Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0361 del 1993 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di accoglimento parziale (o riduttiva)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza strumentale

N. 361
SENTENZA 26 LUGLIO-30 LUGLIO 1993

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 42, primo
comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in
materia di pensioni di guerra), promosso con ordinanza emessa il 10
dicembre 1992 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Erbacci
Elvira contro il Ministero del tesoro, iscritta al n. 98 del registro
ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1993;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 7 luglio 1993 il Giudice
relatore Fernando Santosuosso;

Ritenuto in fatto

1. - Nel giudizio promosso da Erbacci Elvira, vedova di militare
deceduto il 13 maggio 1945 e passata a nuove nozze, volto ad ottenere
l'attribuzione del trattamento pensionistico indiretto di guerra
(trattamento riconosciutole in corso di causa dal 1 febbraio 1977 al
31 dicembre 1982, ma non oltre perché il reddito percepito dal
secondo marito dell'Erbacci risultava superiore al limite previsto
dalla legge per poter conservare il diritto a pensione), la Corte dei
conti, Sezione IV Giurisdizionale, sollevava, con ordinanza emessa il
10 dicembre 1992, questione di legittimità costituzionale - in
riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31,
primo comma, della Costituzione - dell'art. 42, primo comma, del
d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di
pensioni di guerra), che stabilisce che la vedova di militare
deceduto per causa bellica perde il diritto a pensione se contrae
nuove nozze con chi fruisca, o venga a fruire successivamente al
matrimonio, di un reddito annuo superiore al limite previsto dal
successivo art. 70.
La Corte remittente, premesso che la Corte costituzionale - con
ordinanza n. 325 del 1992 - aveva dichiarato manifestamente infondata
una precedente questione di legittimità costituzionale della cennata
norma, sollevata in relazione agli artt. 29, secondo comma, e 30,
primo comma, della Costituzione, dichiarava di voler riproporre la
questione sotto più ampio profilo e con diversa motivazione.
Considerato, quindi:
che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 184
del 1975, è venuta meno la rilevanza dello stato vedovile ai fini
dell'acquisizione (o conservazione) del diritto a pensione indiretta
di guerra, in quanto la vedova, passando a nuove nozze, non è
privata, per ciò solo, dell'anzidetto diritto ma, al pari di quanto
è stabilito (art. 55 d.P.R. citato) per il vedovo, soltanto se e
quando il nuovo coniuge sia titolare di un certo reddito;
che la vedova acquista il diritto a pensione indiretta in via
autonoma (e non derivata come per la pensione di reversibilità) e
quindi iure proprio (sentenza n. 375 del 1989 della Corte
costituzionale);
che, inoltre, a tale scopo, non ha rilevanza alcuna lo status
economico della vedova;
la Corte remittente sosteneva l'irrazionalità dell'art. 42, primo
comma, del d.P.R. n. 915 del 1978, in riferimento ai suddetti
parametri costituzionali, perché causa di diverse ingiustificate
discriminazioni, cui si tornerà nella motivazione in diritto.
2. - Le parti non si costituivano in giudizio.
Interveniva, invece, la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata dall'Avvocatura dello Stato, che chiedeva dichiararsi
manifestamente infondata la questione costituzionale.
Assumeva in proposito:
che il legislatore ha inteso riservare il beneficio del
trattamento pensionistico di guerra ai casi maggiormente bisognosi di
tutela, in cui il pregiudizio economico, causato da eventi bellici,
sia evidentemente rilevante; e ciò analogamente a quanto disposto
per gli orfani ed i collaterali del defunto, o per la stessa vedova
nell'ipotesi di concessione degli assegni accessori al trattamento
pensionistico stesso (assegno di maggiorazione);
che la natura solidaristica del beneficio pensionistico di
guerra ne giustifica la subordinazione a determinate condizioni
economiche del coniuge dell'avente diritto;
che la perdita della pensione da parte della vedova risposata
trova giustificazione, non già in un intento punitivo o vessatorio,
ma nel fatto che la medesima, con il nuovo matrimonio, costituisce un
nuovo nucleo familiare con il conseguente acquisto di diritti (ed
obblighi) di assistenza e di mantenimento, per cui l'obbligo di
indennizzo da parte dello Stato permane solo nel caso in cui
l'apporto economico del nuovo coniuge non sia superiore a determinati
livelli;
che, per quanto concerne il preteso trattamento deteriore
riservato alla famiglia legittima rispetto alle cosidette unioni
libere, le due situazioni non sono comparabili;
che i richiami fatti dal giudice remittente all'acquisto iure
proprio del trattamento pensionistico di guerra da parte della vedova
sono inconferenti, atteso che alla base del diritto della vedova di
guerra al relativo trattamento pensionistico sta, appunto, lo stato
vedovile, stato che cessa con il nuovo matrimonio; con la norma in
oggetto il legislatore ha concesso, quindi, alla vedova di guerra che
passi a nuove nozze più di quanto la logica coerenza al sistema
avrebbe suggerito;
che i limiti reddituali del secondo marito sono stabiliti dal
legislatore nella sua discrezionalità incensurabile, ed alla luce
anche delle esigenze di bilancio. Esso (limite) coincide, del resto,
con quello posto dalla legge n. 656 del 1986 per la concessione di
pensione agli orfani e per l'assegno di maggiorazione alla vedova di
guerra.

