Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0407 del 2002 inserita nel sistema il 9/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: legge Regione Lombardia 19/2001 art.3:
-Riferimento alla discrezionalità del legislatore (spazio impregiudicato dalla norma parametro)
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.117 comma 2 comma s:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
-Argomento psicologico (ricorso alla volontà del legislatore concreto)
-Argomento sistematico: c) concettualistico (argomento dogmatico)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.117 comma 2 comma h:
-Argomento psicologico (ricorso alla volontà del legislatore concreto)
-Argomento letterale (considerazioni di ordine sintattico grammaticale)
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)

N. 407
SENTENZA 10 - 26 luglio 2002.
Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 30 del 31 luglio 2002

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI,
Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1,
4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia
23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di
incidenti rilevanti), promosso con ricorso del Presidente del
Consiglio dei ministri, notificato il 23 gennaio 2002, depositato in
Cancelleria il 31 successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi
2002.
Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia;
Udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 2002 il Giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
Uditi l'avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Ferrari e Massimo
Luciani per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri solleva, con
ricorso notificato il 23 gennaio 2002, depositato il successivo
31 gennaio, questione di legittimità costituzionale in via
principale degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della
legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in
materia di attività a rischio di incidenti rilevanti) - pubblicata
sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia del 27 novembre
2001, supplemento ordinario n. 48 - in riferimento all'art. 117,
secondo comma, lettere h) ed s) della Costituzione, nonché agli
artt. 8, 9, 15, 18, 21 e 28 del decreto legislativo 17 agosto 1999,
n. 334 (Attuazione della direttiva 96/1982/CE relativa al controllo
dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze
pericolose), ed all'art. 72 del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato
alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L.
15 marzo 1997, n. 59).
2. - Il ricorrente premette che la disciplina delle attività a
rischio di incidenti rilevanti sarebbe riservata alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere
h) ed s) nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3, in quanto riconducibile alle materie "sicurezza" e
"tutela dell'ambiente".
L'art. 18 del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334, ai sensi
dell'art. 72 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha attribuito alle
regioni il potere di regolamentare il procedimento di istruttoria
tecnica, le autorità titolari delle competenze conseguenti, il
raccordo con il procedimento di valutazione di impatto ambientale, le
modalità di coordinamento dei soggetti che svolgono l'istruttoria
tecnica, le procedure per gli interventi di salvaguardia
dell'ambiente e del territorio. Le regioni potrebbero, quindi,
disciplinare esclusivamente gli interventi strumentali, nel rispetto
della disciplina stabilita dalla legge statale, che sarebbe invece
violata dalle disposizioni impugnate.
2.1. - Il ricorrente deduce che l'art. 9, comma 1, del d.lgs.
n. 334 del 1999 stabilisce che, "affinché sorga l'obbligo del
rapporto preliminare di sicurezza", le sostanze pericolose presenti
in determinati stabilimenti "debbono essere in quantità uguali o
superiori a quelle indicate nell'allegato I, parti 1 e 2, colonna 3
(v. richiamo all'art. 8. 1)".
L'art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 19 del
2001 dispone, invece, che il rapporto preliminare debba essere
presentato dal gestore di nuovi stabilimenti, qualora negli stessi
siano presenti sostanze pericolose in quantità uguale o superiore a
quella indicata nell'allegato I, parte 1, colonna 2 e parte 2,
colonna 2 del d.lgs. n. 334 del 1999. Dunque, secondo la difesa
erariale, "le quantità indicate nella norma statale sono più
elevate di quelle richieste dalla norma regionale che in questo modo
ha ampliato la sfera normativa della legge statale", non limitandosi
a disciplinare le materie indicate nell'art. 18 del d.lgs. n. 334 del
1999, né ad esercitare le funzioni amministrative conferite
dall'art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998.
2.2. - L'art. 28 del d.lgs. n. 334 del 1999 ha disposto che, sino
alla emanazione del decreto di cui all'art. 10, sono applicabili i
criteri fissati nel decreto del Ministro dell'ambiente del 13 maggio
1996.
L'art. 4, comma 2, della legge regionale in esame, in via
transitoria e fino al termine fissato dalla legge statale, ad avviso
dell'Avvocatura, avrebbe invece illegittimamente stabilito che sono
obbligatori gli elementi previsti dal suo allegato 2, i quali non
coincidono con quelli richiesti dalle norme dello Stato.
