Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0341 del 1991 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia additiva di regola
Disposizione oggetto: legge 903/1977 art.7 comma 1:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.31 comma 2:
-Riferimento a riforme legislative in corso
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.29 comma 2:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)

N. 341
SENTENZA 11-15 LUGLIO 1991

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: prof. Ettore GALLO;
Giudici: dott. Aldo CORASANITI, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9
dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in
materia di lavoro), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1990
dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Sabatino
Mario e S.p.A. Baxter ed altro, iscritta al n. 224 del registro
ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visti gli atti di costituzione di Sabatino Mario e dell'I.N.P.S.;
Udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 1991 il Giudice relatore
Ugo Spagnoli;
Udito l'Avvocato Vito Lipari per l'I.N.P.S.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento civile - nel quale Mario Sabatino
aveva chiesto, nei confronti dell'I.N.P.S. e della S.p.a. Baxter, sua
datrice di lavoro, il riconoscimento del diritto all'astensione dal
lavoro previsto dall'art. 4, lettera c), della legge 30 dicembre
1971, n. 1204, con condanna dell'I.N.P.S. a corrispondergli le relative provvidenze economiche, deducendo, a tal fine, che a lui e a sua
moglie, anch'essa lavoratrice dipendente, il Tribunale per i
minorenni di Firenze aveva affidato in via provvisoria un minore in
stato di abbandono ai sensi dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983,
n. 184 e che lui e sua moglie, di comune accordo, avevano ritenuto
necessario ed opportuno, per il migliore inserimento del bambino loro
affidato (affetto da ritardo psicomotorio), che fosse il marito,
anziché la moglie, ad usufruire dell'astensione dal lavoro prevista
dalla norma già citata - il Pretore di Firenze, quale giudice del
lavoro, con ordinanza del 4 dicembre 1990 (r.o. n. 224/91), ha
sollevato, con riferimento agli artt. 3, 29, primo e secondo comma,
30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977,
n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro, nella parte in cui non consente al lavoratore, affidatario in
via provvisoria di un minore ai sensi dell'art. 10 della legge 4
maggio 1983, n. 184, di fruire dell'astensione dal lavoro durante i
primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella
famiglia affidataria, qualora la moglie, anch'essa lavoratrice, vi
abbia rinunciato d'accordo con lui.
Il giudice a quo richiama la sentenza n. 1 del 1987 di questa
Corte, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale
del medesimo art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, nella parte
in cui non prevede che il diritto all'astensione dal lavoro e il
diritto al godimento dei riposi giornalieri, riconosciuti alla sola
madre lavoratrice, rispettivamente dagli artt. 6 della legge 9
dicembre 1977, n. 903, 4, lettera c) e 10 della legge 30 dicembre
1971, n. 1204 vengano riconosciuti anche al padre lavoratore, nei
casi in cui l'assistenza della madre al minore sia divenuta
impossibile per decesso o grave infermità. Alla luce della
motivazione di tale pronunzia, il Pretore di Firenze ritiene che
riservare alla sola donna lavoratrice il diritto all'astensione dal
lavoro per i tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino
nella famiglia affidataria, senza prevedere la facoltà dei coniugi,
entrambi lavoratori, di accordarsi affinché sia il marito a fruire
di tale diritto, non può essere giustificato dalle specifiche
esigenze di tutela della salute della donna connesse al parto e si
pone, quindi, in contrasto con le norme costituzionali sopra
richiamate ed in particolare con il principio dell'uguaglianza morale
e giuridica dei coniugi stabilito dall'art. 29, secondo comma, della
Costituzione, attuando una ingiustificata disparità di trattamento
del marito rispetto alla moglie in rapporto al di lui diritto e
interesse ad una libera ed integrale partecipazione alla prima e più
delicata fase d'inserimento del minore. Ne conseguirebbe anche una
possibile diminuzione delle garanzie del minore stesso rispetto
all'apporto dell'affidatario.
Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti Mario
Sabatino e l'I.N.P.S.
Il primo sulla base di una approfondita illustrazione delle
ragioni enunciate nell'ordinanza di rimessione, con particolare
riguardo alle affermazioni contenute nella citata sentenza n. 1 del
1987 di questa Corte circa la funzione complessiva dell'istituto in
discussione, ha chiesto che della norma impugnata fosse dichiarata
l'illegittimità costituzionale nei termini prospettati dal Pretore.
