Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0523 del 1987 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: codice penale art.523 comma 2:
-Argomento sistematico: a) della sedes materiae (argomento topografico)
-Argomento psicologico (ricorso alla volontà del legislatore concreto)
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.29 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza strumentale
Pronuncia: Pronuncia di inammissibilità per discrezionalità del legislatore
Disposizione oggetto: codice penale art.523:
-Riferimento alla discrezionalità del legislatore (spazio impregiudicato dalla norma parametro)

N. 523
SENTENZA 26 NOVEMBRE-17 DICEMBRE 1987

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 523, secondo
comma, cod. pen (ratto a fine di libidine), 605 (sequestro di
persona), 542, secondo (rectius: terzo) comma, n. 2 (procedibilità
d'ufficio per reati contro la libertà sessuale), cod. pen.; promossi
con ordinanze emesse il 16 giugno 1986 dalla Corte d'appello di
Salerno nel procedimento penale a
carico di Rinaldi Pasquale ed altri, iscritta al n. 671 del registro
ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 56/prima serie speciale dell'anno 1986, e l'8 luglio 1986 al
Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Polidori
Ulisse ed altro, iscritta al n. 713 del registro ordinanze 1986 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 58, prima
serie speciale dell'anno 1986;
Udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1987 il Giudice
relatore Francesco Saja;
Udito l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio per reati contro la libertà
sessuale la Corte d'appello di Salerno, con ordinanza emessa il 16
giugno 1986, sollevava questione di legittimità costituzionale
dell'art. 523, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede
un aumento di pena per il ratto a fine di libidine se il fatto è
commesso a danno di donna coniugata: e ciò per ritenuto contrasto
con gli artt. 2, 3, 27 e 29 della Costituzione.
Secondo il giudice a quo l'aggravante in questione sottenderebbe
come bene protetto la potestas maritalis, in quanto la norma
proteggerebbe la donna coniugata in relazione ai doveri di fedeltà
verso il marito.
La norma stessa, inoltre, non terrebbe conto del maggiore
disvalore che dal fatto può derivare alla donna non coniugata;
risentirebbe di una concezione superata ed incostituzionale della
famiglia, e del rapporto di coniugio in particolare; darebbe
importanza ad una qualità anche quando ad essa non corrisponda alcun
contenuto sostanziale; trascurerebbe i rapporti di fatto e
consentirebbe, infine, che il dovere di fedeltà sia attentato oltre
che dalla moglie anche dal terzo, senza dare rilievo alla
consapevolezza da parte dell'agente dello stato di donna coniugata
del soggetto passivo.
2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri nella
causa n. 671/86 per chiedere che la Corte dichiari la questione non
fondata, ovvero inammissibile perché argomentata su fatti estranei
al caso di specie, o coinvolgenti scelte discrezionali di esclusiva
competenza del legislatore.
Nega, comunque, l'Avvocatura che la ratio dell'aggravamento sia
quella indicata dall'ordinanza, essendo invece da ravvisare
nell'intento del legislatore di dare rilievo al maggior danno inferto
dal fatto ai diritti della famiglia, e particolarmente all'unità
familiare tutelata dal secondo comma dell'art. 29 Cost.
3. - Con ordinanza emessa l'8 luglio 1986 il Tribunale di Milano
sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 523,
605, 542, secondo (rectius terzo) comma, n. 2 del codice penale, per
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sul rilievo che il
complesso di tali articoli determinerebbe una disparità di
trattamento fra il caso in cui la persona offesa dal delitto di
violenza carnale, con apprezzabile ed autonoma restrizione della
libertà personale, sia un uomo maggiorenne e il caso in cui la
persona offesa dagli stessi fatti sia una donna o un minore.
Secondo il Tribunale, la disparità sarebbe integrata dalla pena
più tenue comminata per l'ipotesi di ratto a fine di libidine (art.
523 cod. pen.), dove soggetti passivi possono essere soltanto un
minore o una donna maggiorenne, rispetto a quella prevista per il
sequestro di persona, e dalla situazione di procedibilità, che nel
primo caso è subordinata alla querela dell'offeso. Disparità che,
in tale ipotesi, s'aggrava quando venga compiuto anche il reato che
è nella finalità del ratto, il quale reato - fine pure resta non
perseguibile se non è sporta querela: mentre, nell'ipotesi dell'uomo
soggetto passivo, la perseguibilità ex officio del delitto di
sequestro di persona e la sua stretta connessione con quello sessuale
successivamente commesso, attiva la procedibilità per quest'ultimo
anche se la querela non viene sporta (art. 542, terzo comma, n. 2
cod. pen.).
La rilevanza è, secondo il collegio rimettente, nello stesso
fatto oggetto del giudizio penale, dovendosi giudicare due agenti di
polizia che avevano usato o tentato violenza carnale su di un
maggiorenne.
Nessuno si è costituito dinanzi alla Corte costituzionale.

