Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0007 del 1987 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: codice penale art.589:
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
-Argomento ab absurdo (argomento apagogico)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza strumentale

N. 7
SENTENZA 14-19 GENNAIO 1987

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: prof. Antonio LA PERGOLA;
Giudici: prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giuseppe FERRARI, dott.
Francesco SAJA, prof. Giovanni CONSO, prof. Aldo CORASANITI, prof.
Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele
PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA,
prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 589 del codice
penale promossi con tre ordinanze emesse il 7 febbraio e il 7 marzo
1985 dal Tribunale di Frosinone nei procedimenti penali a carico di
Ottaviano Rocco, Santi Umberto e Mastrogiacomo Nazzarena iscritte al
n. 316 del registro ordinanze 1985 e ai nn. 160 e 161 del registro
ordinanze 1986 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 226-bis dell'anno 1985 e n. 30, 1 serie speciale, dell'anno 1986;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio dell'8 ottobre 1986 il giudice
relatore Ugo Spagnoli;

Ritenuto in fatto

Con tre distinte ordinanze, emesse rispettivamente il 7 febbraio
1985 (n. 316 r.o. 1985) ed il 7 marzo 1985 (nn. 160 e 161 r.o.1986),
il Tribunale di Frosinone ha sollevato innanzi a questa Corte
questione di legittimità costituzionale dell'art. 589 c.p., in
riferimento al "combinato disposto" degli artt. 3, 29 e 30 della
Costituzione.
Parere del giudice rimettente, irragionevolmente il legislatore
avrebbe previsto un eguale trattamento - sia sotto il profilo della
pena, sia sotto quello della procedibilità ex officio - per
l'omicidio colposo "fra congiunti" (così l'ordinanza n. 161/1986)
ovvero "fra stretti congiunti" (così le ordd. nn. 316/1985 e
160/1986), e per quello "commesso in danno di estranei".
In tutte le predette ordinanze, il giudice a quo rileva, che:
a) il delitto colposo costituirebbe, nel nostro ordinamento, una
"figura eccezionale", e risulterebbe sempre punito in misura più
lieve della (eventualmente) corrispondente figura criminosa dolosa;
b) l'art. 3 della Costituzione farebbe divieto, oltre che di
trattare in modo diseguale situazioni eguali, anche di trattare in
modo eguale situazioni diverse;
c) gli artt. 29 e 30 della Costituzione, che riconoscono la
famiglia come società naturale fondata sul matrimonio,
implicherebbero, tra i soggetti che della famiglia fanno parte,
"tutela e protezione che non può non essere diversa da quella di un
cittadino nei confronti di un estraneo";
d) l'art. 590 c.p., "salvo una limitata eccezione", prevederebbe
sempre la punibilità a querela di parte dei reati ivi previsti, e
non potrebbe dimenticarsi che "le conseguenze di una lesione
gravissima possono essere anche peggiori dell'evento letale";
e) lo stesso art. 649 c.p. distinguerebbe (pur - precisa la sola
ord. n. 161/86 - "con la limitazione del requisito della convivenza")
fra estranei e congiunti "ai fini della punibilità" dei reati contro
il patrimonio, alcuni dei quali, per di più, sanzionati con pene ben
più gravi di quelle comminate per l'omicidio colposo (e non potrebbe
"disconoscersi che un sintomo della gravità del reato è anche dato
dalla misura della pena").
Nella prima di dette ordinanze, dopo aver così motivato in punto
di non manifesta infondatezza, si osserva: "le considerazioni esposte
rendono non manifestamente infondata la questione relativa al
trattamento identico... tra l'omicidio colposo fra stretti congiunti,
nel caso di specie marito e moglie, e quello commesso in danno di
estranei...". Tale succinta descrizione dei fatti di causa, non è
seguita da motivazione espressa in punto di rilevanza.
Nelle altre due ordinanze sono contenuti, quanto alla descrizione
dei fatti di causa, passaggi identici a quello già testualmente
riportato, con la sola differenza che l'inciso "nel caso di specie
marito e moglie" è sostituito, quanto all'ord. n. 160/1986,
dall'inciso "nel caso di specie figlio (imputato) e madre
(deceduta)"; e quanto all'ord. n. 161/1986, dall'inciso "nella specie
zia e nipote ex sorore".
In punto di rilevanza, nell'ord. n. 160/1986 si osserva che "la
questione prospettata è rilevante, perché dalle prove acquisite si
potrebbe pervenire ad una sentenza di condanna o, nella migliore
delle ipotesi, ad una assoluzione con formula dubitativa".
Considerazioni identiche, salve marginali diversità formali, sono
rinvenibili nell'ord. n. 161/1986.
Nel giudizio introdotto con la prima delle menzionate ordinanze ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio, il quale,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, reclama una
declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di infondatezza
della questione in oggetto.
A giudizio dell'Avvocatura dello Stato la questione de qua sarebbe
inammissibile per carenza assoluta di
motivazione sulla rilevanza ed insufficienza della descrizione della
fattispecie concreta oggetto del giudizio principale.
Risulterebbe, poi, comunque infondata perché la tutela della
famiglia non richiederebbe certo un minor rigore del trattamento del
reato di omicidio colposo commesso in danno di congiunti rispetto a
quello del reato commesso in danno di estranei. Al contrario,
l'attuale sistema penale risulterebbe ispirato all'opposto principio
dell'inasprimento delle pene nei casi di reati "consumati in danno di
familiari" (vengono citati gli artt. 576, 577 e 583 c.p.), né
potrebbe indurre a rompere tale principio la natura - colpa,
anziché dolo - dell'elemento psicologico del reato di cui alla
norma impugnata. L'impostazione accolta dal giudice a quo, infine,
porterebbe all'assurda conseguenza che, venendo meno nel caso di
omicidio colposo la persona offesa dal reato (sola titolare, ex art.
120 c.p., del diritto di querela), si "renderebbe praticamente
inoperante ogni seguito penale alla vicenda".