L'istituto ha invece sostenuto l'infondatezza della questione
perché "l'esperienza quotidiana dimostra incontestabilmente che, nel
primo periodo di vita del figlio o, trattandosi di bambino ottenuto
in affidamento provvisorio o preadottivo, nel primo periodo del suo
ingresso in famiglia, la persona più idonea e qualificata per
accudirlo e guidarlo nella delicata fase dello sviluppo psicofisico o
dell'adattamento al nuovo ambiente familiare, è la madre: non
certamente il padre".
Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Firenze ha sollevato questione di
costituzionalità dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903,
nella parte in cui non consente al padre lavoratore, affidatario del
minore ai sensi dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184
insieme alla madre lavoratrice, l'astensione dal lavoro durante i
primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella
famiglia affidataria, qualora la moglie, in accordo col coniuge, vi
abbia rinunziato: e ciò per violazione degli artt. 3, 29, primo e
secondo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione.
Ritiene il giudice a quo, anche sulla scorta della giurisprudenza
di questa Corte (sentenza n. 1 del 1987), che riservare alla sola
donna lavoratrice il diritto all'astensione dal lavoro per i primi
tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia
affidataria, senza prevedere la facoltà dei coniugi, entrambi
lavoratori, di accordarsi affinché sia il marito a fruire di tale
diritto, non può essere giustificato dalle specifiche esigenze di
tutela della salute della donna durante il parto. La norma pertanto
si pone in contrasto con le disposizioni costituzionali sopra
richiamate ed in particolare con il principio di uguaglianza morale e
giuridica dei coniugi, in quanto attua una ingiustificata disparità
di trattamento del marito rispetto alla moglie in rapporto al di lui
diritto ed interesse alla partecipazione alla prima e più delicata
fase di inserimento del minore nella famiglia.
2. - La questione è fondata.
È noto che la legge n. 903 del 1977, sulla parità di trattamento
tra uomini e donne in materia di lavoro ha investito, estendendone la
portata, alcuni degli istituti previsti dalla legge n. 1204 del 30
dicembre 1971, a tutela delle lavoratrici madri.
L'art. 6 estende alle lavoratrici che abbiano adottato bambini o
li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo (oggi disciplinato
dagli artt. 22 e seguenti della legge 4 maggio 1983, n. 184) istituti
in precedenza riservati solo alla madre naturale, e precisamente:
a) l'astensione obbligatoria dal lavoro, prevista dall'art. 4,
lettera c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, durante i primi tre
mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia
adottiva o affidataria, sempreché il bambino non abbia superato i
sei anni di età;
b) il diritto di astenersi successivamente dal lavoro, in
conformità a quanto previsto dal primo e secondo comma dell'art. 7
della citata legge 1204, sia per un periodo di sei mesi entro il
primo anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia, sia
durante le malattie del bambino, sempreché, in entrambi i casi, il
medesimo non abbia superato i tre anni di età.
Con l'art. 7 della medesima legge n. 903 del 1977, l'astensione
facoltativa dal lavoro e il diritto di ottenere permessi in caso di
malattia del bambino, sono stati riconosciuti anche al padre
lavoratore, pur se adottivo o affidatario, in alternativa alla madre
lavoratrice, ovvero in esclusiva quando i figli siano affidati al
solo padre. È, questa, la prima disposizione di legge con la quale
il padre viene concretamente chiamato e messo in grado di esercitare
il suo diritto-dovere di partecipazione paritaria alla cura e
all'assistenza del figlio naturale, dell' adottato o dell'affidato.
L'art. 80 della successiva legge 4 maggio 1983, n. 184 ha poi
riconosciuto l'applicabilità dei suddetti artt. 6 e 7 della legge
903 del 1977 anche alle ipotesi di affidamento provvisorio.