2.3. - L'art. 21, comma 3, del d.lgs. n. 334 del 1999 dispone che
per le modifiche di impianti e di depositi, di processi industriali,
della natura o dei quantitativi di sostanze pericolose individuate
con il decreto di cui all'articolo 10, ossia per quelle che
potrebbero costituire aggravio del preesistente livello di rischio,
deve essere avviata l'istruttoria per la valutazione del rapporto di
sicurezza.
L'art. 5, commi 1 e 2, della legge regionale impugnata, in
contrasto con la norma statale, dispone invece che, anche qualora le
modifiche "non comportano aggravio di rischio", debba essere redatta
una scheda valutativa tecnica, la quale, ovviamente, presuppone
un'attività preparatoria.
Secondo l'Avvocatura, le norme impugnate realizzerebbero effetti
innovativi e sarebbero costituzionalmente illegittime, dato che il
livello di sicurezza, salvo che non sussistano situazioni ambientali
differenti - ciò che non accade nel caso in esame -, dovrebbe essere
identico sull'intero territorio nazionale. La fissazione di
adempimenti differenziati realizzerebbe "alterazioni sotto il profilo
della concorrenza in danno di quelle imprese che si trovano ad
operare in regioni la cui disciplina più gravosa costringe ad
affrontare costi maggiori".
Infine, conclude il ricorrente, la circostanza che l'art. 10
della legge regionale rinvia la sua entrata in vigore alla data della
stipulazione dell'accordo di programma Stato-Regione ex art. 72 del
d.lgs. n. 112 del 1998, non inciderebbe sull'interesse
all'impugnazione poiché, una volta concluso detto accordo, le norme
censurate diverrebbero immediatamente efficaci.
2.4. - La difesa erariale, nella memoria depositata in
prossimità dell'udienza pubblica, ha insistito per la dichiarazione
di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ribadendo le
argomentazioni svolte nel ricorso.
3. - Nel giudizio si è costituita la Regione Lombardia,
chiedendo che la Corte dichiari il ricorso manifestamente
inammissibile e, in linea gradata, manifestamente infondato.
Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, la
resistente deduce che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di
interesse all'impugnazione, poiché l'efficacia delle norme censurate
è condizionata alla stipulazione di un accordo di programma tra
Regione e Stato, il quale, rifiutando il proprio assenso alla stipula
di siffatto accordo, può impedire che la legge impugnata produca
effetti.
Nel merito, la Regione Lombardia sostiene che, sebbene il
controllo sugli impianti e sulle industrie a rischio di incidenti
rilevanti riguardi sia la materia "sicurezza", sia la materia "tutela
dell'ambiente", gli artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18 del
d.lgs. n. 334 del 1999 dimostrerebbero che questo controllo
interferisce con le materie "governo del territorio", "tutela della
salute" e "protezione civile", attribuite alla competenza legislativa
di tipo concorrente della Regione. Inoltre, il d.m. 9 maggio 2001,
disponendo che "le Regioni assicurano il coordinamento delle norme in
materia di pianificazione urbanistica, territoriale e di tutela
ambientale con quelle derivanti dal decreto legislativo 17 agosto
1999, n. 334 e dal presente decreto", nonché "il coordinamento tra i
criteri e le modalità stabiliti per l'acquisizione e la valutazione
delle informazioni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del decreto
legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e quelli relativi alla
pianificazione territoriale e urbanistica" (art. 2, commi 1 e 3),
conforterebbero che la prevenzione ed il controllo sui rischi di
incidenti rilevanti è riconducibile anche a materie attribuite alla
competenza legislativa regionale di tipo concorrente.
Dunque, secondo la resistente, nell'esercizio della propria
competenza in materia di governo del territorio e di tutela della
salute dei cittadini, nel rispetto dei principi fondamentali fissati
dalla legge statale, essa legittimamente avrebbe stabilito una
disciplina più rigorosa, estendendo l'obbligo di redigere il
rapporto di sicurezza e la scheda di valutazione dei rischi (artt. 3
e 5 della legge regionale n. 19 del 2001). Inoltre, a suo avviso, per
numerose materie elencate nell'art. 117 della Costituzione sarebbe
difficile stabilire i confini tra competenza statale e regionale e,
proprio per questo, occorrerebbe applicare il criterio teleologico e,
comunque, riconoscere, come nel caso della protezione ambientale, che
la Regione è titolare di competenza legislativa in riferimento ai
profili che interessano anche materie di sua competenza, potendo in
ogni caso emanare quelle norme che garantiscono una maggiore tutela
del bene della salute.