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze di rimessione del Tribunale di Frosinone
iscritte ai nn. 316 r.o. 1985, 160 e 161 r.o. 1986, propongono
questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche. I
tre giudizi possono perciò essere riuniti e decisi con unica
sentenza.
2. - Il giudice rimettente dubita che l'art. 589 c.p., che prevede
e punisce il reato di omicidio colposo, sia costituzionalmente
illegittimo, in riferimento al combinato disposto degli artt. 3, 29 e
30 Cost. Ciò in quanto irragionevolmente, nella norma risultante dal
predetto articolo, sarebbe previsto un eguale trattamento - sia sotto
il profilo della pena che sotto quello dell'impulso processuale
richiesto per l'azione penale - per l'omicidio colposo in danno di
congiunti (così l'ordinanza n. 161/1986) o di stretti congiunti
(così le ordinanze 316/85 e 160/86) e per quello commesso in danno
di estranei. Così facendo il legislatore avrebbe violato l'art. 3
Cost., trattando in modo eguale situazioni diseguali, ed avrebbe
altresì inciso sugli artt. 29 e 30 Cost., che - specie per effetto
del riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio - richiederebbero una tutela e una protezione nei
confronti degli atti illeciti commessi da congiunti che non potrebbe
non essere diversa da quella che va assicurata ad ogni cittadino nei
confronti degli atti illeciti commessi da un estraneo. Il giudice
rimettente, a sostegno del dubbio di legittimità costituzionale
così sollevato, ricorda che il codice penale già prevede, all'art.
649 c.p., un diverso trattamento per i reati contro il patrimonio
(alcuni dei quali puniti in misura più grave di quanto non sia
l'omicidio colposo) allorché essi siano stati commessi nei confronti
di congiunti; e fa riferimento alla perseguibilità a querela
prevista, dall'art. 590 dello stesso c.p., per il reato di lesioni
colpose, che a giudizio del Tribunale rimettente potrebbe produrre
conseguenze anche più gravi dell'evento letale.
3. - Nella descrizione dei fatti oggetto dei giudizi principali,
il Tribunale di Frosinone si limita a segnalare - nell'ambito di un
inciso facente parte di un periodo più ampio - che vittima e autori
degli stessi erano stati - nei casi di specie - "marito e moglie",
"figlio (imputato) e madre (deceduta)", "zia e nipote ex sorore".
Apodittica, se non assente, parrebbe altresì la motivazione della
rilevanza. Di qui l'eccezione, sollevata dalla Avvocatura dello
Stato, di inammissibilità della questione de qua per carenza
assoluta di motivazione ed insufficienza della descrizione della
fattispecie concreta oggetto del giudizio principale. Tale eccezione
va peraltro respinta, in quanto nel caso di specie (v. anche la sent.
di questa Corte n. 46 del 1970) è possibile ritenere sufficiente, ai
fini dell'accertamento della sussistenza del requisito della
rilevanza, che dalle ordinanze risulti il fatto dell'avvenuta
sottoposizione a giudizio per il reato in ordine al quale la
questione è stata sollevata e che dai dati attinenti alla
fattispecie (qui, omicidio colposo nei confronti di congiunti) si
desuma in concreto l'influenza che nel giudizio principale
discenderebbe dalla risoluzione della dedotta questione di
legittimità costituzionale.
4. - Nel merito, la questione è infondata.
È opportuno esaminare separatamente, nonostante la identica
ispirazione, i due profili sui quali si impernia il dubbio del
giudice rimettente. visualizza testo argomento Per quanto anzitutto riguarda la censura relativa
alla mancata previsione - nell'ambito della generale disciplina del
reato di omicidio colposo - d'una diversa e meno grave sanzione per
il reato commesso nei confronti di congiunti rispetto a quello
commesso nei confronti di estranei, va richiamata la costante
giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in materia di
configurazione di fattispecie criminose, spetta al legislatore
apprezzare discrezionalmente parità o disparità di situazioni, sì
che solo la manifesta irragionevolezza di tale apprezzamento può
essere dal giudice costituzionale censurata in sede di controllo di
legittimità (da ultimo, sent. n.171 del 1986).
Nella specie non è ravvisabile alcuna irragionevolezza nella
scelta del legislatore di non prevedere né una diversa pena edittale
né una speciale attenuante nel caso di omicidio colposo in danno
d'un congiunto.
La norma che punisce "chiunque cagiona per colpa la morte di una
persona" tutela il bene supremo della vita umana. La protezione