Infine, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha già
esteso le condizioni per la partecipazione del padre anche al primo
periodo di vita del bambino riconoscendogli, nei casi di filiazione
naturale, il diritto all'astensione obbligatoria (oltreché ai riposi
di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971), allorquando
l'assistenza al minore da parte della madre sia divenuta impossibile
per decesso o per grave malattia. Nella sentenza n. 1 del 1987 la
Corte ha infatti affermato che l'istituto della astensione
obbligatoria dal lavoro, pur perseguendo, nelle ipotesi di maternità
naturale, il fine di tutelare la salute della donna nel periodo
immediatamente susseguente al parto onde consentirle di recuperare le
necessarie energie, considera e protegge anche il rapporto che in
tale periodo si svolge tra madre e figlio e tanto non solo per ciò
che attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in
riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che
sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino.
Riguardo a tali esigenze visualizza testo argomento la Corte ha richiamato il principio - al
quale è del resto orientata la moderna evoluzione del diritto di
famiglia - di una paritetica partecipazione di entrambi i coniugi
alla cura e all'educazione della prole, senza distinzione o
separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione
di essi, tanto nella famiglia quanto rispetto alle attività
extrafamiliari. Viene in tal modo riconosciuto che anche il padre è
idoneo - e quindi tenuto - a prestare assistenza materiale e supporto
affettivo al minore, sì che non vi è ragione per negare al padre -
che proprio in funzione di tale dovere e di tale capacità di
assistere può già usufruire dell'astensione facoltativa - il
diritto di avvalersi altresì - in caso di mancanza o di grave
malattia della madre - della astensione obbligatoria nei primi tre
mesi di vita del bambino.
3. - Il problema posto dalla ordinanza di remissione concerne la
estensione dell'istituto della c.d. astensione obbligatoria dal
lavoro - ad oggi, come più sopra ricordato, riconosciuto al padre
naturale solo in surrogazione della moglie deceduta o gravemente
malata - anche all'affidatario ex art. 10 della legge n. 184 del
1983, sì che questi possa vedere esteso il diritto di astensione dal
lavoro di cui oggi gode in alternativa alla moglie affidataria, anche
ai primi tre mesi dell'inserimento del minore nella famiglia, con il
trattamento economico proprio della astensione obbligatoria.
Va a questo proposito innanzitutto precisato che per l'art. 10
della legge n. 184 del 1983, il Tribunale dei minorenni, nel corso
degli accertamenti sullo stato di abbandono, può emettere ogni
opportuno provvedimento nei confronti del minore, ivi compresa la
sospensione della potestà e la nomina di un tutore, e può altresì
provvedere ad un affidamento provvisorio del minore, onde favorire il
superamento dei guasti dell'abbandono mediante l'inserimento in un
ambiente familiare idoneo, certamente più favorevole allo sviluppo
del minore rispetto alla permanenza in istituto e ciò
indipendentemente dagli sviluppi cui l'affidamento possa
successivamente dar luogo in funzione di una possibile adozione.
visualizza testo argomento Con riferimento a tale istituto, questa Corte, con la sentenza n.
332 del 1988, ha già affermato, che non è possibile "ritenere che
la provvisorietà dell'affidamento possa giustificare la esclusione
della operatività di istituti che - consentendo una maggiore
presenza ed attenzione del soggetto affidatario - sono volti
essenzialmente, quando non esclusivamente, ad agevolare il processo
di sviluppo anche relazionale ed affettivo del bambino".Nell'ipotesi di affidamento provvisorio (così come in quella di
affidamento preadottivo e di adozione) il beneficio della astensione
obbligatoria non ha per fine la tutela della salute della madre, che
è collegata strettamente al parto, ma mira esclusivamente ad
agevolare il processo di sviluppo - anche relazionale ed affettivo -
del bambino, creando le condizioni di una più intensa presenza della
coppia, i cui componenti sono entrambi affidatari, e come tali
entrambi protagonisti, nell'esercizio dei loro doveri e diritti,
della buona riuscita del delicato compito loro commesso dalla legge e
dall'autorità giudiziaria. Non vi è, già per questo, ragione
alcuna per limitare i diritti dell'affidatario all'astensione
facoltativa e non estenderli a quella obbligatoria.