Infine, conclude la resistente, le norme, sotto il profilo della
concorrenza, non pregiudicano le imprese che svolgono attività nella
Regione Lombardia e, ragionevolmente, allo scopo di garantire la
tutela del territorio e della salute umana, pongono rimedio ad una
"disciplina statale palesemente lacunosa".
4. - Le parti, all'udienza pubblica, hanno insistito per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1. - Il giudizio in via principale promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe, nei confronti
della Regione Lombardia ha ad oggetto gli artt. 3, comma 1, 4, comma
2, 5, commi 1 e 2, della legge regionale 23 novembre 2001, n. 19
(Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) ed s) della
Costituzione, nonché agli artt. 8, 9, 15, 18, 21 e 28 del decreto
legislativo n. 334 del 1999 ed all'art. 72 del decreto legislativo
n. 112 del 1998.
Premesso che la disciplina delle attività a rischio di incidente
rilevante è riservata alla potestà legislativa esclusiva dello
Stato, a norma dell'art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della
Costituzione, il ricorrente sottolinea che questo tipo di riserva,
innanzi tutto, esclude, per definizione, che i livelli di sicurezza
per attività egualmente pericolose possano essere diversi da regione
a regione ed in secondo luogo esclude conseguentemente che possano
essere previsti adempimenti diversificati per le varie imprese, con
possibile alterazione anche delle regole della concorrenza. Le
disposizioni regionali impugnate sarebbero pertanto, ad avviso del
ricorrente, costituzionalmente illegittime, in quanto invadono la
competenza esclusiva dello Stato in materia di "sicurezza" ed
"ambiente", avendo altresì un contenuto che, sotto vari profili, è
difforme e contrastante rispetto ad una serie di norme "fondamentali"
della disciplina statale.
2. - In linea preliminare va respinta l'eccezione di
inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, sollevata
dalla difesa della Regione Lombardia, in base all'argomento che
l'art. 10 della legge impugnata subordina l'efficacia della legge
stessa alla "stipulazione dell'accordo di programma tra Stato e
regione, di cui all'art. 72 del d.lgs. n. 112/1998". Va infatti
osservato che l'impugnativa da parte dello Stato delle leggi
regionali è sottoposta, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione,
ad un termine tassativo riferito alla pubblicazione e non anche
all'efficacia della legge stessa e, d'altra parte, la pubblicazione
di una legge regionale, in asserita violazione del riparto
costituzionale di competenze, è di per sé stessa lesiva della
competenza statale, indipendentemente dalla produzione degli effetti
concreti e dalla realizzazione delle conseguenze pratiche (cfr.
sentenza n. 332 del 1998).
3. - Nel merito, il ricorso è infondato.
La disciplina specifica delle attività a rischio di incidenti
rilevanti si è sviluppata soprattutto in ambito comunitario, a
decorrere dalla direttiva 82/501 CEE del 24 giugno 1982 - c.d.
"direttiva Seveso - la quale introdusse prescrizioni dirette alla
prevenzione dei rischi industriali, coinvolgendo specialmente il
responsabile dell'attività a rischio. Il decreto di attuazione -
d.P.R. 17 maggio 1988, n. 175 - stabilì infatti una serie di
obblighi a carico dei fabbricanti, prevedendo altresì un complesso
procedimento di controllo, con l'intervento di una pluralità di
soggetti pubblici, nel cui ambito le regioni, in particolare, furono
chiamate a svolgere compiti di vigilanza sugli impianti a minore
pericolosità, soggetti alla c.d. "dichiarazione", nonché sul
rispetto delle misure di sicurezza.
Il predetto atto comunitario è stato modificato dalla direttiva
96/1982 CE del 9 dicembre 1996, che ha accentuato il profilo del
controllo tecnico-ispettivo, anche prevedendo forme di pianificazione
urbanistica ed ambientale del territorio esterno agli stabilimenti.
In attesa dell'attuazione di questa direttiva, l'art. 72 del d.lgs.
31 marzo 1998, n. 112, ha innovato il quadro organizzativo
precedente, conferendo alle regioni, sia pure previa adozione di una
specifica normativa, anche le competenze amministrative concernenti
gli impianti a maggiore pericolosità, soggetti alla c.d. "notifica",
e mantenendo allo Stato essenzialmente compiti di indirizzo e
coordinamento.