giuridica predisposta dalla norma impugnata specificamente nei
confronti di comportamenti qualificati come colposi, trova la sua
ragione nei diffusi rischi cui la vita della persona è esposta a
causa di detti comportamenti, che tuttora determinano - nonostante il
ricorso a varie forme e strumenti di prevenzione - un numero
elevatissimo di vittime. visualizza testo argomento Il particolare valore del bene protetto
comporta quindi l'esigenza di una tutela assoluta, che non può
tenere in alcuna considerazione - ai fini del trattamento
sanzionatorio - l'eventuale rapporto di parentela, di coniugio o di
affinità tra l'autore e la vittima del reato.
Va poi rilevato che l'ordinamento protegge la vita umana non solo
nell'interesse della persona ma anche in quello della collettività e
delle formazioni sociali - come la famiglia - in cui l'uomo opera e
svolge la sua personalità. La tutela della famiglia si realizza - in
primo luogo - nella salvaguardia della vita dei suoi componenti,
anche in considerazione dell'interesse generale all'adempimento dei
doveri ed all'assolvimento dei compiti e delle funzioni che essi sono
chiamati, dalla stessa Costituzione, a svolgere. Proprio tale tutela,
allora, richiede che non vi sia affatto minor rigore, o siano
previste più lievi sanzioni, allorché il bene della vita di uno dei
membri della famiglia sia leso da atti, pur meramente colposi,
commessi da un altro componente della stessa. visualizza testo argomento Del resto, nei reati
dolosi contro la persona (l'omicidio e le lesioni) le pene sono
addirittura inasprite ove essi siano commessi in danno di un
familiare. E se la diversità dell'elemento psicologico del reato -
colpa anziché dolo - giustifica che l'inasprimento della pena non si
preveda nel caso di reati colposi, è allo stesso tempo perfettamente
razionale che per questi non si sia avuta una radicale inversione di
scelta, tale da portare all'attenuazione della pena. Il minore rigore
della sanzione non potrebbe infatti non assumere il significato di
una affievolita considerazione dei rischi che discendono per la vita
dei familiari da comportamenti negligenti o imprudenti o in generale
colposi, rischi che invece sono particolarmente preoccupanti in
ragione delle occasioni e di situazioni - connesse alla vita
familiare - da cui possono derivare. I rapporti esistenti con la
persona colpita e le conseguenze molteplici - soprattutto affettive -
che da un reato colposo commesso nei confronti di un congiunto
possono derivare, non giustificano affatto, a livello di previsione
edittale, quella minor protezione del bene della vita che si avrebbe
con l'indebolita previsione derivante da un affievolito trattamento
sanzionatorio degli atti che lo ledono. Tanto più, va ricordato, che
il giudice chiamato alla valutazione di tali atti, ben potrà tener
conto dell'esistenza di un rapporto di parentela fra vittima e reo in
sede di applicazione della pena, che potrà essere opportunamente
graduata entro i generali limiti edittali.
5. - Le considerazioni ora formulate per quanto riguarda l'entità
della pena valgono altresì a dimostrare l'infondatezza dell'altro
dubbio espresso nella ordinanza di rimessione, che vorrebbe violati
il principio di eguaglianza e le norme costituzionali poste a tutela
della famiglia, in ragione della mancata previsione della
procedibilità a querela del reato di omicidio colposo nel caso in
cui questo sia stato commesso nei confronti di un congiunto. Invero,
visualizza testo argomento la perseguibilità di un reato a querela - che costituisce nel nostro
ordinamento una deroga al principio della obbligatorietà dell'azione
penale - risponde in genere ad un criterio di politica criminale, per
il quale il legislatore - per esigenze diverse, spesso, pur se non
necessariamente, connesse alla minor gravità degli illeciti (v.
sent. n. 216 del 1974) - subordina l'interesse generale alla
persecuzione degli illeciti penali alle determinazioni delle parti
private offese, in relazione all'eventuale interesse allo svolgimento
dell'azione penale. Trattasi di scelta discrezionale, insindacabile
dal giudice costituzionale ove non sia affetta da manifesta
irrazionalità (sent. n. 46 del 1970).Per valutare le scelte del legislatore, è opportuno anzitutto
rilevare che questi, con la legge 24 novembre 1981 n. 689, ha
ampliato sensibilmente l'arco dei reati la cui persecuzione viene
rimessa all'impulso di parte, anche in ragione dell'esigenza di
