Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0012 del 1998 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di inammissibilità per vizi di carattere processuale
Argomenti di altre disposizioni rilevanti per la pronuncia:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)

N. 12
SENTENZA 28 GENNAIO-5 FEBBRAIO 1998

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: prof. Francesco GUIZZI;
Giudici: prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche) e 3 della legge 28 dicembre 1995, n.
550 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1996)), promosso con
ordinanza emessa il 22 febbraio 1996 dalla Commissione tributaria di
primo grado di Genova sul ricorso proposto da Giancarlo Alberti ed
altra contro l'Intendenza di finanza di Genova iscritta al n. 848 del
registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1996;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 12 novembre 1997 il giudice
relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1. - Nel giudizio promosso dai coniugi Giancarlo Alberti e Luisa
Franceschini contro la rettifica, operata dall'Ufficio distrettuale
delle imposte dirette di Chiavari, nei riguardi delle denunce dei
redditi congiunte da loro presentate in riferimento agli anni
1981/1983 - con le quali si erano attribuiti la contitolarità del
reddito del marito, dividendolo in parti uguali ed applicando a
ciascuno l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo
- la Commissione tributaria di primo grado di Genova, con una prima
ordinanza emessa il 16 giugno 1994, sollevò questione di
legittimità costituzionale del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597
(Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone
fisiche) - ed in particolare dell'art. 3 "nella parte in cui non
prevede che il reddito del marito venga imputato in parte anche alla
moglie priva di redditi propri, al fine della imposizione tributaria,
anziché essere attribuito al solo coniuge produttore del reddito
stesso", in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della
Costituzione.
La questione fu dichiarata inammissibile con la sentenza n. 358 del
1995, in quanto questa Corte, pur riconoscendo che "l'attuale
trattamento fiscale della famiglia penalizza i nuclei monoreddito e
le famiglie numerose con componenti che non producono o svolgono
lavoro casalingo", ha ritenuto che i rimedi per il necessario
ristabilimento dell'equità fiscale in materia e la tutela della
famiglia sotto questo aspetto non potevano essere apprestati dal
giudice delle leggi mediante l'accoglimento della questione nei
termini in cui era proposta.
Ora la Commissione tributaria, con ordinanza del 16 giugno 1994,
solleva nuovamente la questione, ricomprendendovi non solo il d.P.R.
29 settembre 1973, n. 597 - e specificamente l'art. 3 - ma anche
l'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 550 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 1996)), in riferimento, oltre che agli artt. 3, 29, 31 e
53 della Costituzione, anche all'art. 24.
Secondo il giudice rimettente:
a) i dubbi sollevati in dottrina circa le conseguenze delle
sentenze della Corte che dichiarano l'inammissibilità della
questione in quanto rientrante nella discrezionalità del legislatore
(che comporterebbero "il pericolo di un grave sovvertimento dei
valori costituzionali, di una iperprotezione dell'inerzia del
legislatore e di una abdicazione della funzione della Corte
costituzionale come giudice delle leggi") sono "argomenti nuovi nel
caso specifico in quanto non sollevati nella precedente ordinanza di
rimessione alla Corte, così che la questione, sotto questo nuovo
profilo argomentativo, appare riproponibile";
b) anche la normativa introdotta in materia con la legge n. 550
del 1995 al fine di rispondere al precedente monito della Corte
appare illegittima, violando "i valori costituzionali della parità
di trattamento, della equità fiscale e della tutela della famiglia":
da un lato, essendo "rivolta esclusivamente al futuro, lascia
completamente prive di tutela proprio quelle situazioni - come quella
del ricorrente - rispetto a cui è stato adito il giudice (e tale
scelta appare anche contraria all'art. 24 della Costituzione, perché
vanifica la tutela giurisdizionale dei diritti)"; dall'altro, la
Corte, nella sentenza n. 358 del 1995, aveva indicato "la necessità
costituzionale di modificazioni di una certa ampiezza, con implicita
inadeguatezza, secondo i parametri costituzionali di cui la Corte è
custode ed interprete, di soluzioni molto più limitate, quale è
appunto quella adottata";
c) una delle possibili modalità di intervento della Corte
costituzionale, non suggerita precedentemente, è rappresentata da
una sentenza "additiva di principio", cioè dalla dichiarazione di
incostituzionalità accompagnata dalla fissazione di "un termine
entro cui il legislatore debba (e non soltanto possa) intervenire".
2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, concludendo nel senso della manifesta inammissibilità o, in
subordine, dell'infondatezza della questione.
Secondo la difesa erariale, con la sentenza n. 358 del 1995 la
Corte aveva precisato che il ristabilimento dell'equità fiscale, pur
necessario, non le competeva, spettando solo al legislatore, il quale
è in realtà intervenuto, nei limiti consentiti dalle condizioni
della finanza pubblica. "Ma è ovvio che il suo intervento non
avrebbe potuto essere che per l'avvenire, giammai per il passato, in
quanto un intervento correttivo anche per le situazioni pregresse non
avrebbe potuto essere compensato adeguatamente nel giuoco degli
equilibri finanziari. E la Corte, del resto, segnala al legislatore
la necessità non già di ripristinare l'equilibrio anche per il
passato, ma solo di non protrarre ulteriormente la sperequazione,
evidentemente per il futuro".