Successivamente il decreto di recepimento - d.lgs. 17 agosto
1999, n. 334 - ha ulteriormente ampliato le precedenti competenze
delle regioni attribuendo ad esse anche la disciplina dell'attività
procedimentale connessa all'istruttoria tecnica, nonché
l'individuazione delle procedure più idonee per l'adozione degli
interventi di salvaguardia dell'ambiente e del territorio di
insediamento degli stabilimenti.
3.1. - Lo scrutinio di costituzionalità delle disposizioni
regionali censurate va pertanto condotto sulla base del quadro di
riparto delle competenze tra Stato e regioni, sul quale ora incide la
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che reca "Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione".
A questo scopo, il primo problema da risolvere, ai fini della
determinazione della competenza ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione, riguarda l'individuazione della "materia" alla quale
ricondurre la legge regionale in esame; materia che, secondo il
ricorrente, è da identificare nei disposti delle lettere h) e s)
dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione.
In proposito, appare improprio, nella fattispecie in esame, il
riferimento alla materia "sicurezza", di cui alla lettera h) del
citato art. 117. Non sembra infatti necessario a questo scopo
accertare, in una prospettiva generale, se nella legislazione e nella
giurisprudenza costituzionale la nozione di "sicurezza pubblica"
assuma un significato restrittivo, in quanto usata in endiadi con
quella di "ordine pubblico", o invece assuma una portata estensiva,
in quanto distinta dall'ordine pubblico, o collegata con la tutela
della salute, dell'ambiente, del lavoro e così via. È sufficiente
infatti constatare che il contesto specifico della lettera h) del
secondo comma dell'art. 117 - che riproduce pressoché integralmente
l'art. 1, comma 3 lettera l) della legge n. 59 del 1997 - induce, visualizza testo argomento in
ragione della connessione testuale con "ordine pubblico" e
dell'esclusione esplicita della "polizia amministrativa locale",
nonché visualizza testo argomento in base ai lavori preparatori, ad un'interpretazione
restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica". visualizza testo argomento Questa infatti,
secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, è da configurare,
in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e
locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure
inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine
pubblico (sentenza n. 290 del 2001).
Alla luce di queste considerazioni, le disposizioni legislative
in questione non possono rientrare nell'ambito materiale riservato
alla competenza esclusiva dello Stato dalla lettera h) dell'art. 117,
secondo comma, della Costituzione.
33.2. - La disciplina in esame è invece riconducibile al
disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione,
relativo alla tutela dell'ambiente.
A questo riguardo va però precisato che non tutti gli ambiti
materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in
quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché,
in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del
legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie
(cfr. sentenza n. 282 del 2002). In questo senso l'evoluzione
legislativa e visualizza testo argomento la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere
che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile
come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile
come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e
delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia
inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare,
dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione
del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una
configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente
protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia
"trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze
diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le
determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina
uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze
n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998).
visualizza testo argomento I lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117
della Costituzione inducono, d'altra parte, a considerare che
l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo
Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero
territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la
competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati
con quelli propriamente ambientali. In definitiva, si può quindi
ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia
sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralità di titoli
di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare
contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori
esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo
Stato.
visualizza testo argomento Anche nella fattispecie in esame, del resto, emerge dalle norme
comunitarie e statali, che disciplinano il settore, una pluralità di
interessi costituzionalmente rilevanti e funzionalmente collegati con
quelli inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente. A questo
proposito occorre, innanzi tutto, ricordare che nei "considerando"
della citata direttiva 96/1982/CE si afferma, tra l'altro, che la
prevenzione di incidenti rilevanti è necessaria per limitare le loro
"conseguenze per l'uomo e per l'ambiente", al fine di "tutelare la
salute umana", anche attraverso l'adozione di particolari politiche
in tema di destinazione e utilizzazione dei suoli. Più
specificamente, il citato decreto legislativo di recepimento n. 334
del 1999, dopo avere, all'art. 1, premesso che il decreto stesso
contiene disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti
connessi a determinate sostanze pericolose e a "limitarne le
conseguenze per l'uomo e per l'ambiente", all'art. 3, comma 1,
lettera f) definisce "incidente rilevante" l'evento che "dia luogo ad
un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per
l'ambiente". E gli stessi concetti vengono sostanzialmente ribaditi
anche negli artt. 7, comma 1, e 8, commi 2 e 10, cosicché si può
fondatamente ritenere, in riferimento alle norme citate, che il
decreto in esame attenga, oltre che all'ambiente, anche alla materia
"tutela della salute", la quale, ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione, rientra nella competenza concorrente delle regioni.
