
che appare invece evidentemente ereditato da quella che era stata
l'originaria funzione dell'istituto, né conta il fatto che le
indennità giornaliere siano state "fiscalizzate" per evitare
ripercussioni negative sulla occupazione femminile - dato che è pur
sempre la donna ad avvalersi del così detto riposo anche se
soprattutto in funzione delle esigenze e degli interessi del bambino
- né infine la considerazione che gli interessi del minore sarebbero
salvaguardati da altri istituti - in primis della astensione
facoltativa - perché l'istituto del riposo è semmai addirittura
complementare a quello dell'astensione facoltativa, in quanto
consente alla madre di valutare se le esigenze della prole richiedano
una completa sospensione del rapporto di lavoro, ovvero la semplice,
periodica (giornaliera) interruzione dello stesso.
8. - Questo, dunque, è il tessuto normativo nel quale si innesta
l'art. 7 della legge 31 dicembre 1977 n. 903 che ha, come già
ricordato, riconosciuto al lavoratore padre la possibilità di
usufruire - in alternativa alla madre o quando il figlio fosse a lui
solo affidato - della astensione facoltativa dal lavoro per la durata
di sei mesi nel primo anno di vita del bambino.
visualizza testo argomento Questa norma è il risultato - come afferma la relazione al
disegno di legge governativo presentato dal Ministro
del lavoro pro-tempore "dell'orientamento sempre più diffuso secondo
il quale i compiti della donna e dell'uomo
non vanno ripartiti secondo ruoli distinti e separati, ma devono
invece integrarsi reciprocamente tanto nella famiglia quanto nelle
attività extra familiari". Vi si avverte, dunque, il riflesso
dell'affermazione del principio paritario avvenuta con la riforma del
diritto di famiglia (ribadito anche da questa Corte: v. sent. n. 73
del 1985) e dell'indirizzo diretto a modificare la funzione dell'uomo
e della donna nella famiglia, anche al fine di consentire un diverso
equilibrio tra la funzione di madre di quest'ultima ed il suo lavoro
extra-domestico. Si afferma così l'esigenza di una partecipazione di
entrambi i genitori alla cura ed all'educazione della prole: non
viene certo meno la funzione essenziale della madre
nei rapporti con il bambino, ma si riconosce semmai, con notevole
chiarezza, che anche il padre è idoneo a prestare assistenza
materiale e supporto affettivo al minore: visualizza testo argomento sulla scorta, del resto,
delle norme del diritto di famiglia che hanno conferito ad entrambi i
genitori compiti di mantenimento, educazione ed istruzione dei figli
(art. 143 cod. civ.), la pari potestà sugli stessi (art. 316 cod.
civ.), e la titolarità esclusiva di detta potestà di ciascun
genitore, in caso di assenza, incapacità od ulteriore impedimento
dell'altro (art. 317 cod. civ.).
Proprio in ragione di tale presupposto, il legislatore ha esteso
anche al padre lavoratore alcuni dei benefici già riconosciuti alla
madre dalla l. n. 1204 del 1971. Gli altri (l'astensione obbligatoria
ed i riposi), invece, sono rimasti riservati alla madre.
È verosimile, in proposito, che il legislatore abbia ritenuto che
i due istituti, pur in diversa misura, fossero finalizzati e alla
garanzia degli interessi della prole e alla tutela della salute della
madre naturale. Tale presumibile ratio dell'esclusione (già in sé
piuttosto debole nel caso dei riposi giornalieri, che lo stesso
legislatore - come si è già detto - sgancia in larga misura dalle
condizioni personali della donna) non vale più, tuttavia, quando -
come nei casi oggetto dei giudizi nei quali questo della Corte è
incidente - l'assistenza della madre sia resa impossibile a seguito
della morte o del grave impedimento fisico della stessa. In casi di
tal genere, il solo interesse che gli istituti di cui agli artt. 4 e
10 della l. n. 1204 del 1971 possono e debbono mirare a tutelare è
quello del minore, ed è rispetto a questo interesse-guida che
andrebbe disegnato il loro funzionamento. È proprio quell'interesse,
invece, che non viene tenuto in adeguata considerazione dal
legislatore nel momento in cui questi esclude l'estensione anche al
padre dei benefici goduti dalla madre lavoratrice in funzione di
garanzia di un'adeguata assistenza al minore.
Posto infatti che, come si è visto, la astensione dal lavoro nei
primi tre mesi e il diritto al riposo nel primo anno di vita,
riconosciuti dalla legge 1204 a favore della madre, tutelano, in
concorrenza con la salute di questa, anche il bisogno del bambino di
una più intensa presenza della madre per la necessaria assistenza,
non vi è ragione di negare al padre - che proprio in funzione di
tale assistenza può avvalersi della stessa astensione facoltativa il
diritto di avvalersi altresì, in caso di mancanza o grave malattia
della madre, della astensione c.d. obbligatoria nei primi tre mesi, e
dei riposi giornalieri nel primo anno di vita del bambino.