Considerato in diritto

1. - La Commissione tributaria di primo grado di Genova dubita
della legittimità costituzionale: a) del d.P.R. 29 settembre 1973,
n. 597 (recante "Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito
delle persone fisiche", che è stato poi trasfuso nel testo unico
delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917) - e specificamente dell'art. 3 - "nella parte in cui non prevede
che il reddito del marito venga imputato in parte anche alla moglie
priva di redditi propri, al fine della imposizione tributaria,
anziché essere attribuito al solo coniuge produttore del reddito
stesso", in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione;
b) dell'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 550 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 1996)) - che ha elevato le detrazioni di imposta per il
coniuge a carico ed ha aumentato l'importo dell'assegno per il nucleo
familiare - in riferimento, oltre che ai parametri già indicati,
anche all'art. 24 della Costituzione, poiché la norma, essendo
"rivolta esclusivamente al futuro, lascia completamente prive di
tutela proprio quelle situazioni - come quella del ricorrente -
rispetto a cui è stato adito il giudice".
2. - La questione è inammissibile.
visualizza testo argomento È infatti ius receptum che il giudice a quo non può rimettere una
seconda volta alla Corte costituzionale la medesima questione nel
corso dello stesso grado del giudizio pendente fra le stesse parti
(nel caso in cui la Corte abbia emesso una pronuncia di carattere
decisorio fondata su motivi non rimuovibili dal giudice a quo: cfr.
ordinanza n. 536 del 1988 e sentenza n. 433 del 1995), salvo che essa
non venga riformulata in termini nuovi, con riferimento cioè ad un
quadro normativo ed argomentativo sostanzialmente diverso (cfr.
sentenze n. 350 del 1987 e n. 257 del 1991); e ciò per evitare un
bis in idem che si risolverebbe nella impugnazione della precedente
decisione della Corte (cfr. ordinanze. n. 197 del 1983 e n. 536 del
1988).3. - Nella specie, in un giudizio tributario avverso la rettifica
operata dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Chiavari
nei confronti di denunce dei redditi relative agli anni 1981/1983, i
coniugi Giancarlo Alberti e Luisa Franceschini avevano invocato
l'applicazione del sistema del c.d. splitting vigente in alcuni Paesi
occidentali. In proposito la Commissione tributaria di primo grado di
Genova, con ordinanza del 16 giugno 1994, aveva già sollevato la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 597 "nella parte in cui non prevede che il reddito
del marito venga imputato in parte alla moglie priva di redditi
propri, al fine della imposizione tributaria, anziché essere
attribuito al solo coniuge produttore del reddito stesso", in
riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione. Tale
questione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte con sentenza
n. 358 del 1995.
Mentre appare evidente che nel caso attualmente in esame il
giudizio a quo è il medesimo in ordine alle parti in causa ed al
giudice rimettente, resta da stabilire se anche l'oggetto della
presente questione sia in tutto identico a quello sul quale questa
Corte ha deciso con la citata sentenza n. 358 del 1995.
4. - Sotto il profilo oggettivo la questione ora prospettata sub a)
riproduce testualmente quella sollevata nel precedente giudizio.
Rispetto alla prima ordinanza di rimessione la Commissione
tributaria di Genova ha cercato di allargarne i confini: ha, infatti,
indicato sub b) un ulteriore parametro (l'art. 24 della Costituzione)
ed una nuova norma (l'art. 3 della legge finanziaria per il 1996),
denunciando inoltre l'asserita inadempienza del legislatore, che al
precedente monito della Corte avrebbe dato una risposta del tutto
inadeguata, per di più riferita soltanto al futuro.
Queste ulteriori indicazioni e doglianze non spostano, tuttavia, i
termini e gli argomenti della questione precedentemente proposta.
Nella presente materia, questa Corte, fin dalla sentenza n. 179 del
1975, con cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del
cumulo dei redditi dei coniugi pur invitando più volte il
legislatore ad evitare le sperequazioni, che dal sistema della
tassazione separata di tali redditi potevano derivare "in danno della
famiglia nella quale uno solo dei coniugi possegga reddito
tassabile", e sottolineando poi che, a causa della perdurante
mancanza di tali interventi, "l'attuale trattamento fiscale della
famiglia penalizza i nuclei monoreddito e le famiglie numerose con
componenti che non producono o svolgono lavoro casalingo" - ha sempre
rilevato come esista al riguardo una pluralità di possibili rimedi,
la cui scelta è rimessa alla discrezionalità del legislatore.
5. - D'altronde, relativamente al profilo normativo, la parte
"nuova" della questione sollevata dalla Commissione tributaria ha per
oggetto, come già rilevato, l'art. 3 della legge n. 550 del 1995
(legge finanziaria per il 1996), che non determina un'organica
revisione della disciplina impugnata, ma, aumentando le detrazioni di
imposta per il coniuge a carico e l'assegno per il nucleo familiare,
riguarda pur sempre un aspetto del trattamento fiscale della
famiglia. Il giudice a quo censura la norma non ritenendola adeguata
a rispondere al monito della Corte, né intesa a tutelare le famiglie
monoreddito; ed essendo rivolta al futuro, "lascia completamente
prive di tutela proprio quelle situazioni - come quella dei
ricorrenti - rispetto a cui è stato adito il giudice (e tale scelta
appare anche contraria all'art. 24 della Costituzione, perché
vanifica la tutela giurisdizionale dei diritti)".
Ora, se nel merito i predetti interventi possono apparire
inadeguati, tanto che risultano essere allo studio del Governo
specifiche misure a favore delle famiglie monoreddito, tuttavia, sul
piano processuale, la questione non è diversa da quella precedente,
rappresentandone una riformulazione "aggiornata" agli sviluppi
intercorsi nel frattempo, sfornita di un contesto normativo e
argomentativo sostanzialmente nuovo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) - ed in particolare
dell'art. 3 - e dell'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 550
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 1996), sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 24, 29, 31 e 53 della Costituzione, dalla Commissione
tributaria di primo grado di Genova con l'ordinanza indicata in
epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1998.

Il Presidente: Guizzi
Il redattore: Santosuosso
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola

 
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