Considerato in diritto

1. - Oggetto del presente giudizio è la questione, sollevata con
ordinanza 10 dicembre 1992 dalla Corte dei conti, Sezione IV
Giurisdizionale per pensioni di guerra, sulla legittimità
costituzionale dell'art. 42, primo comma, del d.P.R. 23 dicembre
1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra), in
riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31,
primo comma, della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che la
vedova di militare deceduto per causa bellica perde il diritto a
pensione se contrae nuove nozze con chi fruisca, o venga a fruire
successivamente al matrimonio, di un reddito annuo superiore al
limite previsto dall'art. 70 della stessa legge.
2. - La questione, proposta in altra analoga controversia dalla
stessa Corte dei conti con ordinanza 13 dicembre 1991 della III
Sezione Giurisdizionale, in riferimento agli artt. 29 e 30 della
Costituzione, era stata dichiarata manifestamente infondata dalla
Corte costituzionale con ordinanza 8 luglio 1992, n. 325, in cui si
rilevava "che, come già altre volte affermato da questa Corte,
l'art. 29 salvaguarda essenzialmente i contenuti e gli scopi etico-sociali della famiglia, come società fondata sul matrimonio, senza
riflessi immediati sulle pensioni, le quali ineriscono a momenti
strettamente economici; e che analoghe considerazioni valgono nei
confronti del successivo art. 30, che ha per oggetto i doveri e i
diritti dei genitori e dei figli, ma non tocca il tema delle
situazioni giuridiche a contenuto patrimoniale".
3. - Con la nuova ordinanza ora in esame, la Corte dei conti, pur
riconoscendo l'esattezza dei rilievi della suindicata ordinanza n.
325 del 1992, dubita della legittimità costituzionale della stessa
norma in riferimento, non solo agli artt. 29 e 30 della Costituzione,
ma anche agli artt. 3 e 31, osservando che la norma denunziata appare
irrazionale in quanto:
a) induce remore alla libera determinazione delle nozze e non
agevola la formazione della famiglia legittima, bensì incentiva le
unioni libere;
b) non è coerente con la natura del diritto risarcitorio
spettante alla vedova di guerra, che si acquisisce iure proprio e
indipendentemente dal suo status economico;
c) che, avuto riguardo al basso reddito del secondo coniuge
ritenuto sufficiente per la perdita del diritto a pensione, tale
perdita si colora di significato punitivo per una sorta di mancato
obbligo di fedeltà alla memoria del coniuge deceduto;
d) che la misura è "indirettamente idonea a comprimere il
diritto al lavoro" del secondo coniuge, "se non addirittura ad
eludere i connessi obblighi fiscali".
4. - È decisivo partire dalla denunzia di incostituzionalità
della norma, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sotto il
profilo della ragionevolezza. Il giudice a quo sostiene cioè che "la
perdita della pensione per la vedova di guerra in considerazione
della capacità reddituale del secondo coniuge non appare coerente
con la natura del diritto ad essa riconosciuto, che è autonomo,
acquisito iure proprio e indipendentemente da valutazioni inerenti al
suo status economico".
La questione è fondata.
visualizza testo argomento Effettivamente è ravvisabile una intrinseca incoerenza fra le
condizioni previste dalla legge al momento della acquisizione del
diritto a pensione (quello della morte del primo marito) e le
condizioni previste al momento della concessione della pensione o per
la sua perdita. Invero, oltre a proclamare "risarcitorio" il titolo
al trattamento pensionistico, il legislatore lo concepisce come un
diritto autonomo della beneficiaria, indipendente dalla valutazione
delle sue condizioni economiche, tanto che la successiva legge 8
agosto 1991, n. 261 (art. 5) ribadisce che "le somme corrisposte a
titolo di pensione .. per la loro natura risarcitoria, non
costituiscono reddito".
Nel momento, invece, dell'effettiva erogazione della pensione o
dopo la sua concessione, tale diritto viene condizionato al permanere
dello stato vedovile o, nel caso di nuove nozze, al fatto che il
secondo marito fruisca fin dal tempo della domanda di pensionamento,
o venga a fruirne in seguito, di un reddito superiore ad una certa
misura.
Ora, queste ipotesi di diniego di erogazione della pensione o di
successiva perdita non risultano giustificate né dal venir meno
dello stato vedovile (il che sarebbe in contrasto con l'affermato
doveroso risarcimento della avvenuta perdita per causa di guerra del
primo coniuge, e non avrebbe comunque autonoma valenza, dovendo
concorrere con la seconda condizione), né dalla valutazione della
capacità reddituale dell'altro marito; presupposto economico che non
aveva alcuna rilevanza al momento del sorgere del diritto.
Tale contraddizione logica di fondo della norma supera i margini
della legittima discrezionalità delle scelte legislative, ed assume
i caratteri di quella irragionevolezza da cui discende la pronuncia
di incostituzionalità.
Restano assorbiti gli altri profili di illegittimità
costituzionale prospettati dal giudice a quo, in gran parte già
valutati dalla citata ordinanza (n. 325 del 1992) di questa Corte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, primo comma,
d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di
pensioni di guerra), nella parte in cui stabilisce che la vedova di
militare deceduto per causa bellica perde il diritto a pensione se
contrae nuove nozze con chi fruisca, o venga a fruire successivamente
al matrimonio, di un reddito annuo superiore al limite previsto
dall'art. 70 della stessa legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 luglio 1993.
Il presidente: CASAVOLA
Il redattore: SANTOSUOSSO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 30 luglio 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA

 
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