L'attuale dettato normativo, la cui chiara lettera non lascia
dubbi (sì che non potrebbe essere interpretato - come vorrebbe una
delle parti private - in modo estensivo) sulla esclusione proprio di
tale essenziale facoltà, si pone invero in contrasto con numerosi
parametri costituzionali.
Leso resta l'art. 3 Cost. Da un lato, illegittimamente si
discriminano i minori rimasti privi dell'assistenza della madre,
rispetto a tutti gli altri: solo ai primi, infatti, è impedito di
godere pienamente, nel delicato primo periodo di vita,
dell'assistenza almeno dell'unico genitore che è in grado di
prestarla. Dall'altro, pur se limitatamente alla c.d. astensione
obbligatoria dal lavoro, illegittimamente si discriminano i padri
lavoratori rispetto alle madri adottive od affidatarie, in assenza -
come si è visto - di una ragione giustificativa particolare che
possa porsi a sostegno di tale diverso trattamento. Né può
dimenticarsi, infine, per quanto in particolare riguarda i c.d.
riposi, che quantomeno incoerente appare l'esclusione della facoltà
del padre lavoratore di goderne, una volta che allo stesso sia stato
riconosciuto il diritto all'astensione facoltativa, la cui ratio,
almeno in buona parte, coincide con quella dei riposi medesimi.
Ma lesi, soprattutto, restano gli artt. 29, primo comma, 30, primo
comma, 31 e 37, primo comma, Cost., perché la vigente normativa
arreca grave pregiudizio sia al valore della protezione della
famiglia che a quello - centrale e preminente - della tutela del
minore. Il mancato riconoscimento, al padre lavoratore, dei benefici
che, divenuta impossibile l'assistenza della madre, sono condizione e
presupposto essenziale di un adeguato sostegno per il minore,
impedisce invero lo stringersi dei saldi rapporti familiari che sono
voluti dall'art. 29, primo comma, ostacola l'assolvimento dei compiti
di assistenza alla prole che sono affidati alla pari responsabilità
dei genitori dall'art. 30, primo comma; si pone in stridente
contrasto con gli obblighi di agevolare l'assolvimento di tali
compiti e di protezione che sono imposti al pubblico potere dall'art.
31, primo e secondo comma; disconosce la "speciale adeguata
protezione" del minore che è invece a chiare lettere proclamata
dall'art. 37, primo comma. È, in altri termini, proprio il complesso
dei preminenti valori costituzionali che reggono la materia, ad
essere lesi dalla norma de qua, che non tiene in adeguata
considerazione le esigenze della famiglia nella sua interezza, ed in
particolare quelle del soggetto che - in seno ad essa - è bisognoso
della maggior tutela e della più accorta protezione: il minore.
L'art. 7 della l. n. 903 del 1977 deve perciò essere ritenuto
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non ha previsto la
possibilità per il padre lavoratore di avvalersi del diritto ai
riposi di cui all'art. 10 della legge 9 dicembre 1971 n. 1204 e del
diritto di astenersi dal lavoro di cui agli artt. 4 lett. c) della
legge predetta e 6 della legge 31 dicembre 1977 n. 903, ove tali
diritti non possano essere esercitati dalla madre ricorrendo le
situazioni di fatto delle quali era causa nei giudizi principali: sta
a dire, il decesso o la grave infermità della lavoratrice madre, con
conseguente impossibilità di accudire alla prole.
La Corte non può invece prendere in considerazione - in aggiunta
ai casi predetti - impedimenti dovuti "ad altre cause", non meglio
definite, e evocati da alcune ordinanze, e comunque non sono emerse
che in via di mera ipotesi nei giudizi principali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi in epigrafe, dichiara:
a) l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9
dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui non prevede che il diritto
all'astensione dal lavoro e il diritto al godimento dei riposi
giornalieri, riconosciuti alla sola madre lavoratrice,
rispettivamente dagli artt. 6, legge 9 dicembre 1977 n. 903, 4 lett.
c) e 10 della legge 31 dicembre 1971 n. 1204 siano riconosciuti anche
al padre lavoratore ove l'assistenza della madre al minore sia
divenuta impossibile per decesso o grave infermità;
b) inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 4 e 10 delle leggi 30 dicembre 1971 n. 1204, e degli
artt. 6 e 8 della legge 9 dicembre 1977 n. 903, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost. dal Tribunale di Milano
con ordinanza emessa il 29 maggio 1980 (iscritta al n. 721 r.o.
1980), dal Pretore di Milano, con ordinanza emessa il 19 ottobre 1983
(iscritta al n. 151 r.o. 1984) e anche in riferimento all'art. 37
Cost. dal Pretore di Latina, con ordinanza emessa il 17 gennaio 1985
(iscritta al n. 549 r.o. 1985);
c) inammissibile la questione di legittimità costituzionale
della intera legge 7 dicembre 1977 n. 903 sollevata in riferimento
agli artt. 29, 30, 31 e 37 Cost. dal Pretore di Bologna con ordinanza
emessa il 19 marzo 1981 (iscritta al n. 676 r.o. 1981).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1987.

Il Presidente: LA PERGOLA
Il redattore: SPAGNOLI
Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE

 
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