Considerato in diritto

1. - La questione sollevata dal Tribunale di Milano ha natura
diversa da quella formulata dalla Corte di appello di Salerno;
tuttavia, poiché le impugnazioni delle due magistrature hanno in
comune la norma di cui all'art. 523 cod. pen., gli incidenti possono
essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. - La questione sollevata dalla Corte d'appello di Salerno è
infondata.
visualizza testo argomento Non è esatto, invero, che l'aggravante di cui al secondo comma
dell'art. 523 cod. pen. sottenderebbe come bene protetto,
relativamente al ratto di donna coniugata, la potestas maritalis, in
quanto proteggerebbe il dovere di fedeltà nei confronti del marito.
Nei lavori preparatori non esiste alcun accenno a siffatto bene
giuridico, né è possibile desumere la relativa tutela dal sistema
legislativo, visto che visualizza testo argomento la fattispecie è inserita nel capo
concernente i delitti contro la libertà sessuale. Anche a fare
riferimento ad una plurioffensività impropria, che spesso ricorre
nel codice, è semmai all'istituto della famiglia nel suo complesso
che può essere data considerazione, non certo a un "dovere di
fedeltà nei confronti del marito". Il concetto di "infedeltà",
infatti, nell'ambito matrimoniale, postula una volontaria violazione
dei doveri assunti dai coniugi all'atto del matrimonio e non è certo
riferibile ad ipotesi di costrizione della volontà.
Peraltro, anche la turbatio sanguinis, che potrebbe venire in
considerazione, va riferita all'istituto della filiazione legittima
oltre che all'interesse del marito. In realtà, in una lettura
attuale e adeguata ai principi costituzionali, l'aggravante in parola
non viola l'art. 3 Cost. perché il trattamento diverso trova
fondamento razionale nel particolare disvalore della violazione.
D'altro canto, essa non è nemmeno in contrasto con gli artt. 2 e
29, ché, anzi, ritrova in questi la sua più pregnante
giustificazione.
visualizza testo argomento Non può essere dubbio infatti che il ratto a fine di libidine di
donna coniugata, nell'ambito di quella plurioffensività impropria di
cui sopra si diceva, attenta anche, sotto altro profilo, alla
famiglia e alla sua unità, oltre alla libertà sessuale della donna
rapita. visualizza testo argomento Tant'è vero che una particolare attenuante è dalla legge
concessa per il colpevole che, prima della condanna, e senza aver
commesso alcun atto di libidine in danno della persona rapita, la
restituisce spontaneamente in libertà, "riconducendola alla casa
donde la tolse o a quella della famiglia di lei, o collocandola in un
altro luogo sicuro, a disposizione della famiglia stessa" (art. 525
cod.pen.). Dove è evidente come la norma concerna pure l'interesse
proprio della famiglia.
Quanto, poi, alla censura secondo cui non si darebbe alcun rilievo
alla consapevolezza da parte dell'agente dello stato di donna
coniugata del soggetto passivo, va rilevato che non si tratta di
singolarità propria del secondo comma dell'art. 523 cod. pen.
L'imputazione delle aggravanti a titolo di responsabilità obiettiva
dipende dalla disposizione generale di cui all'art. 59, primo comma,
cod. pen., peraltro in relazione al principio di cui al terzo comma
dell'art. 42 cod. pen.: norme che non sono state impugnate. Né,
d'altra parte, si deduce nell'ordinanza che, nella specie, l'agente
ignorasse lo stato di donna coniugata della rapita.
3. - La questione sollevata dal Tribunale di Milano, con cui in
effetti si contesta la vigente regolamentazione normativa del
sequestro di persona e se ne pretenderebbe una modificazione, è
inammissibile.
visualizza testo argomento La disciplina che il legislatore ha dato al sequestro di persona
non ha nulla d'irrazionale, in quanto si tratta di una scelta di
politica criminale che il medesimo ha effettuato avvalendosi di
poteri discrezionali non censurabili in questa sede.D'altra parte va rilevato che, mentre non regge chiaramente, per
l'evidente eterogeneità delle situazioni, la dedotta analogia col
ratto di donna o di minore a fine di libidine, anche il petitum in
sé considerato dimostra l'impossibilità di decidere la questione
nel merito, pretendendosi dall'ordinanza di rimessione che la Corte
dichiari punibile a querela dell'offeso anche il sequestro di persona
e diminuisca le pene fissate dal codice: il che esula chiaramente
dalle funzioni della Corte stessa, trattandosi di materia riservata
al potere legislativo, sicché la questione, anche sotto tale angolo
visuale, risulta inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 523, secondo comma, cod. pen., sollevata
dalla Corte d'appello di Salerno, con ordinanza 16 giugno 1986 (n.
671/86 reg.ord.), in riferimento agli artt. 2, 3, 27 e 29 Cost.;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 523, 605 e 542 cod. pen., sollevata dal
Tribunale di Milano con ordinanza 8 luglio 1986 (n. 713/86 reg.
ord.), in riferimento all'art. 3 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1987.

Il Presidente: SAJA
Il Redattore: SAJA
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1987.
Il direttore della cancelleria: MINELLI

 
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