diminuire l'incidenza dei processi per taluni reati meno gravi sul
complessivo, già intollerabile carico della giustizia penale.
Nell'ambito di questa rilevante riforma, nella quale è stata
subordinata alla querela di parte - con significative eccezioni - la
procedibilità per i reati di lesione colposa, è stata ritenuta
intangibile la procedibilità d'ufficio per il reato di omicidio
colposo - da chiunque commesso - in considerazione della rilevanza
del bene offeso dal reato: bene che possiede un valore che per la
persona è assoluto e comunque certamente superiore a quello della
stessa integrità fisica, quale che sia la gravità delle conseguenze
che dalla lesione di questa possono derivare.
La scelta dal legislatore espressa nell'art. 589 c.p., e mantenuta
ferma nella l. n. 689 del 1981, è dunque tutt'altro che irrazionale.
visualizza testo argomento Si consideri del resto che la sottoposizione a querela della
procedibilità del reato di omicidio colposo commesso in danno di
congiunti si tradurrebbe in una - inammissibile - sostanziale
immunità per gli autori di tale reato: infatti il decesso del
titolare del diritto di querela (che ha natura personalissima ed è
intrasmissibile agli eredi salvi i pochi casi espressamente previsti
dalla legge) renderebbe, nella generalità dei casi, non esercitabile
tale diritto e quindi imperseguibile il reato.Né, a favore della necessaria procedibilità a querela del reato
di omicidio colposo in danno di congiunti, potrebbe invocarsi l'art.
649 c.p., che prevede la non punibilità o la perseguibilità a
querela di taluni reati contro il patrimonio - alcuni dei quali
puniti più gravemente dell'omicidio colposo - commessi in danno di
congiunti. La diversità dei beni tutelati e la indiscutibile
preminenza del valore del bene della vita legittimano infatti la
diversa disciplina dettata dalle norme sull'omicidio colposo rispetto
a quella prevista da norme che tutelano altri interessi. D'altro
canto, la particolare disciplina stabilita per buona parte dei reati
contro il patrimonio commessi in danno di congiunti discende secondo
la relazione al codice penale - dalla considerazione per cui essi non
desterebbero allarme sociale e non assumerebbero aspetti di
pericolosità tali da giustificare l'incriminazione, mentre, secondo
altre opinioni, il trattamento di favore sarebbe suggerito
dall'esigenza di proteggere l'onore della famiglia: e certamente
nessuna di queste considerazioni può valere per reati che - sia pur
colposi - colpiscono la vita delle persone.
Va infine rigettato l'argomento secondo il quale la
perseguibilità a querela del reato di omicidio colposo di un
congiunto sarebbe strumento più idoneo a tutelare l'unità della
famiglia e l'autonomia discendente dal suo riconoscimento - ex art.
29 Cost. - quale società naturale.
Anzitutto, tale argomento presupporrebbe il superamento della
critica avanzata in precedenza, secondo la quale la previsione della
perseguibilità a querela condurrebbe ad una sostanziale impunità
degli autori del reato di omicidio colposo in danno di congiunti.
Esso, comunque, è intrinsecamente inconsistente.
Da un lato, infatti, la previsione della perseguibilità a querela
aggraverebbe, anziché lenire, le tensioni all'interno dell'ambiente
familiare susseguenti all'evento letale: la scelta di proporre o meno
querela porrebbe l'eventuale titolare del relativo diritto di fronte
ad una alternativa drammatica, ed ancor più drammatica sarebbe la
potenziale compromissione della unità della famiglia una volta che
si fosse optato per la soluzione affermativa.
Dall'altro, l'interesse alla protezione dell'unità della famiglia
non può comunque essere considerato tanto centrale ed assorbente da
consentire il sacrificio del confliggente interesse dello Stato a
perseguire e punire atti gravemente lesivi della civile convivenza
(v. ancora la sent. n. 46 del 1970), quali sono senza dubbio
soprattutto quelli che arrecano danno ad un bene di primaria
importanza quale il bene della vita (da ultimo, sent. n. 132 del
1985).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 589 c.p., sollevata in riferimento agli artt. 3, 29 e 30
della Costituzione dal Tribunale di Frosinone con le ordinanze
indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1987.

Il Presidente: LA PERGOLA
Il redattore: SPAGNOLI
Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE

 
© 2006-2024 - Dipartimento Scienze Giuridiche - Università di Torino - Periodico registrato presso il Tribunale di Torino