visualizza testo argomento Il diritto all'astensione obbligatoria spetta certamente alla
lavoratrice affidataria ma - una volta esclusa la tutela della sua
salute - non vi è motivo perché, in relazione ad una più
funzionale e completa assistenza al bambino (che costituisce l'unica
finalità dell'istituto), esso non possa essere anche riconosciuto in
via alternativa al coniuge affidatario.Non vi è dubbio che la funzione "materna" dell'affidataria sia
particolarmente importante nella fase dell'ingresso del minore
abbandonato nel nuovo nucleo familiare. Ma ciò non significa che
tale funzione non possa e non debba essere svolta in piena
integrazione con una altrettanto incisiva presenza dell'affidatario,
il quale anzi potrebbe a volte essere in grado, in relazione alle
variabili peculiarità delle situazioni concrete, di meglio seguire e
assistere il minore in questa particolare fase del suo sviluppo: e
ciò nel quadro di una organizzazione della vita familiare e di
lavoro valutata concordemente dai coniugi come idonea a meglio
rispondere alle esigenze di cura e di assistenza del minore da parte
di entrambe le figure "genitoriali".
In questo senso, è ben possibile che, in relazione alle diverse
situazioni che in concreto si possono manifestare, ed anche alla
durata e al modo di svolgimento dei rispettivi impegni di lavoro,
appaia razionale e necessario che l'astensione obbligatoria dal
lavoro, sia usufruita dall'affidatario in alternativa alla moglie,
sulla base di valutazioni effettuate congiuntamente tra i coniugi e
finalizzate esclusivamente al preminente interesse del bambino, la
mancata salvaguardia del quale potrebbe d'altronde comportare la
revoca dello stesso affidamento.
D'altra parte lo stesso principio di parità sancito nella
Costituzione ha determinato la crescita di un processo culturale
orientato, come già si è detto, al superamento della separatezza
dei ruoli della donna e dell'uomo, nella famiglia e fuori di essa, e
verso una più paritetica partecipazione di entrambi ai compiti di
cura, di assistenza e di educazione dei minori.
visualizza testo argomento E non è in tal senso privo di significato il fatto che - con
riferimento alla questione all'attenzione della Corte - diverse
proposte di legge siano state presentate e siano in discussione in
Parlamento per estendere il diritto del padre naturale all'astensione
obbligatoria al di là dei casi di impedimento considerati da questa
Corte nella sentenza n. 1 del 1987 e per consentire ai padri
preadottivi e adottivi l'astensione obbligatoria in alternativa alla
madre nei primi tre mesi di ingresso nella famiglia.Con questi interessi e valori costituzionalmente protetti, che
tendono ad una completa tutela dell'interesse del bambino attraverso
una più piena realizzazione dei principi di uguaglianza sostanziale
dei coniugi, e di una loro paritaria partecipazione alla sua cura ed
assistenza, contrasta una normativa che, riconoscendo il diritto
all'astensione obbligatoria solo alla donna affidataria e non anche
al coniuge in alternativa ad essa, non consente la possibilità di
una più completa, razionale ed equilibrata presenza di entrambi i
componenti la coppia affidataria al processo di educazione, impedendo
una organizzazione della loro vita familiare e di lavoro meglio
rispondente a tale finalità.
Ne consegue l'incostituzionalità dell' art. 7 della legge n. 903
del 1977 - che si applica anche all'affidamento provvisorio disposto
ai sensi dell'art. 10 della legge n. 184 del 1983 (e ciò per effetto
dell'art. 80 della medesima legge) - sia con riferimento al principio
di uguaglianza tra i coniugi, stabilito dall'art. 29, secondo comma,
della Costituzione, in relazione anche ai compiti di cui all'art. 30,
sia con riferimento all'art. 31, secondo comma, che pone la tutela
del minore come compito fondamentale dell'ordinamento. La normativa
impugnata, inoltre, si pone in contrasto con l'art. 37, che
garantisce la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro, e con l'art. 3, primo e secondo comma, in quanto,
indirettamente imponendo solo alla donna di sacrificare le esigenze e
gli interessi inerenti al suo lavoro per accudire il minore affidato,
colloca lo svolgimento della personalità della donna nella
dimensione del lavoro in posizione sottordinata rispetto alla
considerazione che viene attribuita al lavoro dell'uomo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la illegittimità costituzionale del primo comma dell'art.
7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra
uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui non consente
al lavoratore, affidatario di minore ai sensi dell'art. 10 della
legge 4 maggio 1983, n. 184, l'astensione dal lavoro durante i primi
tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia
affidataria, in alternativa alla moglie lavoratrice.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.

Il Presidente: GALLO
Il redattore: SPAGNOLI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 15 luglio 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI

 
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