Così pure rientra nella competenza concorrente regionale la cura
degli interessi relativi alla materia "governo del territorio", cui
fanno riferimento, in particolare, gli artt. 6, commi 1 e 2, 8, comma
3, 12 e 14 dello stesso decreto, i quali prescrivono i vari
adempimenti connessi all'edificazione e alla localizzazione degli
stabilimenti, nonché diverse forme di "controllo
sull'urbanizzazione". Anche le competenze relative alla materia della
"protezione civile" possono essere individuate in alcune norme del
citato decreto, come, ad esempio, l'art. 11, l'art. 12, l'art. 13,
comma 1 lettera c), comma 2 lettere c) e d) l'art. 20 e l'art. 24, le
quali prevedono essenzialmente la disciplina dei vari piani di
emergenza nei casi di pericolo "all'interno o all'esterno dello
stabilimento". Infine, alcune norme, come, in particolare, i citati
artt. 5, commi 1 e 2, ed 11 dello stesso decreto, sono riconducibili
anche alla materia "tutela e sicurezza del lavoro", egualmente
compresa nella legislazione concorrente.
In definitiva quindi il predetto decreto n. 334 del 1999
riconosce che le regioni sono titolari, in questo campo disciplinare,
di una serie di competenze concorrenti, che riguardano profili
indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela
dell'ambiente.
4. - Così definito il quadro degli interessi sottostanti alla
vigente disciplina sulle attività a rischio rilevante, ne deriva che
essa ha un'incidenza su una pluralità di interessi e di oggetti, in
parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche - come
si è visto - di competenza concorrente delle regioni, i quali
appunto legittimano una serie di interventi regionali nell'ambito,
ovviamente, dei principi fondamentali della legislazione statale in
materia, la cui violazione peraltro prospetta il ricorrente, anche se
in via subordinata.
Alla luce di queste considerazioni è da respingere il motivo
principale di ricorso, secondo cui, nel caso di specie, la materia de
qua dovrebbe ritenersi di competenza legislativa statale esclusiva,
afferendo essa sia alla tutela dell'ambiente che alla sicurezza
pubblica. Ma è altrettanto da respingere il motivo prospettato in
via subordinata, secondo cui "ove volesse considerarsi tale legge
regionale alla stregua di atto regolamentare di competenza
regionale", alcune norme di essa sarebbero illegittime sotto il
profilo del mancato rispetto dei limiti fissati dal citato decreto
legislativo n. 334 del 1999.
In proposito è da osservare, indipendentemente dalla
inammissibile "degradazione" della legge regionale a regolamento
regionale, che i ricordati artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18
del d.lgs. n. 334 del 1999 stabiliscono che le regioni provvedono a
disciplinare la materia con specifiche normative ai fini, in
particolare, di "garantire la sicurezza del territorio e della
popolazione". In questa ottica vanno appunto respinte le prospettate
censure incentrate sull'asserito superamento dei limiti prestabiliti
dal citato decreto legislativo n. 334 del 1999, dal momento che visualizza testo argomento la
Regione Lombardia può ragionevolmente adottare, nell'ambito delle
proprie competenze concorrenti, una disciplina che sia maggiormente
rigorosa, per le imprese a rischio di incidente rilevante, rispetto
ai limiti fissati dal legislatore statale, proprio in quanto diretta
ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione
ed il territorio interessati.
visualizza testo argomento In questo senso, d'altronde, si è già espressa questa Corte,
quando in una vicenda analoga, a proposito dei limiti massimi di
esposizione ai campi elettrico e magnetico, ha ritenuto non
incostituzionale una disciplina regionale "specie a considerare che
essa se, da un canto, implica limiti più severi di quelli fissati
dallo Stato, non vanifica, dall'altro, in alcun modo gli obiettivi di
protezione della salute da quest'ultimo perseguiti" (sentenza n. 382
del 1999).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della
Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di
attività a rischio di incidenti rilevanti), sollevata, in
riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Capotosti
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2002.
Il cancelliere: Fruscella

 
© 2006-2024 - Dipartimento Scienze Giuridiche - Università di Torino - Periodico registrato presso il Tribunale di Torino